Il calo del prezzo del petrolio arrivato con i lockdown causati dalla pandemia preoccupa le economie emergenti che vivono grazie alle esportazioni del barile. Ma non tutte rischiano allo stesso modo. La situazione sul fronte delle quotazioni è allarmante se si considera che, ad esempio, nel primo semestre del 2020 il greggio è sceso del 36%.
Come si muoverà il petrolio?
Sul lato della domanda, le aspettative degli analisti di Morningstar parlano di un calo del 9% nel 2020. Se confermato, si tratterebbe del dato peggiore mai registrato dalla fine della Seconda guerra mondiale. Tale stima è legata a quella della crescita dell’economia globale. Solitamente la domanda di greggio si muove in rapporto 1 a 1 con il Pil, previsto per quest’anno in calo del 3,2%, ma gli attuali numeri delle richieste di greggio risentono del blocco dei trasporti prodotto dall’espansione della pandemia.
Lo shock della domanda, comunque, potrebbe essere di breve periodo. Già per il 2021 gli analisti ipotizzano una sua forte risalita legata, però, a un esaurimento degli effetti negativi del Coronavirus sull’economia globale.
Diversamente dalla crisi finanziaria del 2008, che si è protratta per diversi anni, le previsioni indicano una repentina ripresa del Pil mondiale. La capacità produttiva, infatti, rimarrà sostanzialmente intatta e la fiducia di famiglie e imprese dovrebbe rimbalzare velocemente una volta scoperto un vaccino per il virus. Questo permetterebbe alla domanda di greggio di rimettersi sul sentiero di crescita che stava percorrendo prima dello scoppio della pandemia.
Andamento della domanda di petrolio
Fonte: Morningstar Direct
Fin qui le previsioni. Ma il petrolio è un asset famoso per la sua volatilità che può essere determinata, ad esempio, da tensioni geopolitiche o da possibili nuovi lockdown.
“Gli esportatori di petrolio potrebbero essere colpiti in maniera diversa dalle oscillazioni del prezzo del petrolio”, spiega Sabrina Khanniche, Senior Economist di Pictet Asset Management. “La loro reazione dipenderà in larga misura dal relativo prezzo di breakeven estero, cioè dal prezzo del petrolio necessario a coprire le spese legate alle importazioni”.
Questo ragionamento porta a suddividere i paesi che vivono di esportazioni di petrolio in due gruppi.
1) Esportatori di petrolio con un breakeven basso:
-Iran,
-Kuwait,
-Qatar,
-Russia,
-Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti
“Un prezzo di breakeven estero inferiore al prezzo attuale del petrolio offre a questi governi la possibilità di allentare la politica fiscale o di assistere a un apprezzamento della valuta”, dice Khanniche. “Questi paesi rappresentano il 39,4% di tutto il petrolio fornito nel mondo dalle nazioni esportatrici”.
2) Esportatori di petrolio con un breakeven alto:
-Algeria,
-Angola,
-Colombia,
-Kazakistan,
-Nigeria
-Oman
“In assenza di riserve finanziarie, questi paesi corrono il rischio di tagli alla spesa o di un deprezzamento della valuta, soprattutto se il prezzo del petrolio dovesse scendere al di sotto del prezzo di breakeven estero”, dice Khanniche. “I paesi in questione rappresentano il 9,4% di tutto il petrolio fornito nel mondo dalle nazioni esportatrici”.
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