Il private equity si sta dando decisamente da fare. Anche sul public market. Lo si nota dando uno sguardo alle migliori categorie Morningstar, in termini di performance, da inizio anno. Quella dedicata ai fondi che investono sulle società di private equity quotate in Borsa, da gennaio (fino al 27 luglio e in euro) ha segnato +31,45%, poco dietro al segmento Azionari Vietnam (+34,5%) e davanti all’equity UK small/mid cap.
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Dati in euro aggiornati al 27 luglio 2021
Fonte: Morningstar Direct
La corsa delle società di private equity sui listini si spiega con l’ottimo stato di salute di cui sta godendo il segmento in questo momento negli Stati Uniti e in Europa (i due principali mercati per questo tipo di attività).
Secondo i dati di PitchBook, in Usa nella prima metà dell'anno sono stati eseguiti 3.708 deal per un valore totale di 456,6 miliardi di dollari. In pratica quasi i due terzi delle operazioni effettuate in tutto il 2020. La fase più calda si è vista nel secondo trimestre quando c’è stata la seconda maggiore attività del decennio dopo il picco del quarto quarter del 2019.
“Diversi fattori stanno guidando questa corsa”, spiega Wylie Fernyhough, Senior Analyst di PitchBook. “Secondo il Centers of Disease Control e Prevention, oltre il 50% dei residenti negli Stati Uniti idonei è stato vaccinato. La ripresa economica, intanto, continua rapidamente. Il Dipartimento del lavoro ha riferito che le richieste di disoccupazione sono scese ai minimi da prima della pandemia. La fiducia degli investitori privati è alimentata anche dal fatto che i mercati azionari salgono. Non vanno dimenticati i tassi bassi di interesse che consentono di ottenere finanziamenti a condizioni vantaggiose”.
Il secondo trimestre dell’anno è stato frenetico anche in Europa dove si sono registrati 1.800 deal per un controvalore di 169,6 miliardi di euro con una crescita, rispettivamente del 161,2% e del 137% rispetto allo stesso periodo del 2020.
“L’economia in crescita, insieme all’aumento dei consumi e un basso tasso di disoccupazione, creano un ambiente favorevole alla formazione dei deal”, spiega Dominick Mondesir Senior Analyst di PitchBook.
Private equity in portafoglio?
Alla luce di questo quadro, potrebbe aver senso inserire una quota di fondi di private equity all’interno di un portafoglio tradizionale e diversificato per cercare del rendimento extra? Gli analisti di PitchBook hanno fatto una simulazione creando due portafogli bilanciati identici, con la classica allocazione 60/40 (equity/bond) e concentrati sugli Usa. In un portafoglio, poi, un 20% della parte azionaria è stato sostituito con una quota equivalente di fondi di private equity specializzati nei buyout. L’altro non è stato modificato ed è stato utilizzato come benchmark.
La simulazione copre il periodo dal 1997 al 2020. Le due strategie sono state riviste periodicamente per sostituire gli asset eventualmente usciti dal mercato. “L’analisi della simulazione si è concentrata sulla differenza di rendimento dei due portafogli”, spiega Andrew Akers, Senior data analyst di PitchBook. “Nell’intero arco della simulazione, il portafoglio con l’inclusione del private equity ha dato un excess return dello 0,6% (al netto delle commissioni) rispetto a quello usato come benchmark”.
I rischi
Detto questo, però, bisogna considerare anche i rischi associati a un investimento che comprenda il private equity. “La volatilità media annualizzata del portafoglio con private equity è stata dell'8,0%, contro il 10,3% di quello benchmark”, spiega Akers secondo cui, però, questi dati non devono far pensare a una minore volatilità del primo rispetto al secondo. “Nei rendimenti dei private equity la volatilità normalmente non viene calcolata. Se aggiungiamo questo elemento, la volatilità media del portafoglio con private equity sale al 9,4%, più in linea con quella del benchmark. Gli investitori devono anche considerare il rischio di liquidità che deriva da un allocazione in private equity, soprattutto considerando che il capitale impiegato spesso può restare bloccato per lungo tempo”.
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