Pensioni, perché Macron non è la Fornero

La riforma del sistema pensionistico francese sta scatenando violente proteste. Secondo Itinerari Previdenziali, però, l’innalzamento dell’età pensionabile non sembra essere il centro del problema. Il nodo reale riguarda i privilegi di alcune categorie. 

Valerio Baselli 11/04/2023 | 09:42
Facebook Twitter LinkedIn

Francia

“I francesi non si fanno mettere i piedi in testa come gli italiani, avremmo dovuto scendere in piazza anche noi e invece accettiamo tutto senza fiatare”. È da qualche settimana che in diverse occasioni mi capita di sentire commenti di questo tipo. Il parallelo è tra la riforma del sistema pensionistico che il presidente Emmanuel Macron sta portando avanti in Francia e la famosa “riforma Fornero” introdotta in Italia nel 2011 sotto il governo guidato da Mario Monti. Ma ha davvero senso questa analogia?

Andiamo con ordine e partiamo da quello che sta succedendo oggi Oltralpe. Il progetto di riforma del sistema previdenziale pubblico è un vecchio pallino di Macron che a suo tempo fu messo in pausa dalla crisi del Coronavirus. Forte della rielezione, il Presidente della Repubblica francese ha deciso di riproporlo all’inizio del suo secondo mandato.

Cosa prevede la riforma francese
La novità principale è l’innalzamento dell’età di pensionamento da 62 a 64 anni nel 2030. L’incremento del requisito anagrafico sarà graduale e pari a 3 mesi ogni anno a partire dall’1 settembre 2023. Inoltre, il periodo di contribuzione per avere una pensione completa sarà aumentato dagli attuali 42 a 43 anni nel 2027 al ritmo di un trimestre all’anno; i lavoratori che non hanno accumulato 43 anni di contributi dovranno lavorare fino a 67 anni per poter ricevere una pensione senza riduzione (regola già attualmente valida). Si prevede inoltre l’innalzamento dell’importo minimo della pensione a 1.200 euro.

Ma soprattutto dovrebbero finire i cosiddetti regimi speciali, una serie di trattamenti pensionistici di favore dedicati ai dipendenti di alcuni grandi gruppi. Nell’elenco dei regimi speciali troviamo quello della Banca di Francia, della RATP e della SNCF (trasporto pubblico), dell’Opera Nazionale di Parigi, della Comédie Française o delle Miniere.  

I dipendenti interessati beneficiano di norme specifiche principalmente per quanto riguarda l’età pensionabile – con partenze anticipate tra 52 e 62 anni per compiti considerati difficili – e il metodo di calcolo della pensione. Al di là dell’aspetto che riguarda i lavori usuranti (che giustamente prevedono una pensione anticipata), il problema principale di questi regimi resta la disproporzione tra contribuenti e pensionati: alla SNCF, nel 2018, c’erano 140.740 contribuenti e 255.117 pensionati (di diritto diretto o che percepivano pensioni di reversibilità). Alla RATP, sempre nel 2018, c’erano 42.044 contribuenti per 50.429 pensionati. Con questi numeri, non è difficile comprendere le conseguenze finanziarie di tali regimi.

La riforma voluta dal governo ha scatenato nelle ultime settimane un’ondata di proteste che ha interessato tutto il Paese e che in alcuni casi – in particolar modo a Parigi – ha innescato vere e proprie scene di guerriglia urbana. La settimana scorsa, l'atteso incontro fra la premier francese, Elisabeth Borne, e i principali sindacati di Francia è stato definito “un fallimento” dallo stesso leader della Cfdt (Confédération française démocratique du travail), Laurent Berger, uscendo dalla riunione durata appena 55 minuti. Questo ha di fatto scatenato ulteriori proteste e manifestazioni.

A livello istituzionale, invece, respinte le mozioni di sfiducia al governo avanzate dall’opposizione, occorrerà ora attendere che si pronunci il consiglio costituzionale. La decisione arriverà il 14 aprile. Stando alle ultime dichiarazioni dell’esecutivo, la riforma delle pensioni dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno. 

La Francia non è l’Italia
E ora veniamo a noi. Sono passati dodici anni da quando l’allora Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Fornero, annunciò in lacrime l’omonima riforma. 

“Il fatto che Macron abbia sostenuto che la riforma ‘è più che mai necessaria per riportare il sistema previdenziale in equilibrio’ riporta alla mente le motivazioni finanziarie alla base della riforma Monti-Fornero, seppur con sostanziali differenze”, afferma Michaela Camilleri del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, in una sua recente pubblicazione.

In un contesto di finanza pubblica estremamente delicato e sotto pressione per via delle raccomandazioni che arrivavano dall’Europa, la professoressa Fornero mise mano al sistema pensionistico, innalzando i requisiti per l’accesso alla pensione e legandoli (entrambi, sia l’età anagrafica sia l’anzianità contributiva) all’aspettativa di vita. “Ma la riforma francese non sembra essere così dura come la riforma Fornero: si passa da 62 a 64 anni a step di tre mesi fino a 2030. Non proprio un incremento paragonabile a quello introdotto in Italia nel 2012 (con uno scalone in alcuni casi fino a 6 anni), cui si è dovuto porre rimedio con ben nove operazioni di salvaguardia che hanno riguardato oltre 143mila soggetti”, spiega Camilleri.

Il Centro Studi sottolinea anche come la riforma Fornero abbia prodotto un eccessivo incremento delle età di pensionamento e un sistema troppo rigido, che ha scatenato da subito forti tensioni costringendo i vari governi a risposte diverse, ma sempre “in deroga” ai limiti fissati dalla stessa riforma, sacrificando per di più molte di quelle risorse che, viceversa, il disegno Monti-Fornero prevedeva di risparmiare. Insomma, oltre il danno, la beffa.

Privilegi al centro delle proteste, ma la riforma s’ha da fare
“Il vero motivo delle violente proteste di questi giorni è forse da ricercare nella volontà di mettere fine ad alcune situazioni di privilegio, quelle appunto dettate dai regimi speciali”, afferma ancora Michaela Camilleri. “E in questo caso il nostro Paese è intervenuto ben prima, già negli anni Novanta con i decreti di armonizzazione dei fondi speciali, ponendosi come modello di equità tra le diverse categorie di lavoratori”. 

Peraltro, ricorda Brambilla nella sua analisi, si tenga conto che, se la riforma Fornero ha esteso il più equo metodo di calcolo contributivo a tutti (l’importo dell’assegno dipende da quanto effettivamente versato in termini di contributi durante l’intera vita lavorativa), in Francia l’importo della pensione viene ancora calcolato sul reddito medio annuo dei 25 anni migliori della carriera e non si discute di possibili cambiamenti su questo fronte.

La Francia, inoltre, è alle prese con un debito pubblico in costante crescita e una forte incidenza della spesa pensionistica sul PIL (pari al 15,9% nel 2020). Stando agli ultimi dati Eurostat disponibili, il Paese transalpino si posiziona al vertice della classifica per spesa per protezione sociale in rapporto al PIL (35,2% contro una media EU 27 del 30,4% - l’Italia è al secondo posto con quasi il 34%) e all’ottavo posto in rapporto alla spesa pubblica (57,32%).

Insomma, secondo il Centro Studi Itinerari Previdenziali “la riforma francese sembra non essere più rinviabile non solo per ragioni sociali di equità, ma anche economico-finanziarie”.  

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

Iscriviti alle Newsletter Morningstar

Clicca qui

LEGGI ALTRI ARTICOLI SU
Facebook Twitter LinkedIn

Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

© Copyright 2024 Morningstar, Inc. Tutti i diritti sono riservati.

Termini&Condizioni        Privacy        Cookie Settings        Disclosures