Costi dei fondi, Italia in coda alla classifica

Commissioni di ingresso e retrocessione, oltre a spese medie ponderate per il patrimonio elevate, pesano sul risparmio gestito tricolore. Cosa può portare a un cambiamento della situazione.

Sara Silano 18/05/2020 | 09:07
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Riproponiamo l'articolo pubblicato su Morningstar.it il 18 settembre 2019 che presenta i risultati del rapporto Global investor experience sui costi dei fondi nel mondo. L'analisi ha riguardato 26 mercati, tra cui l'Italia.

Se l’esperienza degli investitori fosse misurata esclusivamente sulla base dei costi, i sottoscrittori di fondi in Italia avrebbero molte ragioni per essere insoddisfatti. Secondo l’ultimo rapporto Morningstar Global investor experience, il Belpaese è in coda alla classifica dei mercati globali sulla base delle commissioni e degli oneri del risparmio gestito.

L’analisi ha riguardato 26 mercati e ha considerato principalmente i fondi aperti disponibili a un pubblico retail (non solo quelli domiciliati, ma anche i disponibili alla vendita ai privati). Per le comparazioni è stato usato l’expense ratio ponderato per il patrimonio, avendo come metodologia di riferimento quella del costo rappresentativo.

Morningstar ha assegnato i giudizi su una scala che comprende cinque gradi: Alto (Top), Sopra la media (Above Average), Nella media (Average), Sotto la media (Below Average), e Basso (Bottom). Australia, Paesi Bassi e Stati Uniti si collocano ai vertici della classifica, mentre Italia e Taiwan al fondo. Ottengono una valutazione insufficiente anche Francia, Germania e Spagna.

La classifica dei mercati in base al giudizio sui profili commissionali

Global investor experience: la classifica dei mercati globali in base ai costi

Punti di forza e di debolezza
“L’Italia è scivolata dal livello Sotto la media della precedente rilevazione del 2017 a Basso per via delle commissioni di ingresso e di retrocessione a carico degli investitori privati”, si legge nello studio.” Inoltre, i fondi disponibili in Italia sono penalizzati dai costi medi ponderati per il patrimonio, che risultano essere generalmente elevati in tutti i settori”.

Per quanto riguarda i mercati al top, i fattori che spiegano il loro successo sono da un lato le economie di scala e la concorrenza che ha generato pressioni sui costi, complice l’avanzata delle strategie passive, e dall’altro la regolamentazione, che ha portato a un elevato livello di trasparenza sulle commissioni. Il primo ordine di elementi è vero soprattutto per gli Stati Uniti; il secondo per i Paesi Bassi. Il mercato australiano ha tratto vantaggio sia dalla competizione sia dai cambiamenti normativi.

Costi in discesa
In generale, il quadro sta cambiando un po’ ovunque. L’indicatore di spesa ponderato per il patrimonio è sceso negli ultimi due anni nella maggior parte dei mercati coinvolti nello studio Global investor experience, con le riduzioni più significative in Olanda, India e Canada. Inoltre, la metà delle aree coinvolte ha giudizi nella media o superiori, grazie alla discesa dei costi e alla possibilità di accedere a classi low cost con più facilità rispetto al passato. Il mix di incentivi al risparmio e obblighi di trasparenza ha dimostrato di produrre effetti positivi in diversi casi. Il più emblematico è quello indiano: il Paese è passato da un giudizio “sotto la media” a “nella media” grazie a una normativa favorevole ai risparmiatori, che prevede, tra l’altro, il divieto di fee di sottoscrizione e un tetto agli oneri a carico dei sottoscrittori.

Perché l’Italia è in coda
In Italia, come nel resto dell’Unione europea, la direttiva Mifid 2, che obbliga a una informativa delle spese ex-ante e ex-post, non solo in termini percentuali ma anche assoluti, è probabile che nei prossimi anni porti a una maggiore pressione sui costi. I primi rendiconti sono arrivati quest’estate ed è troppo presto per fare qualsiasi considerazione. Ma qual è la situazione attuale? La maggior parte dei comparti domiciliati o disponibili alla vendita nel Belpaese riporta nei documenti di offerta oneri di sottoscrizione (e/o) uscita, che spesso sono negoziabili con il cliente. Le cosiddette clean share class, ossia senza oneri di distribuzione, sono difficilmente accessibili ai risparmiatori a causa del sistema distributivo dominato dai gruppi bancari e dalle reti di consulenti “collegati”. Non ci sono Exchange traded fund domiciliati in Italia e il loro utilizzo nei portafogli è ancora relativamente poco diffuso, anche se l’arrivo dei robo-advisor ha aumentato il numero di investitori che cercano strumenti low cost.

 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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