Da qualche settimana circola sui social network un video creato dalla propaganda di Mosca in cui si mostra un’Europa al gelo dopo che gli operai di Gazprom chiudono i fatidici rubinetti di gas, il tutto condito da un sottofondo musicale drammatico per enfatizzare il pathos. Una minaccia, nemmeno troppo velata, a come potrebbe presentarsi l’inverno ormai alle porte.
D’altra parte, Vladimir Putin conosce bene la storia. La stagione fredda aiutò Mosca a sconfiggere Napoleone e Hitler e il Presidente russo punta sui prezzi dell’energia alle stelle e sulle possibili carenze invernali, pensando che convinceranno l’Europa a spingere con forza l’Ucraina verso una tregua.
Stoccaggio, obiettivo raggiunto. Basterà?
La Russia è scesa sotto il 10% delle nostre forniture di gas, mentre prima dello scoppio della guerra si attestava intorno al 45%. In un incontro con la stampa del 19 settembre scorso, il portavoce della Commissione europea, Tim McPhie, ha dichiarato che “la Norvegia è ormai il nostro più grande fornitore di gas”. McPhie ha inoltre spiegato che “gli Stati Uniti hanno colmato parte di questa lacuna andando già al di sopra del livello fissato nell’accordo bilaterale Ue-Usa sulla fornitura di GNL (gas naturale liquefatto, Ndr)” e che l’UE “ha lavorato con numerosi partner tra cui l’Azerbaigian, l’Algeria, oltre ad aver concluso un accordo trilaterale con Israele ed Egitto”. Insomma, grazie agli sforzi a livello di Stati membri, c’è stato un sensibile aumento delle forniture da una varietà di produttori diversi.
Un ruolo chiave lo giocano i livelli di stoccaggio, tanto è vero che un regolamento dell'Unione Europea obbliga i 27 Stati membri a riempire i loro depositi di gas almeno all'80% entro il primo novembre. Risultato che sembra ampiamente raggiunto, come mostra la nostra mappa interattiva (a livello aggregato i Paesi dell’UE hanno gli stoccaggi pieni all’88%).
Ora, la domanda sorge spontanea.Con questi livelli possiamo stare tranquilli? “Lo stoccaggio serve a garantire l’offerta di picco, non la quotidianità”, spiega Massimo Nicolazzi, professore di Economia delle Fonti Energetiche all’Università di Torino. “La nostra massima capacità di stoccaggio copre meno della metà del nostro consumo invernale, inoltre l’utilizzo efficace delle riserve dipende anche dalle pressione delle tubature; man mano che si svuota, infatti, il giacimento di stoccaggio eroga sempre meno gas perché la pressione diminuisce, ecco perché in alcuni periodi dell’anno – tipicamente a marzo – è più difficile attingerci”.
Insomma, non possiamo immaginare di passare l’inverno in tranquillità perché abbiamo gli stoccaggi pieni al 100%, non funziona così.
Il price cap e lo strappo di Berlino
Il Consiglio europeo sull’energia dello scorso 30 settembre è stato, manco a dirlo, un mezzo fiasco. I ministri UE dell’energia hanno approvato un pacchetto di “misure di emergenza” che difficilmente potrà avere un grosso impatto.
Le misure comprendono: un tetto massimo ai ricavi extra di mercato fissato a 180€/mWh per il nucleare o le rinnovabili, una tassa del 33% per i produttori di combustibili fossili e una riduzione obbligatoria del 5% della domanda di elettricità.
“La crisi energetica è grave. E richiede dall’Europa una risposta comune, bisogna fare di più”. A dirlo è stata proprio la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, all’indomani dell’Energy Council. La risposta comune, tuttavia, tarda ad arrivare, con i Paesi del Nord Europa e soprattutto la Germania ancora contrari a introdurre un tetto massimo al prezzo delle importazioni di gas.
Berlino, infatti, ha già stanziato un fondo da 200 miliardi di euro in aiuto di cittadini e aziende tedesche. Insomma, il Cancelliere Olaf Scholz preferisce pagare di più le forniture senza correre il rischio di comprometterle, per non creare difficoltà alle fabbriche. Una misura legittima, ma svincolata dall’ottica di un’Europa unita e che potrebbe anche rappresentare un aiuto di Stato illegittimo ai sensi del diritto europeo sulla concorrenza.
“Il limite del price cap è che, ammessa la legittimità di tale scelta soprattutto sui contratti esistenti, potrebbe essere applicato solo via tubo, ma non certo al mercato del gas naturale liquefatto (GNL), il quale andrebbe tutto in Asia”, commenta il professor Nicolazzi.
Oltre il TTF?
In un documento non pubblico del 29 settembre, la Commissione UE ha affermato la volontà di creare un nuovo benchmark basato sulle transazioni per il GNL, in quanto il calo dei flussi dai gasdotti russi e l'aumento record delle importazioni di GNL hanno creato squilibri nell'attuale meccanismo di determinazione dei prezzi, oggi rappresentato dal TTF.
Tale parametro di riferimento alternativo per il prezzo del GNL - che gli operatori di mercato potrebbero utilizzare volontariamente - dovrebbe basarsi su valutazioni verificabili dei prezzi alle consegna dei carichi di GNL, proprio per garantire che rifletta i prezzi reali del combustibile.
La proposta è stata rilanciata proprio in queste ore anche dall’attuale ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani, il quale ha dichiarato in un’intervista rilasciata alla Rai che l’ipotesi sia quella di “indicizzare il prezzo del gas agganciandolo a Borse un po’ più stabili rispetto al TTF, che non ha nulla a che vedere con la situazione reale e con i meccanismi di domanda e offerta” e che sia arrivato “il momento per un indice europeo che sia più veritiero”.
“Un piano di razionamento ci deve essere”
Prima che questo diventi realtà, se mai lo diventerà, passeranno probabilmente mesi. La verità è che la nostra unica prospettiva di avere in fretta quote extra di gas, in concreto, è quella di abbattere i consumi. Fu proprio lo stesso Cingolani a presentare lo scorso 6 settembre il Piano nazionale di contenimento dei consumi energetici.
Andiamo quindi verso un inverno al freddo? “È difficile dirlo, certo la ‘durezza’ dell’inverno dipende da molti fattori”, afferma Massimo Nicolazzi. “Per quanto possibile tecnicamente, ora che i Nord Stream sono fuori uso, abbiamo bisogno che il flusso russo continui, che non faccia troppo freddo, che ci sia vento nel mare del Nord e che a gennaio il nucleare francese torni a produrre al 100% della propria capacità, rispetto al 50% attuale”.
“Di sicuro, un piano di razionamento è imprescindibile”, continua Nicolazzi, “e la gente deve saperlo, dev’essere pronta nel caso in cui si debba implementare. Segnali troppo ottimisti sono politicamente sbagliati. In questo momento, l’efficienza energetica e il risparmio energetico dovrebbero essere il vangelo per chi ci governa”.
“Il rischio vero, tragico, è che il razionamento sia ‘involontario’ – ammonisce il professore – per ogni industria che chiude, infatti, cala la domanda di energia”.
Tre anni per uscirne
Secondi diversi studi, tra cui un’analisi a cura di Goldman Sachs di inizio settembre, il prezzo del gas europeo dovrebbe raffreddarsi sensibilmente nei prossimi mesi. La banca d’affari americana prevede che il prezzo scenda sotto i 100 euro al MWh entro il primo trimestre del 2023, grazie al fatto che gli stoccaggi siano pieni praticamente ovunque, per poi risalire durante l’estate quando dovranno essere riempiti nuovamente.
Secondo gli analisti di Goldman, gli impianti di stoccaggio europei rimarranno pieni per oltre il 20% alla fine di marzo del prossimo anno e questo porrà le premesse affinché il senso di urgenza di distruggere la domanda che vediamo attualmente venga gradualmente sostituito da un senso di sollievo del mercato per aver superato l'inverno.
“Se ragioniamo coi parametri attuali, la cosa più probabile è che l’anno prossimo saremo ancora corti, più o meno nella stessa situazione di oggi, quindi non credo che i prezzi saranno molto più bassi”, spiega Massimo Nicolazzi. “L’inverno 2024-25 andrà meglio perché avremo una maggiore capacità di offerta già disponibile, ma non ne saremo fuori totalmente. L’anno successivo, invece, potremmo tornare finalmente a una situazione di ‘mercato lungo’. Certo, dipende tutto dalla domanda”, conclude il professore.
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