Quale futuro aspetta le banche italiane? Con Johann Scholtz, analista azionario di Morningstar specializzato nel settore bancario, abbiamo cercato di tratteggiare un quadro sullo stato di salute degli istituti di credito italiani e di analizzare le prossimi sfide che aspettano l’industria.
A fine gennaio la Banca centrale europea ha comunicato il valore dei requisiti patrimoniali addizionali (Pillar 2 Requirement) assegnati nell’ambito del processo annuale di revisione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process – SREP). Abbiamo dunque degli elementi in più per dare un giudizio sulla solidità dei bilanci delle banche del paese?
“Senza dubbio la situazione è molto migliorata negli ultimi anni. Le banche italiane hanno provveduto a rafforzare il loro patrimonio per essere in grado di affrontare nel miglior modo possibile un eventuale peggioramento della congiuntura economica del paese. E anche il peso dei crediti deteriorati si è alleggerito in maniera significativa, anche se il gap rispetto alla media dei competitor della regione resta. Gli istituti italiani, più dei loro competitor europei, non sono in grado di aumentare la redditività della gestione attraverso la crescita dei prestiti a causa della persistente debolezza dell’economia domestica, ma sono stati capaci di ridurre i costi operativi e aumentare le entrate derivanti dalle commissioni per le attività di asset e wealth management. E questo si è tradotto in un forte incremento della profittabilità”.
A proposito di profittabilità. Una delle sfide delle aziende del settore è appunto quella di dover coniugare la necessità di mantenere una gestione redditizia con quella di continuare a fare investimenti in tecnologia. Qual è la banca italiana meglio posizionata in questo senso?
Tra le banche coperte dalla nostra analisi, ovvero Mediobanca, Unicredit e Intesa Sanpaolo, la prima è senza dubbio avanti in questi aspetto. Unicredit e Intesa sono entrambe il risultato di molte operazioni di fusioni e acquisizioni, cosa che rende più complicato il processo di rinnovamento delle infrastrutture tecnologiche. Mediobanca, invece, può godere di maggior flessibilità nel fare investimenti di questo tipo.
Il tema della sostenibilità è diventato centrale anche nel settore finanza e le banche devono fare i conti anche con la gestione del rischio climatico. L’Eba (Autorità bancaria europea), infatti, sta pensando di aggiungere questo elemento come uno dei rischi da verificare nei suoi stress test. Può spiegare come il rischio climatico può impattare sul bilancio delle banche e quali sono meglio posizionate sotto questo aspetto?
Gli istituti di credito sono coinvolti dal rischio climatico per via della loro esposizione alle società del comparto energia, che sono quelle più esposte al processo di transizione dai combustibili fossili. Più generose sono le linee di credito concesse a queste società, più alto è il rischio che il calo della domanda di combustibile fossile atteso nei prossimi anni si traduca in un deterioramento di questi crediti e, dunque, in un indebolimento dei bilanci. Relativamente alle banche italiane non è possibile giudicare chi sia la più virtuosa in questo senso a causa della mancanza di dati.
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