A cinque anni di distanza dall’Accordo di Parigi sul clima, secondo il quale 196 paesi si sono impegnati a limitare l’aumento della temperatura media del pianeta, lo scarto tra gli impegni presi e gli sforzi reali è quanto mai evidente.
Secondo l’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), la produzione globale di carbone, petrolio e gas dovrebbe diminuire ogni anno rispettivamente dell’11%, 4% e 3%, per essere coerente con gli impegni di cui sopra. Eppure, i piani e le proiezioni dei governi indicano un aumento medio annuo del 2% per ogni carburante. Anche se la pandemia legata al Covid-19 e le conseguenti misure di lockdown per fermarne la diffusione hanno portato a dei cali nella produzione di carbone, petrolio e gas nel 2020, i piani pre-Covid e le misure di stimolo post-Covid indicano una crescente produzione di combustibili fossili, con il rischio di gravi perturbazioni climatiche.
Attualmente, le nazioni del G20 rappresentano collettivamente il 75% di tutte le emissioni, ma solo pochi membri si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo a lungo termine di zero emissioni. Tuttavia, sebbene i dati globali forniscano informazioni preziose per comprendere la continua crescita delle emissioni, è necessario esaminare le tendenze delle principali economie per ottenere un quadro più chiaro delle tendenze sottostanti.
Qui sotto due grafici che mostrano bene come l’esplosione dell’economia cinese, ad esempio, abbia fatto schizzare le emissioni dell’ormai seconda potenza economica mondiale. Il grafico di destra, tuttavia, conferma che se si tiene conto della popolazione di ogni paese (emissioni pro capite), gli Usa tornano in testa alla classifica.
Source: United Nations Environment Programme - Emissions Gap Report 2020.
Investitori obbligazionari sempre più verdi
Sebbene le sfide ambientali rimangano complesse, la buona notizia è che gli investitori sembrano aver cambiato marcia. Secondo Climate Bond Initiative, il terzo trimestre 2020 è stato il più prolifico mai registrato in termini di emissioni di green bond: alla fine di ottobre il valore globale del mercato obbligazionario verde ha raggiunto i 194,6 miliardi di dollari, di cui 46,4 miliardi (il 24%) legati a strumenti certificati secondo il Climate Bonds Standard, segnando un aumento del 9% rispetto allo stesso periodo del 2019.
In questo senso, le principali emissioni certificate nel 2020 includono obbligazioni verdi sovrane emesse da Cile e Paesi Bassi, dalle principali banche cinesi, dal produttore di automobili Volkswagen e dall’operatore di rete di treni veloci giapponese JRTT. Nel complesso, i prestiti e le obbligazioni certificate sono stati emessi da oltre 160 organizzazioni di 36 nazioni, migliorando le pratiche del mercato verde sia nelle economie sviluppate sia in quelle emergenti. La Climate Bond Initiative stima che le emissioni di obbligazioni verdi dovrebbero raggiungere i 350 miliardi di dollari a fine 2020, contro i 265 miliardi di dollari emessi nel 2019.
In termini di paesi, la classifica del 2020 alla fine del terzo trimestre vede in testa gli Usa, con 32,3 miliardi di dollari di green bond emessi, seguiti da Germania (21,4 miliardi) e Francia (17,8 miliardi). Sebbene la Cina abbia ancora molta strada da fare per raggiungere il totale segnato nel 2019 (31,4 miliardi, contro i nove miliardi emessi nei primi nove mesi del 2020), rimane il paese con il secondo valore totale cumulativo più grande (105 miliardi) dopo gli Stati Uniti (205 miliardi).
Di cosa si tratta
Molto bene, ci verrebbe da dire, ma cosa sono esattamente i green bond? Tecnicamente, sono obbligazioni come tutte le altre, la cui emissione, però, ha un impatto positivo per l’ambiente. Questi bond, infatti, servono specificatamente a finanziare progetti nel campo ad esempio dell’efficienza energetica, della produzione di energia da fonti pulite oppure opere che incidano in attività come il trattamento dell’acqua e dei rifiuti, o iniziative legate alla prevenzione e al controllo dell’inquinamento, o ancora al finanziamento di infrastrutture per trasporti più puliti o all’edilizia eco-compatibile.
Inizialmente queste obbligazioni provenivano principalmente da istituzioni finanziarie sovranazionali, come la Banca mondiale o la Banca europea per gli investimenti. Poi sul mercato sono arrivati anche titoli emessi da municipalità (la prima volta in Massachusetts nel giugno 2013) e da singole aziende (il primo emittente privato fu l’ex società immobiliare svedese Vasakronan, nel novembre del 2014).
Biden potrebbe rappresentare un punto di svolta
Attualmente il mercato delle obbligazioni verdi è dominato dai mercati europei, con oltre il 60% del debito in essere denominato in euro, mentre i green bond denominati in dollari rappresentano circa il 30%. Ora, questo potrebbe cambiare.
“L’amministrazione Biden investirà molto nelle infrastrutture sostenibili e nell'energia pulita, il che potrebbe portare all'emissione inaugurale di un titolo del Tesoro statunitense green e dare ulteriore impulso al mercato globale dei green bond”, commenta in una nota Bram Bos, Lead Portfolio Manager Green Bond di NN Investment Partners. “Biden ha dichiarato di voler fissare obiettivi climatici ambiziosi, con l’obiettivo di raggiungere il 100% di dipendenza dall'energia pulita e zero emissioni nette entro il 2050. Oltre a rientrare nell'accordo di Parigi, la prossima amministrazione investirà nella resilienza climatica e nelle infrastrutture per l’energia pulita.”
“In totale, la proposta di Biden in materia di clima e giustizia ambientale ammonta a 1,7 trilioni di dollari di investimenti federali nel prossimo decennio, facendo leva su ulteriori investimenti privati, statali e locali per un totale di oltre 5 trilioni di dollari. Ciò rappresenta un'opportunità fondamentale per gli Stati Uniti di entrare nel mercato delle obbligazioni verdi come emittente. La vittoria di Biden apre la strada a un cambiamento trasformativo nella politica climatica statunitense”, conclude il gestore.
L’offerta italiana
Gli investitori italiani possono contre su 19 fondi comuni aperti e tre Exchange traded fund specializzati in green bond, che a fine novembre 2020 gestiscono nel complesso 10,34 miliardi di euro e che hanno raccolto a livello europeo 4,58 miliardi nell’anno (sempre a fine novembre); non esistendo una categoria Morningstar specificatamente dedicata alle obbligazioni verdi, la tabella riporta solo i fondi aventi la dicitura green bond nel nome.
Il più grosso in termini di asset (l’unico a superare i due miliardi di euro) è l’iShares Green Bond Index Fund (che è anche il più economico in termini di spese correnti, battendo anche i tre ETF), mentre il fondo che ha raccolto di più nei primi 11 mesi dell’anno è stato l’Eurizon Absolute Green Bonds Z Accumulation.
Occhio agli specchietti per le allodole
Fortemente guidato dagli investitori istituzionali, il mercato delle obbligazioni verdi dovrebbe continuare a crescere negli anni a venire. Tuttavia, gli investitori dovrebbero preoccuparsi della qualità delle emissioni e non effettuare investimenti per meri motivi di marketing.
La selettività e la trasparenza contribuiscono in effetti a garantire che i progetti ecologici più pertinenti e con maggior impatto ricevano i finanziamenti necessari. In questo contesto è quindi essenziale beneficiare di ricerche approfondite e conoscenze sugli emittenti di obbligazioni verdi, perché il mercato è ancora all'inizio del suo sviluppo e gli investitori devono essere attenti ai rischi del cosidetto green washing, cioè il fatto che progetti inappropriati ricevano finanziamenti attraverso questa classe di attività.
Affinché il mercato obbligazionario verde mantenga la sua crescita, gli attori coinvolti dovranno garantire che gli impatti associati siano ben definiti, misurati e trasparenti al fine di soddisfare le aspettative in costante evoluzione degli investitori.
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