“Il momento di comprare è quando il sangue scorre nelle strade”, diceva cinicamente il barone Nathan Rothschild. Nella sua tragedia, quindi, la guerra può essere un’occasione di acquisto? I pareri sono contrastanti. Innanzitutto, perché questa “regola” può essere meno valida nel caso di un conflitto che porti a un aumento dei prezzi dell’energia, ma non solo.
“Nell’ultimo decennio comprare durante i ribassi si è rivelata una buona strategia, ma fino a poco tempo fa, vivevamo in un mondo a bassa inflazione che dava ai banchieri centrali un’enorme spazio di manovra per venire in soccorso del mercato”, afferma Robert Almeida, portfolio manager and global investment strategist di MFS. “Con l’inflazione che corre e i segmenti di popolazione a basso reddito che devono scegliere tra mettere la benzina nelle loro auto o il cibo sulle loro tavole, non viviamo più in quel mondo. L’inflazione sta diventando una questione politica, e nell’ambiente attuale, penso che i banchieri centrali dovranno agire per contenere l’aumento dei prezzi e non per far salire il mercato azionario”.
Il conflitto
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di mettere ordine negli eventi convulsi degli ultimi giorni. Giovedì scorso, il presidente Vladimir Putin ha ordinato alle truppe russe di entrare in Ucraina, di fatto dando il via a una vera e propria invasione, tre giorni dopo aver riconosciuto le regioni separatiste e russofone del Donbass. L’esercito russo, tuttavia, non sembra volersi fermare alla regione di Donetsk, come dimostrano le immagini satellitari di ieri in cui si vede un convoglio militare russo di circa 60 chilometri avanzare lentamente verso la capitale Kiev.
Dal 28 febbraio la Borsa di Mosca è rimasta chiusa. Una mossa preventiva che non ha però impedito il crollo del rublo (fino al -25% rispetto al dollaro in mattinata lunedì scorso), né ad alcuni titoli di società russe quotati a Londra di registrare delle perdite superiori al 70% (ad esempio Sberbank). Lo stesso discorso vale per gli Exchange traded fund esposti al mercato azionario russo quotati in Europa. A titolo di esempio, il Lyxor MSCI Russia UCITS ETF negoziato su Borsa Italiana ha perso il 44% nella sola seduta del primo marzo. L’oro ha invece rimbalzato, toccando i massimi dall’agosto 2020, a 1.973 dollari l’oncia (attualmente il metallo giallo viaggia intorno ai 1.941 dollari).
Dopo i primi giorni di scontri, comunque, il conflitto vive ora una fase di attendismo. “La portata e la durata della guerra è a questo punto poco chiara e ci sarebbero anche prove che la Russia si sta impantanando”, afferma Sebastien Galy, senior macro strategist di Nordea AM. “Di conseguenza, l’Unione Europea e gli Stati Uniti si stanno muovendo verso una lista molto più completa di sanzioni.”
Le sanzioni
La risposta del blocco occidentale, infatti, è stata più dura del previsto. L’Ue, tra l’altro, ha chiuso il suo spazio aereo alle compagnie russe e – assieme a Stati Uniti, UK e Canada – ha annunciato il congelamento dei beni della Banca centrale russa detenuti all’estero (in diversi Paesi, tra cui Francia, Belgio, Stati Uniti e Germania), oltre all’esclusione di alcune banche russe dal sistema di pagamenti SWIFT. La Banca centrale russa, dal canto suo, ha deciso come risposta di aumentare il suo tasso di interesse chiave di 10,5 punti percentuali portandolo al 20% a partire dal 28 febbraio; in una nota l’istituto ha spiegato che l’operazione è destinata a proteggere la stabilità finanziaria e i risparmi dei cittadini dalla svalutazione.
“La Russia importa molto dall’estero e non produce granché al di fuori dell’energia, del grano e del rame”, continua Galy. “La pressione strangolatrice delle sanzioni dovrebbe colpire fortemente l’economia russa. L’impatto di Mosca sull’economia mondiale è invece modesto se escludiamo l’energia, circa 1.644 miliardi di dollari (prima del crollo del rublo), un peso inferiore a quello dell’economia italiana”.
La questione energetica
La fornitura di gas naturale non è facilmente fungibile, quindi conta molto da dove proviene e le esportazioni russe potrebbero essere ridotte da Mosca come ritorsione verso le sanzioni. La Germania e l’Italia sono i principali acquirenti europei di gas russo, con la Germania che importa il 55% del suo fabbisogno e l’Italia il 45%. Secondo la ricerca di Eurasia Group, Putin potrebbe potenzialmente chiudere il rubinetto del gas naturale che scorre attraverso l’Ucraina, tagliando circa il 20% della fornitura verso l’Europa e innescando un maggiore shock dei prezzi e potenzialmente un razionamento.
“D’altra parte, il petrolio, il rame e il grano prodotti in grandi quantità dalla Russia sono invece merci fungibili, il che significa che sono facilmente scambiabili in tutto il mondo, quindi, le sanzioni hanno un impatto limitato”, commenta Sebastien Galy. “Ciò che conta, però, è se la Russia modera la produzione di petrolio in un momento come quello attuale in cui la domanda è così forte che l’offerta riesce a malapena a tenere il passo. Tuttavia, per uno o due mesi, nel caso in cui il governo degli Stati Uniti decidesse in tal senso, l’offerta di shale oil potrebbe aumentare controbilanciando la cosa e riequilibrando i prezzi del petrolio”.
Il dilemma delle banche centrali
Al di là dell’emozione che tutti noi proviamo per questa crisi, gli impatti economici sono preoccupanti. Sono naturalmente negativi per l’economia mondiale e in particolare per quella europea. La questione delle materie prime e del gas è più importante che mai, poiché è plausibile attendersi una reazione russa in risposta a questa serie di sanzioni e all’impegno europeo in favore dell’Ucraina.
“Le banche centrali si troveranno di fronte a un dilemma e saranno costrette a scegliere tra due opzioni, ognuna delle quali potrebbe avere effetti economici negativi”, spiega François Rimeu, senior strategist de La Française AM. “La prima opzione sarebbe quella di attenersi alla loro missione, mantenendo così la loro credibilità e stringendo la politica monetaria per combattere l’inflazione incontrollata. Con una domanda potenzialmente sotto pressione, questa opzione potrebbe però essere difficile da attuare e avere un effetto negativo sulla crescita. La seconda opzione sarebbe quella di ritardare l’aumento dei tassi fino a quando la situazione si calmerà, con il rischio che l'inflazione prenda piede”.
“In questo momento, non ci aspettiamo che il rischio geopolitico impedisca alla Fed di aumentare i tassi in modo costante di 25 punti base a ogni riunione futura”, prosegue Rimeu. “In compenso, questa incertezza geopolitica riduce la probabilità di un aumento di 50 punti base a marzo. La Banca centrale europea potrebbe invece trovarsi in una posizione diversa. Questa crisi potrebbe avere un effetto negativo maggiore sulla crescita europea, dove l'inflazione non è così diffusa”.
È quindi possibile che la BCE debba cambiare la sua posizione e riconsiderare rapidamente il suo obiettivo prioritario di stabilità dei prezzi. In effetti, l’inflazione avrà alla fine un effetto recessivo e lo scenario di un aumento contestuale dei salari diventerà probabilmente più difficile.
Cosa aspettarsi sui mercati
Le conseguenze per i mercati finanziari dipendono ovviamente dall’evoluzione del conflitto. A questo stadio, quindi, non si possono fare che delle ipotesi. “Presumiamo che la situazione rimarrà molto tesa, e l'equilibrio tra la Russia e la NATO fragile, almeno per il momento. Attualmente, escludiamo una grande crisi energetica a lungo termine in Europa”, afferma lo strategist.
“Il lavoro di un investitore è quello di vagliare tutte le informazioni disponibili e distinguere ciò che è influente per i flussi di cassa a lungo termine da ciò che non lo è”, spiega Robert Almeida di MFS. “In tempi come questi, quando le informazioni arrivano in maniera massiccia la prima cosa da fare è fermarsi, raccogliere i dati e pensare, e poi chiedersi quale sarà l’impatto sul conto economico di una particolare azienda nel lungo termine. Che si tratti di un cambiamento nella politica della banca centrale, di un cambiamento nel regime normativo o dello scoppio delle ostilità, il processo rimane lo stesso”.
Da un punto di vista settoriale, i titoli più ciclici e value sono quelli che hanno segnato i cali più decisi, assieme ai finanziari, il settore auto e i beni di consumo. I settori più difensivi stanno invece dimostrando resilienza, in particolare la salute, l'immobiliare e le utility. “Quest’ultima industria potrebbe essere sostenuta da un rinnovato interesse degli investitori per le energie rinnovabili, data l’incombente crisi energetica. Per quanto riguarda il settore energetico, mentre è favorito dall'aumento dei prezzi del petrolio e del gas, è penalizzato dalle relazioni tra le grandi compagnie petrolifere e la Russia”, si legge nel report a cura degli analisti de La Française.
La guerra, probabilmente, stimolerà anche la crescita di alcuni settori. Come dimostrato dalla nostra analisi, è probabile che vedremo in Occidente un deciso rialzo nella spesa militare, per le infrastrutture e la sicurezza informatica. La Germania, con una decisione storica, ha avuto bisogno di soli quattro giorni per riconoscere che il budget militare era insufficiente: 100 miliardi di euro sono stati immediatamente promessi all’esercito. Più armi e più munizioni significano una domanda aggiuntiva, non ultimo per le materie prime.
Tenendo conto di tutte le preoccupazioni del caso, quindi, una massiccia riduzione del rischio sembra inappropriata. “I mercati azionari attraverseranno probabilmente un periodo di grande volatilità. Una brusca inversione di tendenza, al rialzo o al ribasso, potrebbe verificarsi nei prossimi giorni, rendendo difficili le decisioni di investimento”, continua Rimeu. “La visione degli asset azionari a medio termine, comunque, non è per forza molto positiva. L’inflazione è ancora in crescita e spinge le banche centrali ad adottare politiche più restrittive. C’è la possibilità che la crescita possa deludere nel medio termine”.
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