Gli investimenti? Roba da maschi. Almeno secondo una recente indagine a cura di Eumetra MR per conto della società di credito al consumo Agos. Infatti, se da un lato il sondaggio certifica che le donne partecipano attivamente nella gestione delle spese familiari (74%) – ancorché in ambiti ancora circoscritti come l’abbigliamento (91%), gli acquisti per la casa (86%) o per i figli (85%) – dall’altro si conferma che la pianificazione finanziaria (laddove presente) è ancora appannaggio dell’uomo (70% dei casi).
Secondo l’analisi, l’ambito in cui più di ogni altro si deve progredire riguarda proprio la formazione alla pianificazione finanziaria. Le donne italiane, infatti, sui temi economico-finanziari mostrano per lo più una preparazione da autodidatta, che sfocia in una minore confidenza con la gestione del denaro e con la trasformazione del capitale risparmiato attraverso adeguati investimenti, e soprattutto una minor autonomia (e quindi una maggior dipendenza dai parenti e dalle figure maschili).
Dal punto di vista della cultura finanziaria gli uomini sono più preparati e hanno accesso a fonti più professionali e dirette, come consulenti bancari e finanziari, mentre il punto di debolezza delle donne sta nel fatto che il loro processo di formazione è più interno alla famiglia, come se si appoggiassero di più agli uomini in questa materia.
Tuttavia, lo studio dimostra che il target femminile emerge come dotato di alcune risorse e capacità che, se adeguatamente valorizzate, possono essere molto utili per una cultura finanziaria moderna. Le donne, infatti, sembrano più orientate dell’uomo al controllo del denaro, e quindi del rischio, e allo stesso tempo hanno un orizzonte temporale più lungo.
In un paese come l’Italia dove la cultura finanziaria è bassissima (vedasi casi come quelli, giusto per citarne due, di Banca Etruria e Banca Popolare di Bari) non possiamo permetterci di lasciare indietro metà della popolazione. Non si tratta solo di una questione di sviluppo del paese, ma anche semplicemente di autonomia e indipendenza personale. Secondo una ricerca a cura di Episteme in collaborazione col Museo del Risparmio di Torino effettuata nel 2017, oltre il 30% delle donne italiane non ha un conto corrente personale. Una conseguenza del fatto che quasi quattro donne su dieci non hanno alcun reddito e ciò si verifica sopratutto al Sud e nelle Isole, dove la percentuale aumenta ancora di più. Qui il 46% dipende dal compagno o dal marito.
“È evidente il permanere di uno squilibrio tra i generi nella divisione dei compiti famigliari ed il prevalere di norme sociali non scritte sui ruoli di ognuno”, commenta Claudia Segre, presidente della Global Thinking Foundation. “Ciò non favorisce una partecipazione diffusa al mondo del lavoro e alimenta un disequilibrio che priva le donne di opportunità economiche e professionali, aggravato dal permanere di differenze salariali. Una carenza di cultura finanziaria risiede così anche in una minore disponibilità economica ed un mancato accesso alle risorse della famiglia o alla condivisione di scelte economiche e finanziarie. Le donne, con un’aspettativa di vita maggiore, ma un reddito inferiore, affrontano con difficoltà una pianificazione efficiente del proprio benessere finanziario”.
Le conseguenze di tale situazione, ovviamente, vanno al di là del mero aspetto economico. “Qualsiasi squilibrio ha un costo sociale e anche il fenomeno della violenza economica è direttamente legato a una carenza di competenze finanziarie”, continua Segre. “Come sottolineato da più parti, il 30% delle madri alla nascita del primo figlio abbandona la propria occupazione, dopo la separazione il 60% delle donne si trova in una situazione di indigenza e l’85% delle famiglie monoreddito in condizioni di povertà assoluta sono guidate da donne. Le situazioni di esclusione economica sono diffuse in Italia e raccogliamo dai nostri sportelli una casistica varia e drammatica di disagio economico riguardo al reddito e alla posizione sociale, il che condiziona il futuro dei figli”.
Come se ne esce, dunque? “Investire nei programmi di formazione e informazione di educazione finanziaria può fare la differenza”, afferma la presidente della Thinking Global Foundation. “Allo stato attuale le differenze di genere nelle competenze economiche e finanziarie si uniscono a quelle sull’alfabetizzazione digitale penalizzando il paese. È ovvio che favorire un passaggio intergenerazionale di modelli sociali e culturali attenti alla parità di genere, unitamente a maggiori servizi di sostegno alle famiglie, contribuirebbe in misura maggiore all’efficientamento della forza lavoro e al rafforzamento della crescita del paese”.
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