Se c’è un’area in cui i principi ESG (ambientali, sociali e di governance) dovrebbero trovare la loro collocazione ideale, è quella dei fondi pensione. Non è un caso, quindi, che l’ultima Relazione annuale Covip (l’autorità di vigilanza del settore) dedichi ampio spazio all’argomento, evidenziando che “la capacità di intercettare, monitorare e gestire i fattori ESG assume nuova veste e il rischio ESG entra a pieno titolo tra quelli che caratterizzano gli investimenti nel lungo periodo”.
A spingere l’industria in questa direzione ci sono diversi fattori. Il primo è di tipo normativo. Lo scorso gennaio, infatti, è stata ricepita in Italia la direttiva europea IORP II. La nuova regolamentazione introduce sostanziali cambiamenti, soprattutto in termini di governance e gestione dei rischi. Per quanto riguarda la sostenibilità, IORP II obbligherà gli enti pensionistici aziendali o professionali a fornire completa trasparenza sul modo in cui le tematiche socio/ambientali sono integrate nella gestione finanziaria e nell’analisi dei rischi di investimento. “I fondi pensione negoziali e preesistenti con soggettività giuridica devono, pertanto, disporre di un sistema di governo idoneo ad assicurare la sana e prudente gestione dei rischi che gravano sul fondo pensione, inclusi i rischi ESG”, si legge nella consultazione Covip a tale riguardo.
Fondi pensione e sostenibilità
“La strada è segnata e già intrapresa da molti. Non occorre molto altro se non un costante dialogo tra stakeholder, conl’investitore istituzionale che, pur all’interno delle linee guida del regolatore, delega al gestore in piena fiducia l’implementazione dei portafogli”, commenta in una nota Marco Ghilotti, senior manager institutional clients e analista ESG di Pictet Asset Management. “I risultati, finanziari ed extra finanziari, arriveranno di conseguenza”.
Nello specifico, “le strategie ESG a impatto e basate sui megatrend sono quelle maggiormente in linea con gli obiettivi di rendimento e stabilità nel lungo periodo, ma anche di controllo del rischio degli investitori istituzionali. E non è un caso che i fondi pensione italiani (e in generale europei) guardino con sempre maggiore interesse a questo approccio”, continua Ghilotti, il quale ricorda anche che 14 dei 32 fondi associati ad Assofondipensione (associazione di categoria dei fondi negoziali) dichiaravano di utilizzare un approccio ESG già nel 2017.
E da allora, si legge nella nota di Pictet, gli investitori hanno continuato a muoversi. Secondo la quarta edizione dell’Osservatorio del Forum per la finanza sostenibile, realizzato in collaborazione con Mefop, 16 dei 43 operatori previdenziali interpellati, applicavano nel 2018 strategie ESG, con una preferenza spiccata per convenzioni internazionali ed esclusioni, seguite da engagement e impact investing. Il campione analizzato è composto dai primi dieci piani previdenziali all’interno di cinque diverse categorie (tra cui Casse di previdenza, Fondi pensione negoziale e Fondi pensione aperti) per masse gestite, complessivamente, di circa 169 miliardi.
Gli investimenti sostenibili in Europa
Come spesso accade, quindi, la normativa non fa altro che certificare un trend già in atto, in particolar modo in Italia. Secondo l’ultimo European SRI Study di Eurosif, gli asset gestiti in maniera sostenibile da asset manager e investitori istituzionali, inclusi i fondi pensione, in Europa ammontavano a circa 20 mila miliardi di euro a fine 2017. La tassonomia utilizzata da Eurosif classifica gli approcci sostenibili in sette categorie, ognuna delle quali integra i fattori ESG in maniera diversa. Si va dalla più semplice esclusione di interi settori (armi, alcol, tabacco, pornografia) a quelle più complesse dell’impact investing e del’investimento tematico.
Fonte: Eurosif
Passi da gigante in Italia
Come si evince dal grafico precedente, in Europa prevale ancora la strategia dell’esclusione, che caratterizza quasi la metà delle masse gestite con criteri ESG. Tuttavia, la seconda strategia per dimensioni è quella che prevede un’azione di “engagement e “voting” e cresce al ritmo del 27% annuo, indicando che qualcosa, anche nel mondo della sostenibilità, sta cambiando.
I paesi con i maggiori tassi di crescita nell’area, nel biennio 2015-2017, sono stati Polonia (+159%) e Italia (+154%). L’Italia ha raggiungo asset superiori a 1,5 mila miliardi di euro: anche in questo caso le strategie di esclusione sono preponderanti. Tuttavia, lo Stivale ha la fetta maggiore di investimenti cosiddetti a impatto (pari a 51 miliardi di euro su un totale di 108 miliardi per tutta l’Europa); la strategia Sustainability Themed ha segnato il maggior tasso di crescita negli ultimi tre anni, raggiungendo il traguardo dei 53 miliardi.
Fonte: Eurosif
È (anche) una questione di performance
Numeri, questi, che certificano un’evoluzione positiva del mercato domestico, che, secondo Marco Ghilotti, “dimostra che la delega affidata al gestore sia la scelta giusta per l’investitore istituzionale e che le strategie più sofisticate hanno dimostrato di essere anche quelle capaci, nel lungo termine, di garantire le performance migliori”.
Un nostro studio dimostra come 15 su 20 indici Morningstar sostenibili abbiano sovraperformato quelli tradizionali in molte regioni dal 2009 al 2018, inclusa l’Europa e l’Asia.
Inoltre, secondo uno studio della School of Management del Politecnico di Milano e promosso da Banor SIM, pubblicato nel 2018 e che ha preso in considerazione l’Eurostoxx 600 nel periodo 2012-2017, la sovraperformance è di quasi il 3% annuo per le aziende ad alto punteggio ESG nei confronti di quelle a basso punteggio. I titoli con alto rating di sostenibilità sono, infatti, anche i più efficienti nell’aumentare i volumi di fatturato e nel migliorare la marginalità operativa: nei cinque anni osservati, i titoli caratterizzati dal punteggio ESG più elevato hanno registrato una performance cumulata dell’86,1% (13,2% annualizzata) contro il 70,9% (11,3%) dei portafogli con titoli a basso punteggio.
Visita la sezione di Morningstar.it dedicata agli investimenti sostenibili.
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