In Europa ci sono circa 3 mila fondi sostenibili, di cui oltre 800 sono disponibili anche per gli investitori italiani. L’offerta, dunque, comincia ad essere ampia, il che è un fattore positivo perché aumenta le possibilità di scelta, ma rende più difficile orientarsi e distinguere “chi fa sul serio”.
Morningstar considera “sostenibili” quei fondi che nel prospetto informativo o in altri documenti obbligatori dichiarano di focalizzarsi sui fattori ambientali, sociali e di governance (ESG), di incorporarli nel processo di investimento o fare impact investing. Non sono considerati tali, invece, quelli che si limitano ad escludere aree controverse come l’industria delle armi o il carbone termico. Gli investitori, tuttavia, non dovrebbero fermarsi a questo primo livello di analisi, perché ci sono grandi differenze tra i diversi strumenti e il modo in cui le case di gestione intendono la sostenibilità.
Misurare l’impegno ESG
I ricercatori di Morningstar hanno analizzato 107 strategie europee, di cui 77 classificate come fondi sostenibili e le altre tradizionali. Per farlo hanno utilizzato una nuova metrica proprietaria l’ESG Commitment level, che permette di valutare l'impegno dei gestori e delle singole strategie a incorporare i fattori ESG all'interno della loro struttura e dei loro processi d'investimento. I fondi possono rientrare in una delle seguenti categorie: Leader, Advanced, Basic e Low. Gli stessi livelli di giudizio sono attribuiti alle società di gestione. Ad esempio, le strategie Leader sono quelle autenticamente e integralmente impegnate sul fronte ESG; le Low sono poco o per nulla attive da questo punto di vista. Un discorso analogo vale per le case di investimento, dove per Leader si intende le aziende che vantano lunghi trascorsi di impegno nel campo dell'investimento sostenibile e per le quali le considerazioni ESG sono connaturate e pervadono l'intera organizzazione: processi d'investimento, strategie, attività di proxy voting e operatività interna. Queste società sono trasparenti e molto comunicative rispetto alle loro iniziative e al loro approccio sostenibile.
Fondi sostenibili promossi
Per gli investitori, una prima buona notizia, che andrà confermata con analisi su un numero di fondi maggiore, è che le strategie sostenibili rispettano in gran parte il loro mandato. 19 dei 77 casi esaminati da Morningstar sono Leader e 37 Advanced (insieme rappresentano il 72,7% del totale). Nessuno è nella categoria di giudizio più bassa, ma 21 ottengono una designazione Basic, che indica una integrazione della sostenibilità solo parziale. Tra i comparti tradizionali, nessuno è Leader.
Distribuzione dell’ESG Commitment level per le 107 strategie esaminate (sostenibili e non)
Sostenibilità e basso rischio ESG
Lo studio di Morningstar rivela anche che le strategie con più elevato ESG Commitment level hanno generalmente in portafoglio aziende che gestiscono meglio i rischi connessi ai fattori ambientali, sociali e di governance. In effetti, molte di esse hanno un Sustainability rating di quattro o cinque globi (questo giudizio è basato sull’indicatore di ESG risk a livello di singola impresa calcolato da Sustainalytics, società del gruppo Morningstar). Il risultato è interessante, ma potrebbe non essere sempre così perché i due metodi catturano aspetti diversi della sostenibilità. “Il Sustainability rating è una misura di rischio, non dell’intenzione del gestore di incorporare i fattori ESG nelle sue scelte di portafoglio”, spiega Elizabeth Stuart, analista di Morningstar. “Inoltre, è un indicatore relativo, perché rapportato a un gruppo omogeneo di fondi, e può cambiare per effetto delle movimentazioni di titoli da parte del money manager. L’ESG commitment level, invece, adotta un approccio olistico che considera il grado di incorporazione dei fattori ambientali e sociali, le risorse dedicate alla sostenibilità, l’impegno dell’asset manager in questa direzione”. Le due valutazioni, dunque, sono complementari e possono essere usate in tandem.
Distribuzione dell’ESG Commitment level in base al Sustainability rating (globi)
L'articolo è stato pubblicato la prima volta su WeWealth il 21 dicembre 2020.
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