Crisi del gas, il prossimo inverno passa da Pechino

Mentre i prezzi sul TTF scendono ai livelli pre-guerra, i Paesi europei programmano già le mosse per l’autunno. Il peso sempre maggiore del GNL ci mette in concorrenza diretta con l’Asia e, soprattutto, con la Cina.

Valerio Baselli 25/01/2023 | 08:30
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Gas

Nemmeno i più ottimisti avrebbero potuto prevedere la scorsa estate che nel giro di pochi mesi il prezzo del gas sarebbe sceso a 56 euro al megawattora, sostanzialmente il livello di settembre 2021, molto prima dell’invasione russa in Ucraina. Nemmeno le temperature polari che hanno investito l’Europa la settimana scorsa (e la cui morsa è tuttora presente) hanno invertito la rotta del trend al ribasso.

Da notare poi che ad abbassarsi è stata tutta la curva dei futures, indicando un ottimismo generalizzato del mercato anche a medio termine: per tutto il 2023 (e per la primavera del 2024) ci si aspetta un prezzo che oscilli tra 63 e 75 euro, quando anche solo 45 giorni fa le attese si attestavano a valori quasi doppi.

Un inizio d’inverno ben più mite della norma – in alcuni casi addirittura caldo – ha aiutato non poco a far calare la domanda: secondo i dati del centro analisi ICIS, nel quarto trimestre dell’anno la domanda di gas nei Paesi europei è scesa del 20% rispetto alla media dei cinque anni precedenti. Questo dato include, oltre alla diminuzione dei consumi domestici, quella dei consumi industriali, che sono quelli da tenere più in osservazione.

“Nonostante la forte diminuzione dell’uso di gas, al momento non abbiamo in Europa un calo drastico della produzione industriale e manifatturiera, questo grazie a diverse operazione di efficientamento energetico, ad esempio attraverso il cambio dei combustibili utilizzati o l’importazione di prodotti particolarmente energy intensive, come l’ammoniaca o l’acciaio”, commenta Giovanni Sgaravatti, research analyst di Bruegel, think tank politico-economico internazionale con sede a Bruxelles. “È una buona notizia, anche se alcuni settori specifici – come quello chimico – stanno soffrendo particolarmente”.

Il risultato è che a metà gennaio l’Europa di trova con le scorte piene al 78,5%, quando tipicamente in questo periodo dell’anno siamo attorno al 60%. Insomma, grazie al clima clemente, alla minore domanda e al maggior ricorso al GNL (Gas naturale liquefatto), gli Stati del Vecchio continente non hanno avuto bisogno di attingere agli stoccaggi; gli stessi stoccaggi che inoltre nessuno ha interesse a vendere sul mercato, vista la rapida discesa dei prezzi.

Meno tubo, più rigassificatori
Il flusso di gas russo verso l’Unione europea è stato quasi azzerato. Siamo passati dai 150 miliardi di mc (metri cubi) del 2021, ai circa 25 miliardi di mc previsti per il 2023 (via l’Ucraina e il gasdotto Turkstream). Per colmare il vuoto, l’UE ha quasi raddoppiato le importazioni di GNL: 123 bcm nel 2022, contro i 74 del 2021. Circa un terzo del GNL importato l’anno scorso proveniva dagli Stati Uniti (diventati primo esportatore al mondo). Curioso come nel silenzio quasi generale, al secondo posto troviamo proprio la Russia, seguita dal Qatar.

Le importazioni europee di GNL russo sono infatti aumentate del 50% circa l’anno passato. La maggior parte di questo gas liquefatto arriva in Europa dalla Russia grazie a Novatek (NVTK), azienda russa ufficialmente indipendente (sulla carta non è partecipata dal Cremlino) e che fino a poche settimane fa vedeva tra i suoi azionisti anche TotalEnergies (TTE) – il colosso francese ha ritirato i suoi due membri dal consiglio di amministrazione della società e ha annunciato una svalutazione di 3,7 miliardi di dollari sulla sua partecipazione del 19,4% nel gruppo russo lo scorso 9 dicembre.

 

In futuro, quindi, il gas arriverà in Europa sempre più su nave e sempre meno via tubo. Questo pone delle domande sulla capacità di rigassificazione europea, oggi quasi al suo massimo. “Ci sono stati colli di bottiglia in Europa su questo fronte”, afferma Giovanni Sgaravatti, “per esempio durante la seconda settimana di gennaio la Polonia ha impiegato il 100% della propria capacità di rigassificazione, altri Paesi ci sono andati vicino, mentre per altri ancora c’è un margine di manovra più ampio: la Francia ha usato il 75% della propria capacità, l’Italia il 77%, l’Olanda il 72%. La Spagna solo il 33%”.

Investire per aumentare il volume di gas liquido che possiamo rigassificare in Europa è quindi fondamentale. In particolare, la Germania non è stata con le mani in mano. “Due nuove FSRU (Floating Storage and Regasification Unit) sono operative nei porti di Wilhelmshaven e Lubmin, nel nord del Paese”, spiega Sgaravatti, “altre tre entreranno in funzione nei prossimi mesi e un’altra ancora a fine 2023; ogni unità di rigassificazione ha una capacità media di 5 bcm all’anno”.

Berlino è quindi in prima linea negli investimenti, anche grazie a una capacità di spesa quasi unica, ma non è la sola: in Italia, oltre a Piombino e Ravenna, ci sono progetti concreti per Gioia Tauro e Porto Empedocle.

Il risveglio della Cina e la concorrenza asiatica
La situazione generale, quindi, è migliore di quanto ipotizzato la scorsa estate. Tuttavia, è troppo presto per dichiarare vittoria nella guerra dell’energia. “Sebbene il tentativo di Putin di utilizzare la dipendenza europea dal gas russo come strumento di ricatto sia fallito, l'Europa si trova ancora di fronte ad una sfida importante per garantire il soddisfacimento del proprio fabbisogno energetico nell'inverno 2023-2024, e oltre”, afferma Justin Thomson, responsabile investimenti azionari globali di T. Rowe Price. “L’era della Russia come principale fornitore che soddisfa il fabbisogno energetico europeo è finita: non è più possibile tornare allo status quo precedente alla guerra in Ucraina e la transizione dall'energia russa sarà tutt’altro che semplice”, continua.

Il gas russo rappresenta infatti ancora più del 40% delle riserve europee per questo inverno. “Ai livelli attuali di domanda”, spiega Thomson, “ciò significa che l'Europa dovrebbe attrarre il 30% del mercato globale del GNL per arrivare in sicurezza fino alla primavera del 2024”.

Un’impresa ardua, considerato che la produzione di esportazione degli Usa è già ai massimi e soprattutto che la domanda asiatica, in particolare cinese, di GNL è destinata ad aumentare. Due anni e mezzo di pandemia hanno pesato non poco sull’economia del Dragone. Ora, però, il gigante asiatico dà segnali di risveglio: le autorità di Pechino sembrano aver accantonato la politica zero-Covid e il Paese si sta riaprendo sia internamente sia all’esterno, e con lui la sua economia.

“A nostro parere, una distensione più rapida del previsto della politica zero-Covid di Pechino e le politiche industriali favorevoli del governo contribuiranno a innescare un rimbalzo dell’attività economica più forte di quanto atteso nel primo semestre del 2023”, afferma Christiaan Tuntono, Senior Economist Asia Pacific di Allianz Global Investors. “A fronte di una base statistica modesta nel 2022, nel 2023 la crescita potrebbe tornare a livelli in linea con il potenziale (4,5%-5%) o superiori”.

Meno tubo e più GNL vuole dire che in mercato corto (quando la domanda supera l’offerta) noi Europa si concorre sempre più con i mercati asiatici per il nostro approvvigionamento. “Storicamente il gas in Europa costava meno del GNL in Asia, poi il mercato corto (il differenziale premia per la prima volta il mercato asiatico nel dicembre 2021) e la guerra hanno ribaltato l’andamento; e adesso meteo e stoccaggi pieni hanno riportato il TTF sotto al JKM (Japan Korea Market, Ndr)”, spiega Massimo Nicolazzi, professore di Economia delle Fonti Energetiche all’Università di Torino, in un suo contributo pubblicato sul portale d’informazione RiEnergia.

Il mercato, quindi, non dipende solo da meteo e infrastrutture, ma anche (forse soprattutto) dai consumi cinesi. “Nel 2022, le importazioni cinesi di GNL sono scese di 21 miliardi di mc a fronte di un aumento delle importazioni via tubo di 5 miliardi. La previsione è che il tubo nel 2023 porterà via Russia 7 miliardi in più; ma ciò che succederà dei consumi in generale nel regime di dopo Covid ora instaurato è difficile da prevedere. Se riparte la domanda sarà soprattutto di GNL e non sarà una buona notizia né per i nostri prezzi né per i nostri approvvigionamenti”, commenta Nicolazzi.

Insomma, se l’Europa è riuscita a rifornirsi di GNL facilmente quest’anno è anche perché i consumi cinesi sono diminuiti e di questo occorre tenerne conto. Come si ipotizza in due analisi fatte da Standard & Poor’s e dall’Agenzia internazionale dell'Energia (IEA), se le importazioni cinesi di GNL riprendessero il prossimo anno ai ritmi del 2021 e la fornitura russa verso l’Europa si azzerasse, l’UE si ritroverebbe con un buco da circa 30 miliardi di metri cubi da colmare tra l’estate e l’autunno di quest’anno.

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Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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