Spesso abbiamo ricevuto la domanda: “Perché gli indici azionari Morningstar includono Tesla?” La nostra reazione iniziale è stata: “Perché non dovrebbero?”
Dopo tutto, la capitalizzazione di mercato del produttore di veicoli elettrici a inizio di novembre ha superato i 400 miliardi di dollari, rendendolo uno dei 15 maggiori titoli negli Stati Uniti. Gli indici progettati per rappresentare il mercato azionario non dovrebbero detenere uno dei suoi maggiori componenti?
La domanda è giustificabile dal punto di vista degli investitori, in quanto il comitato che supervisiona lo S&P 500 ci ha messo davvero molto tempo a decidere di aggiungere Tesla (è notizia di pochi giorni fa infatti che il titolo ci entrerà il prossimo 21 dicembre). Più di 10.000 miliardi di dollari di asset prendeno tale indice come riferimento, sia da gestori azionari attivi che lo usano come metro di misura sia da investimenti passivi che lo tracciano. Lo S&P 500 è persino citato come barometro della salute economica americana. La composizione dell’indice in genere non attira molta attenzione, ma il fulmineo apprezzamento del prezzo delle azioni di Tesla rende difficile ignorara l’azienda di Elon Musk.
Le diverse regole di costruzione dei due indici (lo S&P 500 e il Morningstar US Market Index) spiegano la divergenza temporale. Gli indici azionari di Morningstar, come molti altri, includono tutti i titoli che soddisfano i criteri stabiliti. I componenti sono ponderati in base al loro valore di mercato. Non ci sono requisiti di redditività e nessun input discrezionale nell’iscrizione. Il caso Tesla evidenzia quanto sia importante analizzare bene gli indici utilizzati per il benchmarking e l’investimento passivo, proprio come fanno gli analisti di Morningstar quando valutano i fondi indicizzati.
A cosa serve un indice?
A partire dal XIX secolo, gli indici di mercato sono serviti da indicatori per gli investitori. Fondamentalmente, hanno lo scopo di definire “il mercato” o una particolare asset class. Col passare del tempo hanno acquisito un’enorme utilità, aiutando a misurare la performance, evidenziare i fattori di rischio e rendimento e assemblare i portafogli. Oltre a essere sempre più alla base delle strategie di investimento passivo, il compito primario di un benchmark beta tradizionale resta quello di riflettere l’andamento di un universo investibile.
Gli indici azionari di Morningstar perseguono l’obiettivo di rappresentare il mercato includendo tutte le società che soddisfano i requisiti di liquidità, area geografica e dimensioni. Seguendo regole chiare e pubblicate, gli indici escludono alcune classi di titoli, ad esempio società in accomandita e fondi quotati. Le azioni che soddisfano i criteri di base vengono quindi ponderate in base alla capitalizzazione di mercato, corretta per il flottante. Non ci sono input discrezionali. Il conteggio dei componenti è flessibile in modo che gli indici riflettano una proporzione coerente del mercato investibile. Dopo tutto, le dinamiche di mercato cambiano. Dagli anni '90, il numero di società quotate negli Stati Uniti è sceso da 8.000 a meno di 4.000.
Non tutti gli indici di mercato seguono un approccio simile a quello di Morningstar. Alcuni sono governati da comitati che esercitano discrezionalità sull’inclusione. Come osserva il nostro team di Manager Research, l’approccio che si basa sui comitati, utilizzato ad esempio per costruire lo S&P 500, offre “una maggiore flessibilità rispetto agli indici meccanici basati su più regole che seguono rigide linee guida, ma questo riduce la trasparenza”. In effetti, gli investitori si chiedono perché Tesla non faccia parte del principale indice azionario americano.
Perché questo è importante? Le azioni Tesla sono detenute da migliaia di portafogli in tutto il mondo, il che porta una disconnessione tra il mercato investibile e l’indice destinato a rifletterlo. Possedere Tesla ha avvantaggiato fondi attivi i cui benchmark escludono Tesla. Ha aumentato i rendimenti delle strategie passive che monitorano gli indici che includono Tesla rispetto a quelli che non lo fanno, anche se non con un ampio margine. Ovviamente, se Tesla perdesse valore, queste tendenze si invertirebbero.
Fate due conti
A nostro avviso, gli investitori prestano troppa attenzione ai marchi nella selezione degli indici. L’idoneità dovrebbe essere il criterio chiave quando si tratta di scegliere un benchmark. Per un replicante, ciò che conta è che un indice fornisca l’esposizione desiderata. Ma quanti indagano davvero sulle regole di costruzione dell’indice? Le decisioni di benchmarking vengono spesso prese seguendo la il sentiero più battuto.
In definitiva, c'è molto da guadagnare da una maggiore concorrenza nel campo del benchmarking. I gestori patrimoniali che pagano l’aumento delle licenze per l’indice utilizzato trarrebbero vantaggio dalla disruption del settore. Lo stesso discorso varrebbe per gli investitori che spesso finiscono per pagare tali commissioni sotto forma di maggiori costi del fondo. Gran parte degli indici che rappresentano gli stessi segmenti di mercato sono intercambiabili e non giustificano un premio nel prezzo. Ma ci sono distinzioni tra gli indici. Il caso di Tesla dimostra che le regole di costruzione dell’indice hanno la loro importanza.
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