Se un dottore visitasse l’economia italiana si accorgerebbe subito che il suo cuore soffre di palpitazioni da stress e ansia. Le piccole e medie imprese italiane, che sono responsabili del 41% dell’intero fatturato generato dal paese e del 33% dell’insieme degli occupati del settore privato, e che generano circa il 40% del Prodotto interno lordo del paese, stanno soffrendo il peggioramento del quadro macro e sono in grossa apprensione per il futuro.
Il quadro macroeconomico
Se è vero che nel 2021 abbiamo assistito a una forte accelerazione dell’economia dopo il blackout imposto dal Covid, con una crescita del Pil del 7,5% (vs il 2020), dobbiamo ora registrare che questa spinta si sta progressivamente esaurendo. I dati dell’Istat di fine agosto indicano che nel secondo trimestre la crescita è scesa a +4,6% (anno su anno) e quella congiunturale (rispetto al primo trimestre del 2022) si è fermata all’1%.
Il contesto macroeconomico è peggiorato negli ultimi mesi e il quadro tracciato dagli analisti di Confindustria non è rassicurante. Stando alla relazione del centro studi della Confederazione generale dell’industria italiana, il settore manifatturiero, che deve fare i conti con il forte aumento del costo dell’energia e con la scarsità delle materie prime, è in sofferenza. L’indice PMI del comparto (Purchasing managers index, calcolato in base alle risposte dei responsabili degli acquisti delle aziende e che misura le aspettative delle stesse sulla crescita futura del settore) in Italia è in costante decrescita dal dicembre del 2021 e a settembre ha toccato il punto più basso dal secondo trimestre del 2020, a quota 48 (da 48,5 di agosto), confermando un segnale di decrescita (sotto i 50 punti indica una decrescita).
L’inflazione è salita ancora ad agosto a +8,4% (su base annua), dal +7,9% di luglio, e gli elevati costi dell’energia e l’apprezzamento del dollaro nei confronti della moneta unica non fanno presagire un miglioramento del quadro inflazionistico, almeno nel breve termine. E questo rischia di pesare negativamente sui consumi delle famiglie. Inoltre, la Bce è tornata a far salire i tassi di interesse dopo sei anni di politica monetaria accomodante con l’intento di frenare la corsa dei prezzi al consumo, e l’aumento del costo del debito potrebbe rischiare di frenare gli investimenti delle imprese.
Aspettative pessimistiche sui conti delle PMI
Tutto questo si traduce in aspettative negative per i conti delle piccole e medie imprese italiane. Secondo Confindustria, il rischio è che alla lunga i margini di profitto delle aziende non resistano all’aumento del costo delle materie prime. A settembre, Intermonte ha rivisto al ribasso le stime sugli utili per il 2023 per le società del segmento Mid e Small cap coperte dai suoi analisti, rispetto a quelle fatte a inizio anno, tagliandole in media dell'8,5%.
Sui listini, però, le azioni di media e piccola capitalizzazione di mercato non sembrano al momento risentire di questo peggioramento delle aspettative per il prossimo anno. Gli indici Ftse Italia Mid Cap e Ftse Italia Small Cap hanno perso rispettivamente l'8,3% e il 5,8% nell'ultimo mese (in euro al 19 settembre 2022), ma da inizio 2022 hanno sovraperformato il mercato italiano nel suo complesso, rispettivamente di circa 13 e 5 punti percentuali (il rendimento dell’indice Ftse Italia All-Share è stato pari a 19,7%). Va segnalato, inoltre, che questo dato è in controtendenza rispetto a quanto si osserva sulle Borse del Vecchio continente, dove le società di bassa capitalizzazione di mercato (rappresentate dall’indice MSCI Europe Small Cap che nello stesso periodo ha perso il 25,8%) hanno registrato un ritardo di oltre 1000 punti base rispetto all’indice MSCI Europe.
Brutte notizie per gli investitori nel segmento Mid e Small cap
Gli analisti di Intermonte, nel loro report di settembre sulle società Mid e Small cap quotate a Borsa Italiana, evidenziano inoltre due aspetti che sicuramente non piaceranno agli investitori che prediligono posizionarsi su questi segmenti di capitalizzazione. La prima riguarda la loro valutazione. A seguito dell’andamento di Borsa negli ultimi mesi, infatti, il segmento Mid & Small cap è scambiato a multipli (Price/Earning calcolato sugli utili dei prossimi 12 mesi) di circa il 38% più alti rispetto a quelli delle azioni Large cap. Il secondo si riferisce alla liquidità delle azioni sul mercato (misurata in base ai volumi medi negoziati moltiplicati per i prezzi medi in un determinato periodo). Nel caso dei titoli Large cap, dicono gli analisti di Intermonte, si è registrata lo scorso mese una riduzione del 38% rispetto alla media annuale, mentre quella dei segmenti di media e piccola capitalizzazione si è ridotta nello stesso periodo rispettivamente del 44% e del 41,5%. In conclusione: le azioni delle società Mid & Small cap sono mediamente più costose delle Large cap e meno liquide di quanto non lo siano normalmente.
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