Lo scorso 24 febbraio, il presidente Vladimir Putin ha ordinato alle truppe russe di entrare in Ucraina. Lo scoppio del conflitto tra Mosca e Kiev ha fatto schizzare i prezzi delle materie prime, provocato il crollo del rublo, costretto la banca centrale russa a chiudere la Borsa di Mosca e, di fatto, ha messo i portafogli degli investitori sotto una specie di stress test in tempo reale.
Nelle ultime settimane, infatti, la volatilità di mercato è tornata a salire sensibilmente, con l’indice VIX che viaggia in questi giorni ai massimi da un anno a questa parte: il 7 marzo scorso sono stati superati i 36 punti, più del doppio rispetto alla media degli ultimi dieci anni. Qui sotto l’evoluzione del cosiddetto “benchmark della paura” negli ultimi 12 mesi.
La storia è una grande maestra e la più importante lezione che ci insegna in momenti di crisi è quella di calmarsi e aspettare. Sebbene questo rimanga un buon consiglio per gli investitori con prospettive di lungo termine e un’allocazione ben diversificata, per chi ha invece tempi di investimento più brevi, preservare il capitale ora potrebbe essere la priorità.
Inoltre, la guerra in Ucraina potrebbe far piombare il mondo in uno scenario molto diverso da quello vissuto in quest’ultimo decennio: con gli asset in bilancio esplosi in questi ultimi due anni, le banche centrali hanno uno spazio di manovra molto più ridotto e devono tenere sotto controllo il pericolo inflazionistico, reso ancora più pressante da una possibile crisi energetica. La combinazione di questi due fattori agita lo spettro più temuto, quello della stagflazione.
Insomma, la regola del “quello che va giù tornerà su” è in linea generale ancora valida, il punto fondamentale riguarda le tempistiche: quando tornerà su? Di sicuro, uscire dai mercati in tempi come quelli attuali potrebbe non essere la strategia migliore: in alcuni casi si monetizzerebbero delle perdite, in altri si rischierebbe di perdere la prossima ripresa.
Passivi, con un’anima da attivi
L’investimento fattoriale attraverso Exchange traded fund di tipo Strategic beta può fornire una via alternativa, consentendo agli investitori di ridurre il rischio mantenendo però l’esposizione al prossimo rimbalzo di mercato.
Strategic beta è la definizione che Morningstar ha scelto per indicare gli indici e gli strumenti finanziari passivi che superano le metodologie tradizionali a capitalizzazione e cercano sia di incrementare la performance, sia di modificare il livello di rischio relativo rispetto ai benchmark standard, rappresentando una via di mezzo nello spettro attivo-passivo. Comunemente vengono denominati smart beta, enhanced beta o alternative beta. Clicca qui per approfondire.
Strategie a bassa volatilità per affrontare le turbolenze
Tra queste, le strategie che puntano a minimizzare la volatilità di portafoglio (low volatility) sono quelle considerate più anticicliche, il che significa che tendono a sottoperformare durante fasi di mercato rialziste e a sovraperformare in periodi di ribassi.
Gli approcci che puntano a minimizzare il rischio tentano di costruire un portafoglio con la volatilità più bassa all’interno di uno specifico universo di titoli. Sostanzialmente, fanno una scommessa sulla qualità implicita, poiché i titoli a bassa volatilità tendono a operare con una leva inferiore e hanno una crescita degli utili più stabile. Non sorprende, quindi, che tale approccio favorisca i titoli difensivi.
Come si sono comportate queste strategie ultimamente? Verrebbe da dire “come ci si aspettava”. Nel grafico sottostante abbiamo messo a confronto l’indice MSCI World NR e l’MSCI World Minimum Volatility NR dall’inizio dell’anno. Si nota chiaramente come quest’ultimo (linea blu) sia riuscito a contenere le perdite a partire da metà febbraio in poi, vivendo anche una fase di vera e propria divergenza con il suo indice parent nei primi giorni di marzo.
4 ETF “low volatilty” d’argento per gli investitori
Per chi fosse interessato, tra gli ETF azionari Strategic beta di tipo low volatility disponibili agli investitori italiani, ce ne sono quattro coperti dalla ricerca Morningstar. Tutti ottengono un Morningstar Analyst Rating pari a Silver.
Tra questi, a livello di masse, si distingue l’iShares Edge MSCI World Minimum Volatility UCITS ETF (oltre 4 miliardi di euro in gestione). Il benchmark di questo ETF cerca di costruire il portafoglio meno volatile possibile partendo dai titoli dell’indice MSCI Europe sotto una serie di vincoli. Questi riguardano la limitazione del turnover, l’esposizione a singoli nomi e le inclinazioni settoriali rispetto all’indice MSCI Europe, il che migliora la diversificazione ma riduce anche la purezza dello stile. Mentre i portafogli puri a bassa volatilità contengono solo titoli a bassa volatilità, questo può includere anche titoli a media e alta volatilità in ragione dei benefici di diversificazione del rischio.
iShares può effettuare il prestito titoli per un importo fino al 100% del valore patrimoniale netto (Nav) del fondo. Blackrock, società madre di iShares, gestisce il processo di prestito titoli e si tiene il 37,5% dei redditi derivanti, mentre il 62,5% restante viene condiviso con gli aderenti all’ETF. Il fondo ha prestato in media il 13,93% del portafoglio tra giugno 2020 e giugno 2021, generando lo 0,04% di ricavi netti.
Secondo gli analisti di Morningstar, la posizione difensiva del fondo dovrebbe aiutarlo a resistere alle flessioni del mercato meglio dei suoi pari, mentre probabilmente lo frenerà durante le fasi rialziste. Gli investitori non dovrebbero aspettarsi che generi rendimenti che battono il mercato, specialmente se sono entrati nella strategia a delle valutazioni relativamente alte. Tuttavia, questo fondo dovrebbe offrire un andamento più fluido e sovraperformare la maggior parte dei suoi concorrenti facenti parte della categoria Morningstar azionari Europa large cap blend nel lungo periodo su una base corretta per il rischio, grazie anche a dei costi tra i più bassi della categoria (0,30% le spese correnti).
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