All'interno dello Speciale Morningstar sul COP26, riproponiamo l'articolo redatto in occasione della conferenza di Milano dello scorso 30 settembre.
Dal 30 settembre al 2 ottobre si tiene a Milano la conferenza che precede COP26, l’ultima occasione formale e multilaterale per i ministri di circa 40-50 paesi per dare forma ai negoziati sul clima prima del vertice di Glasgow di novembre.
La COP è la Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico promossa dalla Nazioni Unite ogni anno per analizzare i progressi dei firmatari della Convenzione quadro del 1992 per ridurre le emissioni di gas serra. Quella del 2021 è la 26esima edizione (la prima si è tenuta a Berlino nel 1995) e si pone diversi obiettivi:
1) Chiedere ai Paesi di presentare obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni entro il 2030 che siano allineati con il raggiungimento di un sistema a zero emissioni nette entro la metà del secolo.
2) Lavorare insieme per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali.
3) Mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima entro il 2020. E’ chiesto non solo alla finanza pubblica, ma anche a quella privata di fare la sua parte.
4) Collaborare per affrontare le sfide del climate change.
Accuse di greenwashing
I ragazzi del movimento Fridays for future hanno scioperato il 24 settembre nelle piazze italiane per chiedere che i governi “facciano sul serio”, portando a COP26 obiettivi ambiziosi e non “greenwashing politico”. D’altra parte, anche nell’industria degli investimenti ci sono state diverse accuse di una “sostenibilità solo di facciata” che hanno coinvolto recentemente diverse società, tra cui DWS (gruppo Deutsche Bank), BlackRock (le critiche sono arrivate dall’ex responsabile degli investimenti sostenibili, Tariq Fancy) e Vanguard (il gruppo di esperti di Universal Owner ha stimato che solo l’1% del patrimonio è in fondi sostenibili).
Morningstar ha affrontato il tema in diversi articoli, spiegando come oggi quando si parla di investimento sostenibile ci si riferisce alla misurazione e alla gestione dei rischi finanziariamente rilevanti legati ai fattori ambientali, sociali e di governance (ESG), piuttosto che ad aspetti valoriali. Allo stesso tempo, i ricercatori sono concordi nel dire che la strada da percorrere è lunga e che la finanza sostenibile non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi; al contrario ci sono lacune e carenze al di là dei proclami.
Chi fa sul serio
Le valutazioni Morningstar basate sull’ESG commitment level, un sistema di analisi qualitativo che permette di individuare le migliori società di gestione in termini di sostenibilità, rivelano che su una settantina di case di investimento censite in tutto il mondo, solo sette hanno conquistato il livello massimo (Leader), tra cui Robeco e Stewart Investors che sono presenti anche in Italia. “Queste aziende considerano la sostenibilità come parte fondamentale della loro identità”, dicono i ricercatori di Morningstar. “Hanno una lunga storia in questo campo e le considerazioni ESG sono radicate e pervasive nei loro processi di investimento, nelle strategie, nelle attività di azionariato attivo e nella operatività aziendale. Inoltre, sono trasparenti sul loro impegno e approccio”.
Per contro, sono molte di più (24) le case di gestione che si trovano al livello più basso (Low), riservato a coloro che hanno appena cominciato a considerare i fattori ESG nel processo di investimento, oppure li usano in modo limitato, o non li utilizzano affatto. Tuttavia, questo non significa necessariamente che fanno greenwashing, perché, ad esempio, possono semplicemente essere in una fase iniziale di transizione.
Il problema dei dati e dei rating
Se l’investimento sostenibile non ha ancora raggiunto il suo obiettivo, le responsabilità non sono solo degli asset manager. I gestori si trovano a fare i conti con la mancanza di dati ESG da parte delle aziende o della disponibilità di indicatori eterogenei e non facilmente confrontabili; oltre che di metriche di giudizio differenti. Il Piano di azione dell’Unione europea va nella direzione di garantire che aziende e investitori siano in linea con gli obiettivi ESG a lungo termine e la tassonomia sarà uno strumento utile per classificare le attività economiche eco-sostenibili. L’Ue è intervenuta anche sui benchmark, definendo parametri specifici per quelli climatici e ha pubblicato il 21 aprile 2021 una nuova proposta di direttiva sulla reportistica di sostenibilità (Corporate sustainability reporting directive, CSRD) che richiederà alle imprese europee di divulgare una serie di informazioni sui rischi e gli impatti ambientali e sociali delle proprie attività. Infine, la Consob ha annunciato a giugno di voler avviare un’analisi comparata su metodologie e criteri usati dalle agenzie di rating e dai data provider a fronte dell’aumento di strumenti finanziari che beneficiano di un “marchio green”.
“La diversità dei rating riflette una varietà di approcci”, ha dichiarato Michael Jantzi, fondatore di Sustainalytics in una recente intervista. “Alcuni si focalizzano sulla misurazione dei rischi, altri sull’impatto, altri ancora sulla reputazione o il sentiment di mercato. Differenti punti di partenza, danno risultati non uguali tra loro e aumentano la possibilità di scelta da parte del mercato. Nella mia opinione, è un aspetto positivo. Non bisogna, però, pensare che un singolo indicatore sia sufficiente per prendere una decisione. Deve essere utilizzato insieme ad altri strumenti e input”.
La nuova sostenibilità
Resta il fatto che gli investitori sono confusi ed è ancora radicata l’idea che il successo negli investimenti e il loro contributo per un “mondo migliore” siano due cose separate e magari incompatibili. “Non è più un gioco a somma zero”, ha detto Kunal Kapoor, amministratore delegato di Morningstar all’apertura della Morningstar investment conference di Chicago lo scorso 22 settembre, introducendo il concetto di “nuova sostenibilità”. “Pensiamo sia la nuova faccia dell’investimento di lungo periodo e della creazione di valore”, ha spiegato. “E abbiamo visto che gli investitori stanno cominciando a scegliere la combinazione del successo negli investimenti con l’impatto personale. In un recente esperimento di finanza comportamentale, i risparmiatori allocavano effettivamente più denaro in un ipotetico fondo con un alto punteggio sulla diversità e penalizzavano i prodotti che non riportavano adeguate informazioni ESG”.
E’ sempre difficile spingersi oltre il “mondo noto”, perché quello nuovo non è sulla mappa, ma i dati sulla raccolta dei fondi sostenibili sembrano indicare che sempre più investitori stanno oltrepassando questa frontiera e lo fanno per diverse ragioni, dal desiderio di migliorare il profilo dei loro investimenti a quello di lasciare un mondo meno inquinato e più equo alle generazioni future. Gli approcci possono essere diversi, ma riconducibili a sei grandi filoni: l’esclusione di aree controverse, il contenimento dei rischi ESG, la ricerca delle migliori opportunità, il focus su temi specifici legati a trend pluriennali, l’impatto sull’ambiente e la società (ad esempio al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite) e l’azionariato attivo.
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