Per Warren Buffett, considerato il più grande investitore value di tutti i tempi, l’oro rientra nella tipologia di attività finanziarie “che non produrranno mai nulla, ma sono acquistate nella speranza che qualcun altro sarà disponibile a pagare di più per loro nel futuro”. In altre parole, se possiedi un lingotto per l’eternità sarà sempre e solo un lingotto. L’investitore non può beneficiare dei vantaggi dell’interesse composto che nel lungo periodo rendono profittevoli altre asset class come le azioni.
Può sembrare un pensiero controcorrente, dopo il balzo del metallo prezioso nel primo semestre che l’ha portato sopra i 1.400 dollari l’oncia a fine giugno, un livello che non si vedeva dal 2013. Dall’inizio del 2019, il rialzo è stato intorno al 9%.
In genere, gli investitori puntano sull’oro quando sui mercati aleggiano paure di recessione economica, di spirali inflazionistiche e di crollo di altre attività finanziarie. In effetti, se guardiamo ai mercati le ragioni per preoccuparsi non mancano, dalle tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina, ai rischi geopolitici, alla revisione al ribasso delle stime di crescita globali. Poi ci sono le Banche centrali, in particolare la Federal Reserve, che sembrano aver invertito la rotta verso politiche monetarie più accomodanti.
Il circolo vizioso
Il rischio, però, è che gli acquisti di oro degli ultimi mesi ne alimentino altri sull’entusiasmo per l’aumento delle quotazioni e che i compratori considerino questo trend come una validazione della loro tesi che il metallo prezioso è oggi un affare. “Quando tutti salgono sul carro dei vincitori, creano una loro verità, per un po’”, scrive Buffett in una delle sue Lettere agli azionisti e ricorda il proverbio: “Quello che l’uomo saggio fa all’inizio; l’idiota lo fa alla fine”.
Investitori o speculatori
Prima di considerare l’investimento in oro, un risparmiatore (che va distinto dallo speculatore) dovrebbe tenere a mente due aspetti fondamentali: l’approccio di lungo periodo e le valutazioni. Secondo Philip Straehl, responsabile del mercato dei capitali e dell’asset allocation di Morningstar Investment management (Mim), “non c’è un reale beneficio nel detenere lingotti su orizzonti temporali estesi, perché il prezzo sostanzialmente terrà il passo dell’inflazione e non pensiamo che i ritorni possano essere significativamente sopra lo zero in dollari”.
Per quanto riguarda le valutazioni, Dan Kemp, responsabile per gli investimenti in Europa di MIM, è scettico. “Siccome non ha un valore intrinseco, i rendimenti sono determinati dalla domanda e dall’offerta, oltre che dalla speculazione”, dice. “Questi fattori sono estremamente difficili da prevedere, di conseguenza l’investimento in questa asset class ha basse probabilità di successo. Meglio concentrarsi sui fondamentali, quindi sulle attività finanziarie sottovalutate rispetto alle stime conservative dei flussi di cassa che possono generare”.
Un porto sicuro?
L’oro è nell’immaginario collettivo un porto sicuro e non si possono negare alcune sue proprietà di copertura dai rischi e generazione di sovra-rendimenti quando i mercati crollano. “Se confrontiamo il prezzo reale dell’oro con la crescita reale del Pil (Prodotto interno lordo) americano su base trimestrale dal 1990, notiamo come le variazioni delle quotazioni del metallo prezioso abbiano una debole relazione con l’espansione economica”, afferma Kristoffer Inton, responsabile della ricerca azionaria sulle materie prime di Morningstar. Risultati analoghi si ottengono comparandolo con l’andamento dell’indice azionario S&P 500.
Infine, il lingotto spesso si muove in direzione opposta rispetto al dollaro. “Quanto il biglietto verde è sceso tra il 2002 e il 2011, le quotazioni reali dell’oro sono salite di oltre il 600%”, spiega Inton. “Per contro, l’apprezzamento della divisa americana dopo il 2011 ha visto una diminuzione di oltre il 30% del metallo giallo”. L’analista, tuttavia, definisce “discreta” la copertura dal rischio dollaro. “Pensiamo che non sia tanto la valuta ad influenzare i corsi dell’oro, quanto che entrambi siano soggetti a fattori macroeconomici simili, come l’inflazione e i tassi di interesse”, conclude. E Straehl aggiunge: “I nostri studi suggeriscono che la duration fornisca una migliore protezione in fasi di mercato in cui gli investitori sono avversi al rischio”.
Investire in oro
L’oro, comunque, continua ad esercitare un grande fascino tra gli investitori, che oggi possono accedervi facilmente, senza dover comprare i lingotti, attraverso gli Etc (Exchange traded commodity) oppure i fondi che investono in compagnie aurifere. Il più grande replicante sull’oro fisico quotato su Borsa italiana è l’ETFS Physical Gold, che ha circa 6,4 miliardi di euro di masse totali. Tra i fondi comuni, risalta per dimensioni BGF World Gold, il cui rating è stato recentemente abbassato da Silver a Bronze dagli analisti di Morningstar, per le crescenti preoccupazioni legate all’indice di riferimento sempre più concentrato (hanno lo stesso problema gli altri comparti specializzati sui metalli preziosi). Spiega Peter Brunt del Manager research team, in una nota del 13 giugno 2019: “Cambiamenti significativi nell’universo investibile e nei benchmark generano problemi per un portafoglio che è conforme alla normativa Ucits”. Quest’ultima, infatti, limita le posizioni individuali al 10% del portafoglio per cui i gestori si sono trovati a dover sottopesare strutturalmente le società a maggior capitalizzazione rispetto al benchmark, nel quale i maggiori costituenti rappresentano una quota ben superiore. La situazione è peggiorata con il matrimonio tra Randgold Resources e Barrick Gold a fine 2018 e tra Newmont e GoldCorp nell’aprile 2019. Il team di gestione, quindi, ha minor spazio di manovra per generare valore aggiunto.
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