Il 10 giugno è entrata in vigore la nuova versione della direttiva europea sui diritti degli azionisti (n. 2017/828), la Shareholder rights directive II, che modifica la precedente del 2007, con l’obiettivo di “incoraggiare l’impegno a lungo termine degli azionisti”, quindi di migliorare la governance attraverso un maggiore e più consapevole coinvolgimento di questi ultimi. In Italia, il decreto legislativo di recepimento (n. 49 del 10 maggio 2019, ma pubblicato in Gazzetta ufficiale solo lo scorso lunedì) prevede, tra l’altro, l’obbligo, nel nuovo articolo 124-quinques del TUF, di comunicare al pubblico la politica di impegno adottata, inclusa una descrizione generale del comportamento di voto nonché di una spiegazione dei voti più significativi. La norma richiede anche disclosure su come è stato espresso, con la possibilità di escludere quelli ritenuti non significativi in relazione all’oggetto o alle dimensioni della partecipazione nelle società.
Disclosure, un tema centrale nell’evoluzione della normativa sulla finanza sostenibile
La direttiva comunitaria si inserisce nell’evoluzione della regolamentazione volta a promuovere un sistema economico e finanziario più sostenibile. Il tema della disclosure, ossia della comunicazione ai cosiddetti stakeholder, ossia i portatori di interesse, come ad esempio i sottoscrittori di un fondo comune o pensione, è centrale nella discussione normativa sulle tematiche ESG (ambientali, sociali e di governance) e porta con sé molte sfide. Gli attori sono numerosi e tra loro esistono interdipendenze lungo la catena di valore: dagli emittenti, alle società di gestione, dai consulenti finanziari agli investitori finali.
“Questi attori hanno bisogno di conoscere l’approccio di un prodotto finanziario alle tematiche di sostenibilità per prendere decisioni di investimento”, dicono Andy Pettit e Aron Szapiro, direttori Policy research di Morningstar in un voluminoso studio dal titolo The evolving approaches to regulating ESG investing, pubblicato il 3 giugno. “Hanno anche necessità di sapere se e come si impegnano con le aziende partecipate sui temi ESG, come votano durante le assemblee e quali performance ottengono rispetto agli obiettivi che si pongono”.
Un panorama frammentato
In Europa, il panorama è frammentato sia tra i diversi paesi sia tra differenti prodotti finanziari. Alcune nazioni, come Danimarca, Francia e Italia, impongono requisiti di disclosure ai fondi pensione, alle compagnie assicurative e ai gestori, ma non in modo uniforme. Altre, come Germania, Olanda, Spagna e Regno Unito, si concentrano sugli schemi previdenziali che hanno politiche di investimento di lungo periodo. La situazione, tuttavia, è destinata a cambiare, dato che il Pacchetto della commissione europea per la finanza sostenibile include una nuova normativa sulla disclosure, i cui dettagli saranno decisi con le autorità di vigilanza europee, racchiuse nell’acronimo ESA (European supervisory authorities). Il nuovo regolamento in materia è stato adottato a maggio dal Parlamento e dal Consiglio europeo e stabilisce, come si legge nell’art. 1, “norme armonizzate sulla trasparenza che devono essere applicate dai partecipanti ai mercati finanziari, dagli intermediari assicurativi che forniscono consulenza in materia di assicurazioni per quanto riguarda gli IBIP (prodotti di investimento assicurativi, Ndr), dalle imprese di investimento che forniscono consulenza in materia di investimenti per quanto riguarda l’integrazione dei rischi per la sostenibilità nel processo decisionale o nel processo di consulenza relativi agli investimenti e la trasparenza dei prodotti finanziari che hanno come obiettivo investimenti sostenibili, compresa la riduzione delle emissioni di carbonio”.
Anche la direttiva IORP II (Institution for occupational retirement provision, relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali), entrata in vigore da gennaio 2019, permette espressamente agli schemi previdenziali di tenere in considerazione gli impatti di lungo termine delle decisioni di investimento su ambiente, sociale e governance. Inoltre, richiede un’esplicita disclosure sulla rilevanza e materialità di tali fattori nei processi decisionali e nei sistemi di gestione dei rischi. Questi obblighi possono essere adempiuti anche dicendo che non sono considerati i criteri ESG o che i costi per farlo sono sproporzionati rispetto alle dimensioni, la natura, la scala o la complessità delle proprie attività.
La formula “comply or explain”
“L’approccio comply or explain è uno sviluppo positivo della regolamentazione sulla disclosure in Europa”, dicono gli esperti di Morningstar. “I primi testi normativi consentivano la comunicazione sui fattori ESG solo se rilevanti, rendendo difficile il compito di vigilanza e, soprattutto, arduo per gli investitori essere pienamente consapevoli delle credenziali dei prodotti di investimento”.
La strada verso una maggiore trasparenza sulle strategie sostenibili sembra ormai tracciata. Il passaggio successivo dovrebbe essere una maggior convergenza sull’applicazione delle politiche di disclosure e engagement tra le diverse regioni e settori. “Con la crescente globalizzazione dell’attività degli asset manager è probabile che le migliori pratiche di un paese siano poi adottate anche da altri”, concludono Pettit e Szapiro.
Il tema della disclosure è solo uno di quelli affrontati dalla normativa europea. Altri sono la tassonomia delle attività sostenibili, l’integrazione dei fattori ESG nei processi di investimento e consulenza, standard per i green bond e nuovi benchmark low carbon.
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