I mercati di frontiera provano a svegliarsi. Ma, avvertono gli operatori, anche le economie e gli asset azionari dei paesi meno sviluppati dovranno fare i conti con gli effetti, sanitari e congiunturali, della pandemia di Coronavirus.
La categoria Morningstar dedicata ai fondi che investono sui mercati di frontiera in un mese (fino al 28 aprile e calcolato in euro) ha guadagnato il 6,9% portando a -22,6% la performance da inizio anno. Un andamento, quello delle ultime quattro settimane, tutto sommato in linea con quello del segmento riservato ai paesi emergenti e che cerca di tenere il passo con la ripresa dell’equity a livello globale.
Andamento categoria Global Frontier equity da inizio anno
Dati in euro aggiornati al 28 aprile 2020
Fonte: Morningstar Direct
Dal punto di vista degli effetti dell’emergenza sanitaria e delle conseguenze che potrà avere sulla situazione delle aree meno sviluppate del pianeta, il quadro da una parte rassicura, ma dall’altra preoccupa. “Abbiamo registrato il primo focolaio nella Cina continentale a gennaio 2020; il secondo si è verificato in Corea del Sud e nei paesi occidentali (Europa e Stati Uniti) nella seconda metà di febbraio; infine, nelle ultime settimane, abbiamo assistito a una sorta di terza ondata nei paesi emergenti e di frontiera”, spiega Yerlan Syzdycov, Global head of emerging markets di Amundi. “Detto questo, dobbiamo sottolineare che il numero dei decessi è ancora basso rispetto ai livelli registrati nelle aree developed”.
Recessione in vista per la frontiera
Per quanto riguarda questa terza ondata di epidemia, la buona notizia è che i mercati emergenti e i paesi di frontiera possono cercare di replicare le misure più efficaci messe in atto dai paesi già colpiti dalla pandemia. “La cattiva notizia è che la maggior parte di quegli stati non dispone di sistemi sanitari adeguati per affrontare la grave emergenza in atto”, dice Syzdycov. “Per quanto riguarda gli impatti economici, la combinazione della diffusione dell’epidemia e delle relative misure di blocco attuate per contenerla, insieme agli shock esterni derivanti da una domanda più debole dall'estero e da minori flussi turistici, spingerà questi mercati in recessione”.
La profondità e la durata di questa frenata dipenderanno principalmente dalla dinamica della curva delle infezioni, dalla tempistica dei lockdown che saranno attuati e dalla disponibilità a livello globale (anche per i paesi più poveri) di trattamenti per curare gli effetti del virus o di un vaccino. “Le difficoltà per la domanda interna saranno amplificate nelle economie più aperte, quelle ben integrate nella catena dell'offerta globale, o nei paesi esportatori di materie prime, così come nei paesi più piccoli altamente dipendenti dai flussi turistici”, dice Syzdycov.
Gli investitori scappano?
Un altro elemento che potrebbe mettere in difficoltà i paesi di frontiera è l’avversione al rischio che gli investitori provano durante le fasi di incertezza di mercati. “I frontier market, considerate le dimensioni delle loro economie, sulla carta rispetto alle zone emergenti avrebbero meno bisogno dell’intervento degli investitori esteri”, spiega uno studio di Sergi Lanau, Deputy chief economist dell’Institute of international finance (un organismo formato da diverse società finanziarie a livello globale che fornisce indicazioni sulla gestione dei rischi). “Tuttavia questi paesi possono fare affidamento su minori riserve valutarie rispetto agli emerging. Nei momenti di stress finanziario gli investitori tendono a scappare dalle situazioni a rischio, rendendo le fasi di crisi più difficili da gestire”.
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