ETP sulle criptovalute, facciamo il punto

Negli ultimi 18 mesi questi strumenti – che permettono di investire in valute digitali senza possedere un wallet – hanno proliferato in Europa. Ora, davanti al crollo generalizzato del mondo cripto, il mercato si trova a un punto di svolta. E gli Usa guardano al Vecchio continente.

Valerio Baselli 22/07/2022 | 09:08
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Cripto

Ad oggi, secondo i dati di Morningstar, ci sono 122 Exchange traded product (ETP) esposti alle criptovalute tra quelli domiciliati in Europa, i quali gestiscono in totale poco più di 4,1 miliardi di euro. Per dare un’idea della proliferazione di questo tipo di strumenti, a fine 2020 se ne contavano 24.

La fotografia del mercato
A livello di masse, con 518 milioni in gestione al 20 luglio 2022, il più grande è il Bitcoin Tracker EUR XBT Provider (Bitcoin XB), la classe in euro del primo ETP su cripto lanciato in Europa nel 2015; si tratta di uno strumento a replica sintetica attraverso l’uso di certificati.  

A livello di emittenti, i player più affermati (anche perché godono del vantaggio dei primi entranti) sono la svedese XTB Provider (di proprietà di Coinshares) ed ETC Group. 21Shares, VanEck e WisdomTree si sono creati nel tempo uno spazio importante. La svizzera 21Shares, in particolare, è la società forse più specializzata in ETP su asset digitali ed anche quella con la più ampia gamma di offerta: 35 cripto ETP quotati dal 2018 in poi, sulle Borse di Zurigo, Berna, Stoccarda, Francoforte, Amsterdam e Parigi. Qui sotto, la fotografia delle società presenti sul mercato.

Anche alcune grandi società di gestione hanno alle fine deciso di fare il proprio ingresso in questo spazio. Invesco ha lanciato il suo Physical Bitcoin ETN (BTIC) nel novembre del 2021, mentre Fidelity International ha aspettato febbraio di quest’anno per quotare il Physical Bitcoin ETP (FBTC). Entrambi i prodotti sono riservati agli investitori istituzionali.

I due giganti statunitensi, tuttavia, non hanno convinto molti nuovi investitori: il prodotto targato Invesco ha raccolto circa 475mila euro nel primo semestre 2022 e a fine giugno gestiva 55 milioni (65 al 20 luglio), mentre quello di Fidelity ha visto una raccolta netta di 4,9 milioni a febbraio (mese di lancio) e poi sostanzialmente nulla fino al 30 giugno, data alla quale gestiva poco più di 2,1 milioni di euro (saliti a 2,4 al 20 luglio). Nello stesso periodo, attori più piccoli sono invece riusciti ad attirare flussi più consistenti.

Insomma, appoggiarsi a un brand riconosciuto dal grande pubblico non sembra essere garanzia di successo nel mondo degli asset digitali. Gli emittenti più piccoli, infatti, possono contare su un team focalizzato esclusivamente nella vendita e nella distribuzione di strumenti esposti alle cripto, mentre le società più grandi hanno una gamma di prodotti decisamente più larga. D’altro canto, la prima parte del 2022 non ha sicuramente rappresentato un buon periodo per raccogliere asset nel mondo delle monete digitali.

Quello che ci si chiede ora è se altri grandi nomi dell’asset management decideranno di lanciare uno o più ETP su criptovalute. Una recente ricerca di Cerulli Associates mostra che le preoccupazioni di carattere normativo e ambientale pesano sul sentiment degli investitori e limitano un’adozione più ampia, in particolare nello spazio istituzionale. Proprio l’inerzia da parte dei grandi attori istituzionali potrebbe frenare le grandi Sgr a compiere il passo. Forse, potrebbe esserci in gioco anche una sorta di rischio reputazionale.

Come funzionano
La maggior parte di questi ETP sono a replica fisica (detti anche spot) e hanno una struttura che ricorda da vicino quella degli ETC sull’oro fisico. Il bene sottostante (in questo caso una criptovaluta) viene tenuto in un deposito con uno o più custodi regolamentati, attraverso un sistemo detto di cold storage (cioè non connesso a Internet). La stragrande maggioranza di questi strumenti, inoltre, ha gli asset collateralizzati, eliminando così il rischio di insolvenza dell'emittente. In alcuni casi, poi, gli investitori avrebbero accesso direttamente alla criptomoneta sottostante come alternativa alla vendita delle loro quote in Borsa.

Attenzione, però. Dal punto di vista tecnico, per la regolamentazione UCITS questi strumenti non sono ETF, bensì sono degli ETC o ETN (Exchange traded commodity o Exchange traded note). Si tratta di strumenti di debito di durata lunghissima o illimitata e che non pagano interessi. Sono progettati per replicare la performance di un’attività sottostante, come le valute digitali, per cui se il valore del cripto asset scende a zero, lo stesso succederà per quello dell’ETP (basti guardare quanto successo con il progetto Terra-Luna e il suo token TerraUSD lo scorso mese di maggio).

Le differenze principali con gli ETF risiedono nel fatto che il patrimonio dell’ETP non è separato da quello dell’emittente (cosa che invece avviene con gli ETF) e nel trattamento fiscale (questi ETP sono tassati come le azioni ordinarie nella sezione redditi diversi, pertanto è possibile compensare plusvalenze e minusvalenze).

La “pulizia” delle bolle e la “guerra dei prezzi”
“In ogni bolla che scoppia c’è sempre un segnale e generalmente si tratta di qualcosa di grosso che fallisce; allo stesso tempo, però, ogni bolla è una sveglia e dà l’opportunità di fare pulizia”, commenta Massimo Siano, responsabile per il Sud Europa di 21Shares. “Chi ha la capacità di farlo resta e affronta la tempesta, chi non può abbandona. Noi siamo passati da oltre tre miliardi di euro di masse in gestione a fine 2021 a meno di un miliardo a fine giugno 2022. Oggi, però, siamo tornati sopra la soglia del miliardo di euro (l’intervista è stata rilasciata il 19 luglio, Ndr)”.

Dopo un semestre molto complicato, Siano vede una svolta. “Non posso dire che siamo fuori dal tunnel, non ho la palla di cristallo e nessuno può sapere con certezza se il mercato abbia toccato il fondo. Tuttavia, siamo di fronte a un’inversione di tendenza. Nell’ultimo mese abbiamo visto 100 milioni di euro di flussi netti sui nostri prodotti, un segnale molto forte in questo momento”.

Insomma, per il responsabile di 21Shares le criptovalute sono tutt’altro che morte. “Siamo convinti che l’interesse da parte degli investitori stia lentamente tornando e che ci sia ancora spazio per creare valore. Non lo diciamo solo a parole, ma coi fatti: per questo abbiamo deciso di lanciare ora su Xetra un nuovo ETP su Bitcoin con delle commissioni pari allo 0,21%. Proprio perché crediamo fortemente nelle prospettive future.”

Considerando che attualmente gli ETP su Bitcoin disponibili agli investitori privati propongono delle commissioni che spaziano tra lo 0,95% e il 2,50%, sembra che la “guerra dei prezzi” sia stata lanciata anche nel mondo dei cripto-replicanti. Sarà interessante vedere se e come reagiranno gli altri emittenti.

Per una volta, gli Usa guardano all’Europa
Il 19 ottobre 2021 ha fatto il suo debutto sulla Borsa di New York il ProShares Bitcoin Strategy ETF (BITO), il primo Exchange traded fund su Bitcoin approvato (seppur tacitamente) dalla SEC (Securities and Exchange Commission, la Consob americana).

Si è sicuramente trattato di un passo importante per il mercato americano (la SEC aveva respinto per anni le richieste di quotazione di strumenti esposti alle valute digitali) e infatti altri attori hanno seguito. Negli Stati Uniti, oggi si contano circa 40 ETF esposti a vario titolo al mondo delle criptovalute.

“Francamente, questo non l’ETF su Bitcoin che la maggior parte degli investitori stava aspettando”, ha commentato Ben Johnson, responsabile globale della ricerca ETF per Morningstar. “Sono però gli unici ETF su Bitcoin che il presidente della SEC, Gary Gensler, e i suoi colleghi permettono per il momento. E li permettono esplicitamente, quasi esclusivamente, perché non investono direttamente nella criptovaluta, ma in contratti futures su Bitcoin”.

Contrariamente alle criptovalute, infatti, i futures su Bitcoin sono un prodotto finanziario stabilito e scambiato su dei mercati regolamentati. “La SEC ha più volte commentato sulle possibili manipolazioni e frodi che possono interessare gli asset scambiati al di fuori di questi mercati. Con un prodotto che compra dei contratti futures, invece, le preoccupazioni della SEC sono decisamente inferiori”, ha proseguito Johnson.

Tutti contenti, dunque? Non proprio. I prodotti futures-based presentano diversi limiti, rispetto a un replicante spot, cioè esposto direttamente all’asset sottostante. Innanzitutto, i futures potrebbero non avere lo stesso prezzo della criptovaluta detenuta fisicamente, esponendo potenzialmente gli investitori a un premio di prezzo; questi prodotti, poi, sono in balia del cosiddetto “effetto rolling” (contango o backwardation) e inoltre, a causa della loro struttura, sono sottoposti a un limite di capacità massima di contratti futures che possono gestire. Infine, questi replicanti sintetici sono spesso più costosi rispetto a quelli fisici. Per approfondire clicca qui.

Insomma, per gli investitori americani interessati alle cripto ci sono opzioni decisamente più interessanti. “Per il momento, la SEC non sembra intenzionata ad approvare gli ETF fisici sulle criptovalute senza una più rigorosa supervisione e regolamentazione dei mercati sottostanti, nonostante il grande disappunto degli investitori in criptovalute”, commenta Bryan Armour, direttore della ricerca Morningstar sulle strategie passive in Nord America. “Malgrado non passi giorno senza che qualcuno si lamenti del fatto che gli Stati Uniti non abbiano un ETF spot su Bitcoin, non credo che la cosa cambierà a breve”, conclude Armour.  

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Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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