L’oro riprende a brillare

Indebolimento del dollaro e timori di recessione negli Stati Uniti rendono le prospettive per i metalli preziosi e le aziende che li estraggono più rosee rispetto al passato. Ma qual è il loro ruolo in portafoglio? E cosa cambia tra la commodity fisica o le società minerarie?

Valerio Baselli 06/02/2023 | 12:14
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Oro

La Federal Reserve ha alzato l'intervallo obiettivo per il tasso sui fondi federali di 25 punti base al 4,5%-4,75% nella riunione del primo febbraio, riducendo l'entità dell'aumento per la seconda riunione consecutiva. Non è un caso, infatti, che oro e argento stiano tornando prepotentemente nei radar degli investitori, che si aspettano un ulteriore rallentamento nell’aumento dei tassi d’interesse da parte della banca centrale americana, con conseguente indebolimento del dollaro sul mercato valutario.

Tuttavia,  il presidente Jerome Powell si è dimostrato risoluto: “non siamo ancora giunti al picco dei tassi”, ha dichiarato in conferenza stampa, e “quando ci arriveremo, ci resteremo più a lungo di quanto i mercati si aspettano, e forse andremo oltre, se necessario”. Insomma, è possibile che la Fed sia disposta a rischiare un rallentamento economico pur di non perdere il controllo sui prezzi.

“Da tempo i mercati finanziari prevedono una recessione negli Stati Uniti”, afferma James Luke, gestore delle strategie sui metalli di Schroders.“Un segnale chiaro è l’inversione della curva dei rendimenti degli Stati Uniti, che significa che i tassi di interesse a lungo termine sono inferiori a quelli a breve termine. Un segnale tipico che indica che la recessione prima o poi arriverà”.

Guardando al passato, infatti, l’oro tende ad avere buone performance in termini assoluti e relativi durante le recessioni statunitensi e i titoli azionari auriferi hanno fatto ancora meglio.

Un 2022 volatile, ma alla fine indolore
Insomma, molti fattori che hanno giocato a sfavore dell’oro nel 2022 si sono rivelati positivi all’alba del nuovo anno: l’inflazione, ad esempio, ha raggiunto il picco intorno alla metà dell’anno e sembra essere in discesa. “Le tensioni geopolitiche e la deglobalizzazione hanno spinto molte banche centrali non occidentali a diversificarsi dal dollaro statunitense”, spiega Joe Foster, portfolio manager, Gold Strategy di VanEck. “Gli acquisti netti di oro da parte delle banche centrali hanno reso il 2022 uno degli anni più forti mai registrati”. La People’s Bank of China (PBOC) ha annunciato di aver acquistato 32 tonnellate d’oro a novembre: si tratta del primo acquisto ufficiale della PBOC dal 2019. È forse anche per questo che il metallo giallo – grazie a un rimbalzo di fine anno – è riuscito a chiudere il 2022 a circa 1.814 dollari l’oncia, quasi tre dollari sopra il valore di inizio anno.

“Sebbene l’oro abbia chiuso sostanzialmente invariato, l’anno è stato tutt’altro che tranquillo”, prosegue Foster. “I prezzi sono scesi di 450 dollari dai massimi ai minimi prima di tornare al punto di partenza”. L’oro ha registrato nell’anno un ribasso massimo dell’11,3%, per poi chiudere praticamente immutato, un risultato di tutto rispetto se si considera la perdita del 18,1% dell’indice S&P 500 e la perdita del 64,3% del Bitcoin.

Il ruolo in portafoglio
In tutti i mercati ribassisti degli ultimi 50 anni, in particolare durante la crisi finanziaria del 2008, l'oro ha svolto un ottimo lavoro di stabilizzazione del portafoglio. Anche nell'attuale congiuntura economica sfavorevole, l'oro ha finora dimostrato il proprio effetto stabilizzante. Da febbraio 2022 a gennaio 2023, l'oro ha guadagnato il 7%, in euro, mentre l'MSCI World ha perso il 13%, in euro. “A nostro avviso – afferma Jan Viebig, Global Co-CIO e Head of Multi-Asset di ODDO BHF AM – un’allocazione in oro fino al 10% in un portafoglio puramente azionario (in misura proporzionalmente inferiore in un portafoglio misto) può avere un effetto stabilizzante sul ritorno del portafoglio”.

Le banche centrali fanno il pieno
Secondo il World Gold Council, gli acquisti di oro da parte delle banche centrali hanno raggiunto le 673 tonnellate nel solo 2022, il livello più alto dal 1967. Alcuni dei maggiori acquirenti del metallo sono state le banche centrali di India, Qatar e Uzbekistan, oltre a Turchia, Egitto, Iraq, India e Argentina, tutti Paesi che evidentemente vogliono diventare meno dipendenti dal dollaro.

“Ciò indica un cedimento della fiducia nei confronti della sicurezza delle valute tradizionali”, commenta Ned Naylor-Leyland, investment manager, Gold and Silver di Jupiter AM. “In primo luogo, la volatilità geopolitica e dei mercati ha spinto molte banche centrali ad aumentare le scorte di questo metallo, notoriamente considerato un bene rifugio durante i periodi di turbolenza economica. In secondo luogo, l’oro è spesso visto come una buona copertura a lungo termine contro l'inflazione e, con il persistere di alti livelli di inflazione, molte banche centrali stanno immagazzinando la loro ricchezza in oro piuttosto che in denaro liquido”.

Inoltre, questa massiccia domanda rivela anche una perdita di fiducia nelle istituzioni e nei governi. “La bellezza dell'oro, infatti, è che non richiede fiducia, a differenza del denaro emesso dagli Stati”, afferma Naylor-Leyland. In un momento storico in cui ci si avvia verso una nuova era caratterizzata dalla deglobalizzazione e da strutture di potere multipolari, il lingotto viene visto persino come meccanismo di pagamento apolitico: l’esempio più recente di ciò è stato l’annuncio del Ghana della sua intenzione di utilizzare l'oro piuttosto che i dollari USA per acquistare petrolio.  

“Gli Stati Uniti dovranno invertire la loro politica di rialzi dei tassi di interesse a un certo punto a causa dell'emissione record di Treasury in corso e della mancanza di acquirenti”, prosegue il gestore di Jupiter. “Quando ciò accadrà, i tassi di interesse reali del dollaro dovrebbero indebolirsi, creando un ambiente favorevole per il metallo in termini di dollari USA, pari alla forza che abbiamo già visto nell'oro espresso in altre valute”.

Recessione in vista: oltre all’oro fisico, i titoli auriferi
Oltre alle performance tipicamente interessanti durante le recessioni, il gestore di Schroders sottolinea altri due motivi per avere una visione positiva dell’oro e dei titoli auriferi. “In primo luogo, ci sono previsioni di miglioramento, nel 2023, per il contesto operativo generale per tali titoli. Di certo, è improbabile che possa rivelarsi difficile come nel 2022. L’anno scorso, i margini di profitto dei produttori d’oro sono stati compressi dall'aumento dei costi (petrolio, acciaio, manodopera) e dal calo dei prezzi dell’oro. Questo ha portato le azioni dei produttori d’oro a sottoperformare il lingotto (almeno in termini di dollari)”. 

“Quest’anno – continua Luke – con il rafforzamento dei prezzi dell’oro, i margini potrebbero tornare a crescere. Sul fronte dei costi, alcune aree stanno già registrando un vero e proprio calo. Nei settori più resistenti al cambiamento, come la manodopera, ci aspettiamo un rallentamento dell’aumento dei costi dopo i forti aumenti registrati in seguito alla pandemia, in particolare in nord America e Australia. In secondo luogo, i titoli azionari dei produttori d’oro restano a buon mercato in un’ottica di lungo periodo e gli investitori sono ancora estremamente sotto-posizionati”.

In linea generale, benché i rendimenti dell’oro fisico e dei titoli azionari di società che lo estraggono e lo commerciano siano correlati nel lungo termine, possono non esserlo nel breve. Semplificando, più il prezzo dell’oro sale, più diventa conveniente scavare per trovare fonti d’oro. Le azioni minerarie possono salire significativamente quando l’oro sale, ma non è sempre così. Tradizionalmente, quindi, i titoli del settore mining sono più volatili e amplificano i movimenti del metallo giallo, come si evince anche dal grafico precedente.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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