La crisi generata dalla pandemia di Covid-19 ha messo l’Europa, così come il resto del mondo, davanti alla sfida di una ripresa sostenibile, ossia più resiliente dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Perché questo avvenga nessun fattore deve prevalere sugli altri. Il rischio, altrimenti, è che il virus lasci strascichi di maggiori disuguaglianze e povertà, oltre a un alto debito pubblico.
Il 15 maggio il Parlamento europeo ha pubblicato una risoluzione per invitare la Commissione a gestire le risorse messe a disposizione per la ripresa economica riconoscendo priorità agli obiettivi dell'EU Green Deal, del pilastro europeo dei diritti sociali, dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e dell'uguaglianza di genere. Intanto è aperta fino al 15 luglio la consultazione per la revisione della strategia sulla finanza sostenibile con l’obiettivo di creare una base solida per lo sviluppo di questo tipo di investimenti, aumentare le opportunità per i cittadini, gestire e integrare i rischi climatici e ambientali nel sistema finanziario e incentivare le imprese ad avere un impatto ESG positivo. Insomma, si tratta di rinnovare l’Action plan, tenendo conto delle nuove sfide poste dal Coronavirus.
Priorità agli interessi di tutti, non solo degli azionisti
In una comunicazione congiunta del 22 giugno, l’Efama (l’associazione dell’industria degli investimenti europea) e altre realtà, tra cui il WWF, CDSB (Climate disclosure standards board) e IIGCC (Institutional investors group on climate change) hanno sollecitato l’importanza di mettere in piedi gli strumenti e gli incentivi perché tutte le parti coinvolte (pubbliche e private) possano raggiungere questi obiettivi. “La Commissione europea ha indicato nella consultazione per la revisione della Sustainable finance strategy che le aziende devono dare priorità agli interessi di lungo termine degli stakeholder”, si legge nella nota. “Noi consideriamo la revisione della direttiva sulla rendicontazione non finanziaria un importante elemento in questo senso”.
Il tema è di grande attualità perché la Non-financial reporting directive (n. 2014/95/EU) è stata recepita in modo diverso a livello di singoli paesi, come è emerso da un recente webinar promosso dall’Osservatorio Climate finance del Politecnico di Milano, cui ha partecipato tra gli altri Nadia Linciano, responsabile dell’Ufficio studi economici della Consob. La ragione principale è l’elevato grado di possibilità di scelta per imprese e stati membri, ad esempio con riferimento agli standard utilizzabili per il reporting, al documento in cui fornire le informazioni e al tipo di controlli esterni. Le divergenze si sono manifestate anche nel regime sanzionatorio.
Perché rivedere la normativa sulla rendicontazione non finanziaria
La consultazione per la revisione, indetta dalla Commissione europea, si è conclusa l’11 giugno (tra gli altri vi ha preso parte anche Assogestioni) e ha toccato le questioni aperte, oltre al coordinamento con la nuova disciplina dell’Unione sulla finanza sostenibile (tassonomia, Regolamento (UE)2019/2088 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, modifiche alla disciplina di valutazione dell’adeguatezza di Mifid e Idd, ecc.).
Tra i punti messi in luce dall’Efama e da altri portatori di interessi alcuni sono considerati fondamentali per aumentare la trasparenza, comparabilità e coerenza delle informazioni fornite.
- Allargare il raggio di azione. L’idea di fondo è che l’impatto ambientale o sociale di un’azienda non dipenda dalle dimensioni o dal fatto che sia quotata. Di qui la raccomandazione di ampliare gli obblighi di reporting alle imprese più coinvolte per la loro attività o il modello di business.
- Includere le informazioni non finanziarie nella Relazione annuale sulla gestione, in modo da aumentare la connessione con le “informazioni finanziarie” e permettere un’adeguata supervisione da parte delle autorità di vigilanza.
- Rinforzare gli aspetti sociali e di governance. In sostanza, si tratta di considerare allo stesso livello i fattori ambientali, che finora sono stati al centro, quelli sociali e di governo societario.
- Stabilire dei requisiti minimi obbligatori per la reportistica, in modo da assicurare comparabilità, coerenza e affidabilità delle informazioni. Connessa c’è l’esigenza di semplificare e accorpare le iniziative già in essere in tema di comunicazione relativa alla sostenibilità, oltre che di tenere in considerazione gli standard già previsti a livello internazionale.
- Assicurare la coerenza con le altre normative europee come quella sulla tassonomia o il regolamento sulla disclosure degli investitori istituzionali.
Un altro tema caldo è l’integrazione dei rischi ESG e dei fattori di sostenibilità nelle direttive Ucits (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities), Mifid (Markets in Financial Instruments Directive) e Aifmd (Alternative Investment Fund Managers Directive). In risposta alla consultazione sugli atti delegati, Efama ha caldeggiato l’opzione di un approccio flessibile che “promuova uno sviluppo dinamico degli investimenti sostenibili”, piuttosto di uno standardizzato che si limiti a barrare delle caselle di un questionario.
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