Buy&Hold, ma non per sempre

L’allocazione ottimale di portafoglio non è scolpita nella roccia, ma cambia nel tempo, assieme ai bisogni e agli obiettivi finanziari. Ribilanciare periodicamente i propri attivi è quindi fondamentale. Ecco come e perché farlo. 

Valerio Baselli 21/10/2020 | 10:55
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Portafoglio Finanza Personale Rischio Asset Allocation

Da sempre Morningstar mette in guardia gli investitori (soprattutto se privati) rispetto ai pericoli del market timing. La strategia antitetica a quella di anticipare il mercato è la Buy and Hold, in inglese “compra e tieni”, un approccio che consiste nel scegliere la migliore asset allocation possibile in base ai propri obiettivi finanziari e alla situazione patrimoniale, evitando allo stesso tempo un’eccessiva movimentazione degli attivi di portafoglio. Il motivo principale sta nel fatto che un investitore accorto dovrebbe sempre avere un orizzonte di medio/lungo periodo, senza contare il fatto che più il tasso di rotazione di portafoglio sarà elevato, più i costi legati alle transazioni cresceranno, assieme alla volatilità e quindi al rischio potenziale.

Tuttavia, è bene tenere a mente che i nostri obiettivi finanziari, i nostri bisogni monetari e la nostra situazione patrimoniale cambiano nel tempo. Non dall’oggi al domani, evidentemente, ma abbastanza spesso. E poi, mantenere la medesima strategia di portafoglio nel corso negli anni è già di per sé quasi impossibile. Anche senza modificare il proprio portafoglio, la sua struttura tenderà a deviare col passare del tempo a seguito delle variazioni di mercato delle singole posizioni, il che può provocare un significativo disallineamento rispetto all’ asset allocation inizialmente scelta. Questo è ancor più vero subito dopo periodi di forte volatilità come quello che abbiamo vissuto con lo scoppio della pandemia.

Insomma, per tutte queste ragioni, è una buona cosa prevedere un ribilanciamento periodico di portafoglio, una specie di “tagliando” dei propri investimenti. Ma come fare in concreto? Ecco alcune semplici indicazioni su come procedere, senza però dimenticare che in un’attività del genere sarebbe sempre meglio farsi affiancare da un professionista.

Fare il punto della situazione
Il primo passo da compiere è fotografare lo stato attuale dei propri investimenti: cosa è salito? Cosa è sceso? Cosa è diventato troppo rischioso? Ha senso vendre degli attivi per prendere profitto? Ha senso fare acquisti di tipo contrarian?

Tutto ciò dipende come sempre da quali siano gli obiettivi di investimento, che come abbiamo detto vanno di pari passo con l’età (e quindi con il proprio orizzonte temporale) e la propensione al rischio. In sostanza, questo vuol dire sapere quale percentuale dei propri risparmi dedicare ad azioni, obbligazioni, liquidità ed eventualmente altre tipologie di investimento come ad esempio le materie prime. Attenzione però, non è così scontato come potrebbe apparire, soprattutto perché la maggior parte dei fondi non sono puri azionari o obbligazionari. Non è raro trovare fondi azionari, ad esempio, che detengano anche una parte di liquidità. Questo dipende dalle condizioni del mercato; in alcuni momenti, infatti, i gestori possono aumentare o diminuire la propria allocazione in liquidità. Per sapere esattamente cosa si ha in portafoglio, ci sono strumenti appositi (ad esempio la funzione Raggi X di Morningstar).

Simulare il ribilanciamento
Se si ha in tasca quello che si vorrebbe in termini di asset class, settori e regioni, il lavoro è fatto. Tuttavia, nella maggior parte dei casi saranno necessari alcuni cambiamenti. Prima di cambiare, comunque, è sempre meglio fare delle simulazioni per vedere quale sarebbe esattamente l’asset allocation che si avrebbe inserendo ad esempio un nuovo fondo, tenendo a mente come già detto che raramente i fondi sono puramente azionari o obbligazionari. Inoltre, prima di liquidare posizioni è bene anche domandarsi quali possano essere gli effetti fiscali del ribilanciamento.

Tenere in considerazione l’aspetto fiscale
Non tutti gli strumenti d’investimento vengono infatti tassati alla stessa maniera e occorre prendere in considerazione anche questo aspetto per poter ottimizzare i rendimenti finali. Fondi comuni, ETF, ETC, fondi pensione, azioni e titoli di Stato hanno trattamenti fiscali differenti. Data la complessità della materia e i continui cambiamenti, chi fosse davvero interessato potrebbe magari chiedere delucidazioni a un esperto in materia, fiscalista o commercialista.

Avere sempre un benchmark di riferimento
Quello che conta in finanza è la performance relativa. Se si è guadagnato il 10%, ma tutti gli altri hanno intascato il 20%, non si può essere contenti. Dall’altro lato, se si è perso il 5%, a fronte di una discesa media del mercato del 10%, ci si può ritenere tutto sommato soddisfatti. Perciò, prima di esaltarsi o deprimersi, è importante assegnare al proprio portafoglio, o ai vari sottoinsiemi di esso, il benchmark più approppriato, in modo da essere sempre in grado di giudicare i risultati che si ottengono. Con il cambiare dell’asset allocation, quindi, muteranno anche gli indici di riferimento.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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