Petrolio sì o petrolio no? Come dovrebbero comportarsi i risparmiatori che scelgono di avere un profilo ESG nei loro investimenti davanti alla decisione di inserire o meno nei loro portafogli le azioni di compagnie petrolifere?
La risposta dipende da cosa l’investitore intende per “sostenibilità”, oltre che da analisi relative ai fondamentali delle aziende e alle valutazioni di mercato. Per alcuni risparmiatori, ad esempio, è fuori discussione qualsiasi investimento in combustibili fossili. Ma se invece la decisione è quella mantenere una certa esposizione al settore con l’intento di posizionarsi sul trend di lungo periodo della transizione dai combustibili fossili, allora ci sono reali possibilità di riuscire in qualche modo a capitalizzare la buona intonazione del settore.
La corsa del barile
La cosa certa è che gli energetici sono i titoli che negli ultimi due anni hanno aumentato maggiormente la loro capitalizzazione di mercato. L’indice Morningstar Global Energy ha guadagnato il 41% nel 2021 (in euro) e da inizio anno è salito del 50% (in euro all’8 novembre 2022) in scia al prezzo del barile.
Negli ultimi 12 mesi le quotazioni del petrolio WTI sono salite del 22,3%, toccando punte di 133 dollari a inizio marzo (fonte: Infront Italia, dati all’8 novembre 2022), in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina. Questi livelli non si erano mai visti negli ultimi 10 anni.
Il mercato, dicono gli analisti di Morningstar, sta scontando prospettive di lungo periodo irrealistiche, per questo motivo gli attuali prezzi del petrolio sono sproporzionatamente più elevati rispetto ai costi marginali di produzione. “Nonostante la maggiore attenzione alla riduzione delle emissioni di CO2 e alla crescita delle energie rinnovabili, cambiare le fondamenta dell'economia globale richiederà ancora parecchio tempo. Gli idrocarburi continuano ad alimentare l'economia ed è improbabile che questo paradigma cambi nel breve periodo. In base alle nostre previsioni, la domanda di petrolio raggiungerà il picco intorno al 2030 per poi diminuire lentamente. Nel 2050, infatti, le richieste di greggio saranno solo dell’11% inferiori a quelle attuali”, dice Allen Good, energy strategist di Morningstar.
Secondo gli analisti di Morningstar, il modo migliore per continuare ad avere una certa esposizione al settore energia, ma con un approccio più sensibile alle tematiche ESG, è quello di selezionare i titoli in base agli investimenti delle aziende nella transizione energetica.
Come scegliere gli energetici da mettere in portafoglio
Occhio, dunque, ai proclami “zero-emissioni” di molte compagnie petrolifere. “A nostro avviso, questo è un attributo a cui gli investitori non dovrebbero dare molto peso. La maggior parte delle società energetiche fissa questi obiettivi al 2050. Per questo motivo suggeriamo di guardare alle azioni concrete che intendono fare nel brevissimo periodo come ridurre le emissioni Scope 3, cioè quelle che non derivano direttamente dall’attività produttiva dell’azienda – un esempio sono quelle prodotte dai gas di scarico delle auto – attraverso investimenti in progetti di cattura del carbonio o per l’eliminazione del flaring, ovvero la combustione del gas in eccesso estratto insieme al petrolio”, dice David Meats, director of research, energy and utilities.
Tuttavia, la strategia di transizione energetica dai combustibili fossili non è uguale per tutte le compagnie petrolifere. Quelle europee non si stanno limitando a perseguire obiettivi di riduzione delle emissioni nel lungo termine, ma stanno investono in attività diverse dagli idrocarburi e hanno già esplicitato obiettivi per la produzione di energia rinnovabile nei prossimi anni. Inoltre, hanno progetti nei segmenti dell’idrogeno e della cattura del carbonio molto più sfidanti rispetto a quelli delle aziende statunitensi ed investimenti nell’intera catena del valore delle rinnovabili, come ad esempio la distribuzione e il commercio di energia solare ed eolica anche attraverso l’installazione delle centraline di ricarica dei veicoli elettrici.
L’approccio delle aziende statunitensi è invece quello di rimanere fedeli al proprio modello di business cercando di ridurre le emissioni legate alla produzione di idrocarburi attraverso, ad esempio, l’utilizzo dell’energia elettrica per le operazioni di perforazione e fracking o la riduzione al minimo del flaring.
Occhio a fondamentali e valutazioni di mercato
Quello che gli investitori non devono mai dimenticare, comunque, sono i fondamentali delle aziende e il prezzo al quale vengono scambiate sul mercato. Se è vero che le compagnie petrolifere europee sono più avanti nel processo di transizione dalle fonti fossili, bisogna considerare che gli investimenti nelle rinnovabili inizieranno a dare il loro contributo alla crescita degli utili solo tra qualche anno e che entrare in un settore molto concorrenziale come quello delle energie alternative significa operare in un campo in cui non si possiede nessun vantaggio competitivo e in cui, quindi, si è meno profittevoli.
Dall’altro canto, le aziende statunitensi, i cui conti hanno beneficiato a pieno dell’ascesa del prezzo del petrolio, sono scambiate a valutazioni di mercato poco convenienti.
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