Gli americani contrappongono Wall Street a Main Street, per indicare da un lato la finanza e dall’altro il mondo produttivo. Potremmo parafrasare con economia finanziaria versus economia reale. In un sistema ideale sono complementari, ma la storia ha insegnato che le logiche speculative possono danneggiare i produttori di beni e servizi.
Per semplificare, potremmo dire che da un lato ci sono le azioni, le obbligazioni, i derivati, i fondi e gli altri strumenti finanziari; dall’altro ci sono le fabbriche, gli immobili, i terreni, gli impianti, le merci e così via. I primi dovrebbero servire primariamente a dare risorse monetarie alle imprese perché possano funzionare. Queste ultime ricorrono ai mercati finanziari quando hanno bisogno di capitali per investire e realizzare prodotti e servizi. Nei sistemi moderni e globali, tuttavia, può accadere che un andamento positivo delle Borse non si rispecchi in risultati altrettanto buoni per l’economia. Nel 2019, ad esempio, gli indici azionari e obbligazionari sono saliti nei paesi occidentali più di quanto sia cresciuto il Prodotto interno lordo (Pil).
Settore finanziario e industriale
Visto da un’altra prospettiva Wall Street indica il settore bancario e assicurativo in contrapposizione con le industrie anche se bisogna riconoscere che il segmento finanziario dà lavoro a decine di migliaia di persone e concorre a sostenere l’economia. Pensiamo al ruolo che hanno gli istituti di credito nel finanziare le industrie di piccole e medie dimensioni che non ricorrono alla Borsa. In questa molteplicità di definizioni, alcuni ritengono che l’economia reale dovrebbe comprendere anche l’immobiliare, le infrastrutture e i servizi a controllo pubblico, ma il dibattito al riguardo è aperto.
Gli investimenti in economia reale
Come è stato recentemente fatto nel Quaderno curato da Intermonte con l’Associazione italiana private banking (Aipb) e il Politecnico di Milano sul tema, possiamo utilizzare la definizione di economia reale data dal Centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali in uno studio realizzato con Borsa italiana. Dunque, consideriamo gli investimenti in economia reale quelli “di qualsiasi tipo, anche attraverso titoli di debito, azioni o strumenti ibridi, siano essi privati o negoziati su listini borsistici (regolamentati e non), siano essi detenuti direttamente, attraverso un mandato di gestione o attraverso la detenzione di parti di Oicr (Organismi di investimento collettivo del risparmio, Ndr), diretti verso imprese di capitale residenti in Italia, di qualsiasi dimensione, dedite alla manifattura, all’agricoltura e all’erogazione di servizi, escluso il macro-settore finanziario”. Vengono considerati come flussi verso l’economia reale gli investimenti in infrastrutture, così come gli investimenti in immobili e società immobiliari. Sono esclusi quelli in titoli di Stato italiani o di altri enti pubblici.
Poca economia reale in Borsa
Rispetto ad altri mercati europei, in Italia l’economia reale è sotto-rappresentata in Borsa. Il ramo bancario-assicurativo pesa per circa il 30%; il comparto industriale vale il 14%, i beni di consumo il 15%, i servizi di pubblica utilitàil 18% e il comparto petroliferol’11%. Nel segmento obbligazionario c’è poca economia reale, anche se si è registrata negli ultimi anni una crescita del listino non regolamentato dedicato ai minibond, le obbligazioni emesse dalle Pmi (piccole e medie imprese).
Il Quaderno di Intermonte, inoltre, mostra che tra fine 2017 e il 30 giugno 2019, lo stock di ricchezza investito dalle famiglie nell’economia reale è diminuito da 1.442 miliardi di euro a 1.306 miliardi a vantaggio di impieghi verso l’estero e soprattutto verso il debito pubblico italiano. Se consideriamo anche che dei 4.200 miliardi di euro di attività finanziarie, una parte consistente (circa 1.400 miliardi) è parcheggiata in liquidità è chiaro come ci siano ampie possibilità di attingere a questo bacino per finanziare le piccole e medie imprese.
Meno debito pubblico, una priorità
Come ha spiegato Giancarlo Giudici, professore associato della School of Management del Politecnico di Milano e referente scientifico della ricerca Intermonte, “in Italia c'è un enorme potenziale di risorse finanziarie che oggi si disperdono spesso in impieghi indiretti e che potrebbero essere direttamente destinate alle imprese produttrici. Da questo punto di vista, l'educazione finanziaria e le nuove tecnologie fintech sono elementi essenziali per rendere più efficiente il mercato. È anche prioritario contenere la crescita del debito pubblico, perché si è dimostrato che ha distolto risorse importanti che potevano essere destinate alle imprese. Migliorare l'attrattività per gli investimenti dall'estero è un ulteriore obiettivo generale che richiede un'azione coordinata di sistema”.
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