Mentre i mercati emergenti continuano a mostrare un invidiabile stato di forma, gli investitori interessati all’asset si concentrano su quanto accade in India e negli Stati Uniti. L’indice Morningstar emerging market in un mese (fino al 9 aprile e calcolato in euro) ha guadagnato il 5%, portando a +14% la performance da inizio anno (-9% nel 2018).
Indice Morningstar EM
Dati in euro aggiornati al 9 aprile 2019
Fonte: Morningstar Direct
India alle urne
In questo contesto una parte dell’attenzione va all’India. L’indice Msci dedicato al paese (in dollari) da inizio anno sta perdendo circa l’11% rispetto al basket globale. Parte del problema è legato alle elezioni (la tornata è divisa in sette fasi che vanno dall’11 aprile al 19 maggio). La maggior parte degli osservatori sembra non avere dubbi sul fatto che l’attuale primo ministro, Narendra Mali, sarà riconfermato alla guida del paese. Le incertezze riguardano semmai la portata della vittoria: una maggioranza risicata, infatti, potrebbe limitare la sua capacità di portare avanti le riforme. Alcuni cambiamenti sono già partiti e hanno iniziato a far sentire gli effetti: dalla tassa sui beni e servizi (che ha ridotto i costi per le imprese), alle operazioni per far emergere il denaro che circolava nel mercato nero, passando per gli sforzi per ridurre la corruzione. In agenda c’è anche un piano di investimenti nelle infrastrutture. In mezzo a tutto questo c’è la questione del petrolio. L’India dipende dalle forniture dall’estero. Una nuova impennata del prezzo del barile (come quella registrata a partire da metà 2018) potrebbe tirare il freno alla crescita economica del paese (attualmente si aggira intorno al 7%).
Nella tabella sotto sono elencati i 10 fondi della categoria Morningstar Mercati emergenti globali che hanno la maggiore esposizione netta all’azionario indiano.
Un occhio alla Fed
L’altro fronte che viene osservato con attenzione dagli investitori nei mercati emergenti è quello degli Stati Uniti e il binocolo resta puntato sulla Federal Reserve, soprattutto da quando sembra essere tornata a una politica monetaria più accomodante. Dalla fine del 2017, la Banca centrale Usa ha ridotto il proprio bilancio, prosciugando la liquidità in dollari che altrimenti avrebbe potuto essere impiegata nei mercati globali, compresi quelli emergenti. “Il fatto che questo quantitative tightening si concluderà presto, dovrebbe rappresentare un fattore di sollievo, dato l'impatto negativo verificatosi in passato sui flussi verso azionario e obbligazionario emergente”, spiega Koon Chow, EM Macro & FX Strategist di Union Bancaire Privée. “Questo, in combinazione con i Qe ancora in vigore in Europa e in Giappone, potrebbe portare a flussi in entrata meno volatili e positivi verso gli emergenti. Ciò dovrebbe rappresentare un fattore di supporto ai prezzi degli asset e delle valute, soprattutto dove esiste un buon mix composto da grandi mercati finanziari domestici aperti e fondamentali economici da stabili a positivi. Ad esempio in Brasile, Colombia, Polonia, Ungheria, Russia e Indonesia”.
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