Quest'anno, quando le aziende hanno pubblicato sui social media dichiarazioni sull'emancipazione femminile in occasione della Giornata internazionale della donna, un account Twitter chiamato Gender Pay Gap Bot segnalava quelle che non erano all'altezza della situazione.
Per ogni tweet che celebrava i risultati e il valore delle donne in un’azienda, il bot rispondeva con un tweet di ritorno che riportava i dati sul divario retributivo di genere della rispettiva azienda, disponibili pubblicamente.
Pur essendo divertente, questa serie di eventi ha messo sotto i riflettori la questione del social washing, una pratica in cui le aziende fanno affermazioni fuorvianti, esagerate o non comprovate sulla gestione del rischio sociale o delle questioni sociali.
Poiché i dati su questo tipo di gestione del rischio sono limitati, il social washing è probabilmente una pratica diffusa che spesso non viene controllata. Gli investitori devono sollecitare una maggiore trasparenza per valutare se i rischi sociali siano gestiti in modo efficace.
Cos’è il social washing
Il social washing, come il più noto greenwashing, si verifica quando c'è uno scollamento tra l'impegno percepito nei confronti dei problemi e l'azione reale.
Questa pratica può assumere la forma di brand activism o dichiarazioni aziendali su un'ampia gamma di questioni sociali, tra cui la diversità, l'equità e l'inclusione, gli standard lavorativi, la giustizia razziale, i diritti umani, la sicurezza dei prodotti e la privacy dei dati.
Fare queste dichiarazioni senza intraprendere azioni concrete può mascherare una cattiva gestione dei rischi sociali, che potrebbe fuorviare gli investitori che danno priorità alla gestione delle questioni sociali nelle loro decisioni di investimento.
Cosa c'è dietro l'aumento del social washing? Semplicemente, gli stakeholder interni ed esterni attribuiscono un'importanza sempre maggiore alla gestione delle questioni sociali e le aziende sono costrette ad affrontare le carenze su questo fronte, o affrontare cause legali.
Questa pressione è testimoniata da:
-un aumento delle proposte degli azionisti e delle informazioni aziendali relative al rischio sociale,
-organismi normativi e consultivi come i Principi per gli investimenti responsabili delle Nazioni Unite che aumentano l’attenzione sulle questioni sociali,
- le giovani generazioni danno priorità alle questioni sociali nella scelta dell’azienda in cui lavorare,
- i consumatori che considerano la posizione di un'azienda sulle questioni sociali quando prendono decisioni di acquisto.
Sebbene sia difficile individuare il catalizzatore di una maggiore consapevolezza sulle questioni sociali, riteniamo che la spinta sia arrivata da diversi eventi, tra cui la pandemia di coronavirus, il movimento Black Lives Matter e la questione del diritto di aborto negli Stati Uniti.
Quale aspetto assume il social washing nella realtà?
Brand activism è una forma di social washing di alto profilo comunemente utilizzata dalle aziende di beni di consumo e ci sono molti esempi di come questa pratica si ritorca contro quando i consumatori scoprono i tentativi poco velati delle aziende di trarre profitto da cause sociali.
Come ha osservato il Guardian, questi esempi includono:
-La catena alimentare Marks & Spencer (MAKSF) ha venduto un "panino LGBT" nel Regno Unito durante le celebrazioni del Pride Month, ma si è astenuto dal vendere il prodotto nei mercati in cui le relazioni omosessuali sono illegali.
-Audi (AUDVF) ha lanciato una campagna per il Super Bowl per promuovere l'uguaglianza di genere nonostante la scarsa rappresentanza femminile nei ruoli dirigenziali e, all'epoca, nessun membro del consiglio di amministrazione di sesso femminile.
Allo stesso tempo, ci si aspetta sempre di più che le aziende reagiscano e prendano posizione su questioni sociali di alto profilo, mentre si destreggiano tra gli interessi contrastanti degli stakeholder. Inevitabilmente, ciò significa alienarsi alcuni gruppi e placarne altri.
Un esempio recente è rappresentato da aziende come Citigroup (C) e Lyft (LYFT) che hanno pubblicizzato il sostegno ai dipendenti che chiedono assistenza sanitaria per l'aborto in un mondo post-Roe v. Wade. Queste prese di posizione hanno placato i dipendenti favorevoli all'aborto, ma hanno portato gli attivisti contrari all'aborto e i legislatori conservatori a rispondere con minacce legali.
Anche quando le aziende ascoltano le pressioni sociali e agiscono, le conseguenze finanziarie possono essere negative, come nel caso di grandi aziende di abbigliamento come H&M (HM), Nike (NKE) e Adidas (ADS). Queste aziende hanno subito un calo delle vendite in Cina, in quanto i consumatori hanno boicottato i marchi occidentali che hanno modificato la strategia di approvvigionamento per evitare lo Xinxiang, a causa delle preoccupazioni sul lavoro forzato della popolazione uigura.
Tuttavia, anche il silenzio sulle questioni sociali è una strategia rischiosa. Lo dimostra il caso della Disney con riferimento alla legge "Don't Say Gay", che mirava a limitare le discussioni sull'orientamento sessuale e l'identità di genere nelle scuole.
Infine, il social washing si trova spesso in dichiarazioni aziendali vaghe e altisonanti, incluse quelle in documenti aziendali o sui social media.
Il social washing può mascherare o elevare il rischio
Le pratiche di social washing possono far sì che i rischi sociali siano gestiti male o addirittura aumentino.
Gli errori nel brand activism o i contraccolpi di una presa di posizione di un'azienda si sono dimostrati irrilevanti per la valutazione di un'azienda in sé.
Tuttavia, i rischi sociali mal gestiti e mascherati da affermazioni non comprovate hanno un impatto più significativo. Ad esempio, se le aziende prestano poca attenzione alla debolezza delle relazioni sindacali o alla mancanza di adeguate pratiche di assistenza ai lavoratori, rischiano un aumento dei costi operativi, un calo della produttività e un aumento del turnover.
Tuttavia, una preoccupazione più immediata è che quando gli impegni aziendali si rivelano infondati, le aziende rischiano di subire danni alla reputazione e di avere difficoltà ad attrarre e trattenere clienti e dipendenti.
Ad esempio, come ha osservato l'Harvard Business review, i dipendenti sono sempre più disillusi e indignati per il divario tra gli appelli alla giustizia razziale e l'assenza di azioni sostanziali a sostegno della causa.
I social media aumentano il rischio reputazionale, poiché le opinioni, buone o cattive, sono amplificate su Internet e le aziende che fanno affermazioni superficiali o non comprovate rischiano di essere esposte all’opinione pubblica.
In futuro, prevediamo che le aziende coinvolte nel social washing possano subire sanzioni regolamentari da parte di organismi di difesa dei consumatori che reprimono la pubblicità falsa o ingannevole, come è accaduto di recente con il greenwashing per i beni di consumo.
I dati sono essenziali per scovare il social washing
Per scoprire il social washing e valutare se i rischi sociali sono gestiti in modo appropriato, gli investitori devono spingere per una maggiore divulgazione dei dati.
Tuttavia, a differenza del rischio ambientale, che ha un quadro di riferimento consolidato e metriche comparabili come le emissioni di carbonio, la misurazione del rischio sociale è un campo ancora in evoluzione.
I dati relativi ai rischi sociali (in particolare i dati sulla diversità, che possono includere l'etnia dei dipendenti, l'identità di genere, la sessualità e lo stato di disabilità) sono tipicamente comunicati su base volontaria e la raccolta è vietata in alcune regioni dalla legislazione sulla privacy. Di conseguenza, i dati disponibili sono spesso poco comparabili, qualitativi e specifici.
Attualmente esiste un mosaico di leggi e norme di disclosure in materia. Tra queste, l’obbligo di comunicare il divario retributivo di genere da parte delle aziende britanniche con più di 250 dipendenti, l'obbligo per alcune aziende canadesi di divulgare le politiche e le pratiche di diversità nel consiglio di amministrazione e nell'alta dirigenza e l'obbligo per il Nasdaq Stock Exchange di rendere noti i dati sulla diversity nei Cda.
Speriamo che in futuro ci siano ulteriori progressi normativi per standardizzare tali dati. Tuttavia, in assenza di un set di dati completo, gli investitori possono fare alcune cose per valutare gli impegni delle aziende:
-Consultare i documenti aziendali e i dati di terzi per valutare la gestione delle questioni sociali con riferimento alle linee guida come quelle del PRI, i Social Bond Principles dell'International Capital Market Association e gli ESG Risk Ratings di Morningstar Sustainalytics.
-Fare pressione per una maggiore disclosure attraverso le proposte nelle assemblee degli azionisti. Ad esempio, in seguito al movimento Black Lives Matter, queste risoluzioni sono diventate sempre più diffuse come modo per valutare sia i progressi di un'azienda rispetto agli impegni pubblicizzati per la giustizia razziale, sia il modo in cui le operazioni attuali dell'azienda potrebbero contribuire al razzismo sistematico.
Partendo dal presupposto che la divulgazione dei dati migliorerà grazie alle pressioni esercitate dalle normative e dal mercato, la prossima frontiera è capire come analizzare i dati sul rischio sociale.
Prevediamo che con una maggiore disclosure, gli investitori saranno in grado di collegare più concretamente il rischio sociale alle valutazioni. Saranno anche in grado di utilizzare quadri di riferimento come gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per sviluppare soglie per un'adeguata gestione del rischio sociale.
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