Sono solo scaramucce o fra Stati Uniti e Cina è iniziata veramente la guerra commerciale? A creare nervosismo è l’ipotesi di uno scontro a tutto campo. “Gli investitori iniziano a preoccuparsi che i due paesi non siano in grado di negoziare dei realistici termini riguardo al commercio in un ragionevole arco di tempo”, spiega Dave Sekera, managing director della ricerca sui corporate bond di Morningstar Credit Ratings. “Tutto questo potrebbe portare a un indebolimento dell’economia globale”. Insomma, c’è il rischio che si inneschi una recessione globale e mettendo all'angolo le Banche centrali.
Le mosse Usa
Dopo l’annuncio sui dazi in rialzo per 200 miliardi di dollari di beni cinesi, l'amministrazione Trump ha messo in moto la macchina per imporre potenzialmente tariffe sugli altri 300 miliardi di dollari di Made in China finora esentati dalla guerra commerciale fra i due paesi. Si tratta essenzialmente di tutti i prodotti attualmente non colpiti.
La risposta della Cina
Pechino ha annunciato che su alcuni beni americani, per un totale di 60 miliardi di dollari, graveranno dazi maggiorati. Un’altra strada che la Cina starebbe valutando di percorrere per colpire l'amministrazione Trump è Boeing, riducendo gli ordini. Per il colosso dell’aviazione, già in difficoltà per i due incidenti degli ultimi mesi e alle prese con una crisi di reputazione, un taglio delle richieste da parte della Cina sarebbe un colpo duro per i conti.
I prossimi passi
Le prossime mosse dovrebbero essere giocate a giugno. Il primo del mese scatteranno i dazi cinesi. Il 17 gli Stati Uniti pubblicheranno l’elenco dettagliato degli altri beni cinesi che potrebbero essere colpiti da un aumento delle tariffe. C’è poi il G20 in Giappone (dal 28 al 29), durante il quale Trump e il suo omologo cinese Xi Jinping si incontreranno. Trump, intanto, fa la voce grossa ma lascia aperto uno spiraglio. “Sapremo in 3-4 settimane se le trattative commerciali con la Cina avranno successo. Mi sento che avranno successo” ha detto in uno dei suoi innumerevoli tweet. Al momento non è chiaro, però, quale possa essere un possibile compromesso per sbloccare l’impasse delle trattative (leggi qui per un approfondimento).
C’è poi la questione del debito. Pechino è il maggior creditore estero statunitense, con in portafoglio 1.100 miliardi di dollari di debito Usa. Un’arma potente da poter estrarre durante le trattative. Ma, allo stesso tempo, una mossa rischiosa: se la Cina dovesse decidere di ridurre gli acquisti di Treasury, le ripercussioni sarebbero mondiali e il rischio per Pechino sarebbe quello di perdere credibilità a livello globale.
“Un periodo prolungato di crescenti tensioni potrebbe alimentare le incertezze sulle prospettive di crescita globali”, spiega Chia-Liang Lian, Head of Emerging Markets Debt di Western Asset (affiliata Legg Mason). “Le autorità cinesi dispongono degli strumenti di politica economica per affrontare le difficoltà cicliche, ma qualsiasi misura dovrà comunque fare i conti anche con fattori secolari che limiteranno il ritmo della crescita cinese sul lungo periodo. Cosa importante, i vicini paesi asiatici ed emergenti potrebbero risentire degli effetti a catena, soprattutto in uno scenario che sembra diventare più protezionista”.
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