Al principio fu l’internet banking e il trading online. Poi arrivò il tempo delle banche 100% digitali, delle app e dei robo-advisor. Oggi si parla di machine learning e blockchain. Insomma, l’innovazione non si ferma. Per gli attori del settore finanziario, siano essi banche, Sgr, consulenti o investitori, questo vuol dire solo una cosa: adeguarsi o sparire.
Se da un lato la rivoluzione tech sta riscrivendo le modalità operative per lo svolgimento più efficiente di attività finanziarie tradizionali, dall’altro sta disegnando nuovi modelli di business e servizi, oltre a far emergere nuove figure professionali. In che modo l’innovazione sta cambiando il settore finanziario? Quali sono le principali opportunità? E i maggiori rischi? Come si piazza l’Italia nello scacchiere globale?
Questi i temi principali affrontati lo scorso 9 novembre durante la tavola rotonda che ho avuto il piacere di moderare in occasione della Morningstar Investment Conference 2021, alla quale hanno partecipato Luca Ferrarese, responsabile mercato retail e affluent di Banca Sella, Silvia Attanasio, responsabile ufficio innovazione di ABI, e Giuseppe Italiano, docente di computer science presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma.
“Il punto di partenza è sempre la centralità dei clienti”, ha commentato Ferrarese. “Capire i loro bisogni e gestire l’enorme massa di dati al fine di poter confezionare dei serivizi su misura, oltre chiaramente a allo snellimento di tutta l’attività di back office.”
“Le tecnologie disruptive hanno la capacità di modificare il paradigma al quale siamo abituati, cambiare i punti di riferimento”, ha spiegato Attanasio. “In questo senso richiedono grande applicazione e studio per capire come il mondo degli investimenti o dei pagamenti possono essere impattati. Le banche italiane hanno scelto fin dall’inizio una politica di apertura verso il cambiamento, evitando così di fare la fine dello struzzo. Non a caso, oggi siamo il primo paese ad avere la quasi totalità del suo sistema bancario che usa una tecnologia basata sui registri distribuiti (DLT, Ndr)”, ha continuato la manager di ABI.
“L’università si trova davanti a una sfida notevole”, ha affermato il professor Italiano, “quella di preparare persone per lavori che stanno cambiando e per lavori che non esistono ancora. La cultura digitale non deve più essere vista come una specialty, bensì come una commodity che tutti devono avere. La mia università sta puntando molto sulla formazione di data scientist, con l'obiettivo di modellare persone che possano parlare sia il linguaggio dei dati sia quello del business, queste figure di mezzo sono essenziali.”
L’euro digitale
Un ampio spazio è stato riservato all’esplosione delle criptovalute e al progetto di molte banche centrali, tra cui la BCE, di lanciare la versione digitale della propria moneta. “Di criptovalute ce ne sono ormai quasi 11 mila e sono tutte diverse tra le loro”, ha commentato Silvia Attanasio, “sono anche nati meccanismi per stabilizzarne il valore, proprio perché una valuta estremamente volatile può andar bene per scommesse speculative ma non come mezzo di pagamento. L’86% delle banche centrali mondiali sta valutando un progetto del genere, in modo da mettere a disposizione dei cittadini una moneta che possa accompagnare la rivoluzione digitale che stanno attraversando molte economie. C’è un tema di sovranità monetaria e di indipendenza strategica che anche la Commissione europea sta sostenendo.”
Per quanto riguarda l’euro digitale, il 1° ottobre 2021 è partita la fase di investigazione che durerà circa 24 mesi, alla quale seguirà un periodo di implementazione ancora da definire.
Investimenti e intelligenza artificiale
Un recente sondaggio promosso da Consob e Assogestioni ha confermato la valenza strategica dell’intelligenza artificiale e della blockchain per le società di gestione del risparmio. “Si tratta di tecnologie che hanno rivoluzionato il modo in cui le società lavorano”, ha spiegato il professor Italiano. “Attraverso il machine learning siamo riusciti a fare cose che prima erano impensabili, si pensi anche solo a quanto siamo vicini ai veicoli a guida autonoma, o al fatto che nel settore finanziario ci siano strategie d’investimento gestite in maniera interamente autonoma attraverso algoritmi. Diverso è il caso della blockchain e delle DLT, che al contrario del machine learning sono tecnologie distribuite che lavorano in modo pubblico e aperto. Si tratta di approcci diversi ma che a un certo punto credo che dovranno convergere,” ha proseguito Italiano.
L’umano, nonostante tutto, resta al centro
“Occorre un passaggio culturale in questo senso”, ha poi aggiunto Attanasio. “All’interno delle banche abbiamo bisogno di competenze tecniche e di nuove figure che possano accompagnare l’intera struttura attraverso questi cambiamenti, senza però dimenticare i principi fondamentali del modo giusto di fare banca e questo si fa attraverso le persone.”
“Nei rapporti con la clientela resta ancora importantissimo il contatto de visu,” ha affermato Luca Ferrarese. “I clienti ci chiedono soprattutto semplificazione e qui la sfida sta nel trattare una mole enorme di dati riuscendo a estrarne valore per il cliente e per la banca. Più c’è semplificazione, più c’è personalizzazione, e questo è possibile attraverso la conoscenza reciproca.”
I tre concordano quindi su un punto fondamentale: per gestire tali cambiamenti l’elemento umano è e sarà fondamentale. “Gli algoritmi hanno dei limiti evidenti e sono anche soggetti a diversi bias”, ha commentato il professor Italiano.
E quando uno spettatore chiede in diretta se avrà ancora senso per una banca possedere delle filiali fisiche tra dieci anni, i nostri tre relatori hanno pochi dubbi: rispondono convinti di sì, ancorché in una forma diversa da quella attuale. A riprova del fatto che l’innovazione e la digitalizzazione non può (ancora) sostituirsi al contatto umano.
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