Mentre il presente è dominato dalle dinamiche bollenti dei prezzi dell'energia, cominciano già a delinearsi le caratteristiche dell’Eni del futuro, in cui una delle potenzialità emergenti di lungo periodo è quella dell'idrogeno. Ed è nella capacità di bilanciare il passaggio tra presente e futuro che si giocano le prospettive in Borsa del titolo di quello che finora è sempre stato definito come il colosso petrolifero italiano.
Figura 1
Verso la carbon neutrality nel solco dell’idrogeno verde
Che le prospettive di lungo periodo di Eni siano sempre più agganciate a scelte di business sostenibile di tipo ESG, lo dimostra anche il newsflow più recente. A fianco del lancio di Plenitude, entità separata in cui sono state raccolte le attività legate a rinnovabili e low carbon, è l’idrogeno ad occupare sempre più spazio. In effetti, Eni è già il principale produttore e consumatore di idrogeno in Italia. E adesso, con South Italy Green Hydrogen, la joint venture creata insieme ad Enel Green Power per portare avanti lo sviluppo dei progetti legati all’idrogeno, risulta anche tra i beneficiari italiani di un finanziamento pubblico autorizzato dalla Commissione europea nell'ambito del progetto europeo Ipcei Hy2Use. Una notizia importante. Infatti, il supporto pubblico europeo ha una capacità di fuoco fino a 5,2 miliardi di euro per sostenere tra tutti i Paesi membri la ricerca e l'innovazione, la prima applicazione industriale e la costruzione delle relative infrastrutture nella catena del valore dell'idrogeno.
South Italy Green Hydrogen realizzerà due impianti: uno all’interno della bioraffineria di Gela, dove sarà installato un elettrolizzatore da 20 Mw, e l’altro nelle vicinanze della raffineria di Taranto, dove sarà installato un elettrolizzatore da 10 Mw, entrambi con tecnologia Pem. L'idrogeno verde, prodotto utilizzando esclusivamente energia rinnovabile, è stato individuato dalla joint venture come soluzione idonea per contribuire al processo di decarbonizzazione dei due stabilimenti.
Uno strumento per ridurre le emissioni
Eni è già attiva da molti mesi su questo fronte. La società dichiara esplicitamente che nei prossimi anni l’idrogeno sarà uno degli strumenti per realizzare il suo percorso di riduzione delle emissioni GHG, i Greenhouse Gases, (tutti i gas capaci di intrappolare il calore nell'atmosfera, dando vita al fenomeno dell’effetto serra) verso l’obiettivo zero emissioni nette. Nel Piano Strategico 2022-2025 è indicato il traguardo di portare la produzione di idrogeno a 4 milioni di tonnellate per anno (MTPA) entro il 2050. E i primi passi sono già stati fatti. Lo scorso giugno ha inaugurato la stazione di servizio a idrogeno di Mestre e sta studiando ulteriori iniziative in Italia e all'estero per la decarbonizzazione delle industrie hard to abate, vale a dire con emissioni di CO2 più difficili da ridurre rispetto ad altri, e della mobilità pesante.
Ma la carta di identità è ancora piena di “oil”
Se il futuro di lunghissimo periodo risponde al nome di idrogeno, il presente di Eni ci dice che resta una società integrata di petrolio e gas che esplora, produce e raffina petrolio in tutto il mondo. I numeri parlano chiaro. Nel 2021, l'azienda ha prodotto ogni giorno 0,8 milioni di barili di materia prima di tipo oil liquida e 4,6 miliardi di piedi cubi di gas naturale. A fine 2021 Eni deteneva riserve per 6,6 miliardi di barili di petrolio equivalente, di cui il 49% liquidi. Da non dimenticare poi che resta anche una società a controllo statale: il governo italiano possiede una partecipazione del 30,1% nella società. Attenzione però. Il presente di Eni sta già mostrando segnali di trasformazione nella propria mappa di fonti sostenibili, in cui spicca la citata Plentitude, con un piano che prevede la sua quotazione nel breve-medio termine.
La produzione di petrolio crescerà ancora
In attesa che il percorso verso le fonti rinnovabili prenda sempre più forza, la strategia in corso di Eni per raggiungere la carbon neutrality nel 2050 rispecchia quella di molti concorrenti mentre cerca di investire in nuove attività a basse emissioni di carbonio. Tuttavia, come per altre società simili, la sua attività legata agli idrocarburi rimarrà il principale motore di guadagno durante il prossimo decennio e comanderà la maggior parte degli investimenti.
Come spiega Allen Good, equity sector strategist di Morningstar, sul suo report di settembre su Eni, la società prevede di aumentare la produzione a 1,89 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno nel 2025 da 1,68 milioni nel 2021, riducendo il suo livello di pareggio sui costi a meno di 25 dollari al barile in media fino al 2025 e realizzando rendimenti del 21% su nuovi progetti. La produzione e gli investimenti di idrocarburi dopo il 2025 rimangono incerti e dipendenti dal mercato, sebbene i piani di gestione del gas naturale comportino il 90% di quello che sarà probabilmente un portafoglio molto più piccolo nel 2050.
Verso una maggiore diversificazione di fonti di energia
Per la diversificazione delle fonti di energia, Eni prevede di produrre maggiori quantità di energia da fonti decarbonizzate. Nella raffinazione questo significa sostituire parte del suo prodotto raffinato con biocarburanti. “Entro il 2025 – sottolinea Good, sector strategist di Morningstar, nella sua analisi - prevede che la bioraffinazione e il marketing produrranno oltre la metà degli utili del segmento, poiché la capacità di bioraffinazione aumenterà a 2 tonnellate all'anno da 1,1 tonnellate all'anno nel 2020. Il suo segmento chimico farà affidamento su prodotti bio/riciclati per ridurre l'esposizione alla volatilità del prezzo del petrolio e le turbolenze sui ricavi, riducendo l'intensità del carbonio”.
Figura 2: I conti di Eni
I punti importanti del presente di Eni
Secondo Allen Good, ci sono soprattutto tre elementi di forza per Eni oggi. Innanzi tutto, le recenti scoperte di grandi giacimenti di gas naturale offrono a Eni opportunità di crescita a basso costo nel prossimo quinquennio. A questo si aggiunge il fatto che Eni sta impegnando il 25% della sua spesa in conto capitale in progetti che ridurranno la sua intensità di carbonio e la metteranno sulla strada giusta per raggiungere l'ambizione zero emissioni nette entro il 2050. Ultimo, ma non per questo meno importante, superato il periodo economico condizionato dal Covid-19, i segmenti di raffinazione e marketing e di gas e power sono destinati a fornire costantemente utili dopo anni di perdite con impatto sull'andamento complessivo del bilancio.
Ovviamente non mancano alcune zone d’ombra per il colosso petrolifero. Tra queste, il fatto che il portafoglio upstream di Eni sia esposto a rischi geopolitici più elevati rispetto ai suoi omologhi, che si sono tradotti in arresti di produzione e pagamenti in sospeso. Questi rischi persisteranno, poiché la diversificazione appare improbabile. Bisogna poi tenere contro che la transizione di Eni verso un'attività a basse emissioni di carbonio e verso le rinnovabili potrebbe comportare errori di esecuzione e allocazione del capitale, con conseguente riduzione dei rendimenti e perdita di potenziali aumenti dei prezzi del petrolio. Da non sottovalutare, infine che la quota di maggioranza del governo in Eni, accanto al controllo del cda, potrebbe comportare un'allocazione delle risorse non ottimale, soprattutto se sono in discussione posti di lavoro in Italia.
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