Come mai le performance dei mercati azionari cinesi non hanno seguito la crescita economica del paese? Nonostante negli ultimi 20 anni il Pil del Dragone sia salito del 400%, a differenza di quello Usa che è cresciuto di appena il 20%, il rendimento annualizzato dell’indice Morningstar China ha superato quello del benchmark Morningstar US Market di poco più di 100 punti base. Mentre a causa della loro elevata volatilità i titoli cinesi hanno mostrato nello stesso periodo un profilo rischio/rendimento addirittura inferiore a quelle statunitensi.
Il gap tra le aziende cinesi e quelle americane non è nella crescita dei ricavi. Basti vedere l’ascesa della Cina nella classifica Fortune delle 500 società più grandi al mondo in termini di fatturato. Nel 2002 erano appena 10, ora sono 124, tre in più di quelle statunitensi.
Aziende cinesi meno profittevoli
La differenza sostanziale è invece nella redditività. Il Center for Strategic and International Studies ha messo a confronto le aziende statunitensi e quelle cinesi scoprendo che mentre le prime hanno in media un margine netto del 9,1% e un ROA (return on asset, redditività delle attività misurata come rapporto Utili/Totale Attivo) del 4,9%, le seconde si fermano rispettivamente al 4,5% e all’1,9%.
Qualcuno potrebbe pensare che le cause di questa minore profittabilità siano da ricercare nelle diversità dei mercati domestici e più precisamente nella capacità di spesa dei consumatori. Ma non è così. Sebbene sia vero che, nonostante la crescita dei consumi interni, i salari medi dei lavoratori cinesi siano ancora molto più bassi rispetto a quelli americani, il problema non è nella mancata capacità di caricare sui prezzi di vendita mark-up elevati. In un sondaggio del 2021 tra i membri del US-China Business Council, infatti, il 43% delle aziende ha risposto che le proprie filiali cinesi mostravano margini di profitto più elevati rispetto a quelli del gruppo nel suo complesso. Ma allora cosa frena le imprese del Dragone?
Il vero problema delle stock cinesi
Il problema è rappresentato dai principali stakeholder delle aziende: i loro azionisti di maggioranza e il Governo. Come spiegato dai due ricercatori, Fuxiu Jiang e Kenneth Kim, nel loro paper "Corporate Governance in China: A Survey", le società cinesi quotate in Borsa hanno soci che detengono quote azionarie molto elevate. Nel 2018, oltre l'80% delle public company in Cina aveva un azionista che deteneva almeno il 20% del capitale sociale. Il problema, secondo gli autori, è che questi soci usano spesso i loro poteri per “espropriare ricchezza agli azionisti di minoranza”, ad esempio avallando operazioni con parti correlate che vanno a vantaggio di altre loro aziende.
Un altro ostacolo alla redditività è lo stretto legame tra il Governo cinese e le imprese apparentemente private. In uno studio del 2007, Fuxiu Jiang e Kenneth Kim mostrano come il 27% delle società cinesi classificate come non statali erano comunque guidate da ex-burocrati. Mantenere stretti legami con il Governo è essenziale per condurre affari in Cina, ma se la relazione è troppo stretta può anche danneggiare i profitti. Un classico esempio sono le pressioni esercitate per assumere più dipendenti del necessario al fine di garantire un'elevata occupazione.
Il terzo aspetto riguarda le tutele legali. “Sebbene il clima normativo sia migliorato notevolmente negli ultimi 25 anni e il rischio che i beni di un'azienda vengano requisiti dal governo, o che la sua proprietà intellettuale venga rubata dai suoi rivali, sia fortemente diminuito, tali preoccupazioni a volte fanno sì che i vertici societari rinuncino a strategie di massimizzazione dei profitti solo per evitare problemi legali”, dicono i ricercatori Jiang e Kim.
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