E’ stato un mese difficile per chi ha investito nell’azionario americano. L’indice Morningstar dedicato al mercato Usa nelle ultime quattro settimane (fino al 27 dicembre e calcolato in euro) ha perso l’8,2% portando a -0,82% la performance da inizio anno.
Indice Morningstar Usa
Dati in euro aggiornati al 27 dicembre 2018
Fonte: Morningstar Direct
L’andamento del paniere si è riflesso in quello delle diverse categorie in cui sono raccolti i fondi che puntano sull’equity e stelle e strisce. Nei segmenti Large cap, gli strumenti che investono con stile blend hanno perso (mediamente) l’8,74%. L’universo dei growth ha segnato -7,83%, mentre quello dei value -9,87%. Nell’insieme delle Mid cap il risultato è stato -11,39%, mentre in quello Small cap è stato -11,82%.
I fattori che hanno pesato sulla performance di Wall Street rendendo l’ultimo mese del 2018 il peggior dicembre dal dopoguerra per l’indice S&P500 sono stati diversi. Sul fronte macro i numeri dicono che nel terzo trimestre è stata registrata una crescita del 3,5% del Pil (annualizzato), di cui il 2,2% derivante dalle scorte. Diversi analisti fanno notare che, proprio le scorte accumulate nel trimestre appena chiuso, diventeranno un freno per nuovi ordinativi futuri e un ulteriore ostacolo per una crescita che già ora si sta indebolendo. Gli ottimisti dicono che i leading indicator degli Usa rimangono solidi: in particolare, l’Ism è a quota 60 e, in generale, gli Usa sono in un contesto di piena occupazione.
I pessimisti notano che in futuro, a causa dei rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve gli utili aziendali si potrebbero comprimere. C’è poi l’inflazione che, se non mantiene un determinato ritmo, indica che l’economia non sta crescendo. Gli ultimi dati rivelano che si è attestata all’1,6%, contro il 2% circa di inzio anno.
Cosa farà la Fed?
La Fed resta il chiodo fisso degli operatori. La minaccia di un passaggio dal QE (Quantitative easing) al QT (Quantitative tightening) con il “pilota automatico” (come dicono gli analisti per indicare una riduzione costante e automatica del bilancio della Banca centrale) ha scatenato i timori di un rallentamento dell’economia Usa che non potrà più contare su una politica monetaria accomodante.
Sul finire del mese si sono aggiunti altri fattori più squisitamente politici, come il timore dello shutdown parziale degli uffici governativi e le dimissioni del capo della difesa James Mattis, in dissenso con il presidente Donald Trump. Il risultato è stato un forte incremento della volatilità. Quella sull’S&P500 in alcune sedute del mese ha superato quella degli indici sui paesi emergenti.
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