Gli investitori italiani hanno a disposizione una ventina di fondi azionari mercati emergenti con il massimo Sustainability rating (5 globi) e la designazione Low carbon. Si tratta di strumenti che non necessariamente hanno un mandato socialmente responsabile nel prospetto informativo, ma hanno dei portafogli con un basso rischio legato a fattori ambientali, sociali e di governance (ESG). Si caratterizzano anche per una ridotta esposizione alle fonti fossili e alle aziende che stanno gestendo peggio il rischio carbonio.
Al top
Il fondo con il miglior posizionamento, in base al punteggio storico di sostenibilità (che è una media ponderata dei Sustainability score di portafoglio degli ultimi dodici mesi), è JSS Systematic Equity – Emerging markets, il quale presenta una percentuale minima di patrimonio in titoli con alto ESG risk (il rischio ESG non gestito o non gestibile) alla data di analisi di Morningstar (30 luglio 2020). Anche il Carbon risk score, che permette di valutare l’allineamento degli investimenti alla transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2, è tra i migliori della categoria. Questo, insieme alla ridotta esposizione a fonti fossili, spiega perché il comparto abbia il Low carbon designation.
Revisioni di rating
Tra i fondi azionari emergenti più virtuosi dal punto di vista della sostenibilità, sei sono coperti dalla ricerca qualitativa di Morningstar e hanno l’Analyst rating (vedi tabella). Recentemente, il comparto con il più alto giudizio (Gold), Comgest growth emerging markets, ha subito una riduzione della valutazione a Silver per la maggior parte delle classi (la più costosa retail è Bronze). Come spiega Mathieu Caquineau, direttore associato della Manager research di Morningstar, in una nota del 18 settembre 2020, la ragione del downgrade è l’uscita di scena del suo gestore più esperto, Wojciech Stanislawski, a gennaio 2021. Il manager è destinato ad assumere un altro ruolo all’interno di Comgest, dopo aver gestito la strategia dal 2000. Dal 2014 era affiancato da Emil Wolter proprio con l’obiettivo di preparare la successione. Il resto del team rimane intatto. “Siamo fiduciosi nelle loro capacità”, precisa Caquineau. “Non ci aspettiamo grandi criticità quando Stanislawski lascerà il timone del fondo. Tuttavia, il nostro livello di convinzione è leggermente cambiato, dato che la squadra ha in media quattro anni di esperienza, un intervallo piuttosto breve”.
Se il mandato è sostenibile
Ha un esplicito mandato socialmente responsabile il fondo Steward Investors Global emerging markets Sustainability Fund VI, che ha un Analyst rating pari a Silver (report di Andrew Daniels del 1 settembre 2020). La strategia è in mano al team di sostenibilità di Steward Investors e adotta un approccio best-in-class, dando particolare importanza alla qualità del management delle aziende. Requisiti essenziali sono l’integrità professionale, l’orientamento al lungo termine e l’abilità nel gestire i rischi. Per le sue caratteristiche ESG, gli investitori devono mettere in conto un sottopeso del settore energetico e dei materiali di base.
Nessun rischio severo
Alcuni dei migliori fondi sostenibili emergenti non sono in nessun modo esposti alle società con un severo rischio ESG (in base alla metodologia di Sustainalytics, è severo un ESG risk superiore a 40 punti. E’ considerato alto invece tra 30 e 39,99). Tra questi ci sono NEF Emerging Market Equity, Vontobel Emerging Markets Equity, Merian Global Emerging Markets e Lombard Odier Funds Emerging High Conviction (elaborazione dati a fine luglio 2020).
Le aree critiche
In base ai dati di Product involvement è possibile vedere, inoltre, il coinvolgimento in aree critiche del portafoglio dei fondi. Alla data in cui scriviamo, nessuno risulta investire nel settore dell’intrattenimento per adulti, dei pellami speciali e protetti, degli organismi geneticamente modificati, dei pesticidi e dei produttori di armi militari. E’ ridotta anche la presenza di altri settori controversi come il tabacco, il carbone termico e le armi di piccola taglia. Mediamente, invece, è di poco inferiore al 7% il peso di industrie che fanno test sugli animali (la percentuale più alta tra le aree critiche).
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