La biodiversità viene definita come la varietà di tutte le forme di vita presenti sulla Terra, siano esse animali o vegetali. Essa comprende il numero di specie, le loro variazioni genetiche e l’interazione di queste forme viventi all’interno di ecosistemi complessi.
Gli ecosistemi in salute ci forniscono cose essenziali che noi diamo per scontate: ad esempio, le piante convertono energia dal sole rendendola disponibile ad altre forme di vita, oppure i batteri e altri organismi viventi scompongono la materia organica in nutrienti che forniscono alle piante un terreno sano in cui crescere. E così via.
Secondo il World Economic Forum la metà del PIL mondiale (ovvero circa 44mila miliardi di dollari) dipende dalla natura e dalla presenza di ecosistemi sani. Per questo è necessario un cambiamento radicale. Ad oggi, il 75% degli ecosistemi naturali è stato danneggiato dalle attività umane e l’aumento della popolazione mondiale non potrà che peggiorare questa situazione.
Preservare la biodiversità marina e terrestre è quindi essenziale per la vita del pianeta e di tutti gli esseri viventi. Eppure, ormai da anni gli allarmi legati alla perdita di biodiversità si sprecano. In una relazione ONU pubblicata nel 2019, gli scienziati hanno paventato la possibile estinzione per un milione di specie (su un totale stimato di otto milioni), molte delle quali rischiano di scomparire nel giro di pochi decenni.
Alcuni ricercatori ritengono addirittura che stiamo attraversando la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta Terra.
Un nuovo tema d’investimento
In un contesto del genere, e con la crescente sensibilità degli investitori verso le tematiche ESG, è nato un nuovo tema di investimento vero e proprio.
“Dalla realtà non si scappa. Gli investitori che hanno investito pesantemente in aziende altamente esposte ai rischi legati alla biodiversità, a un certo punto vedranno la loro esposizione al rischio concretizzarsi in una sofferenza finanziaria”, afferma Thijs Huurdeman, ESG Research Manager di Morningstar Sustainalytics. “Pensiamo ad esempio al settore alimentare, qui il rischio è doppio: le autorità di regolamentazione e la domanda dei consumatori limiteranno le aziende per quanto riguarda le attività che danneggiano la biodiversità, come l’uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi o la deforestazione per il cambio di destinazione d'uso dei terreni – prosegue Huurdeman – ma una perdita di biodiversità causerà di per sé una perdita di produttività, poiché il nostro sistema alimentare globale dipende da terreni sani, impollinazione e altri ‘servizi’ degli ecosistemi”.
Appuntamenti come la COP15 – il vertice ONU sulla biodiversità che si è tenuto a Montreal lo scorso dicembre – sono fondamentali, ma non risolutivi. “Anche il settore finanziario deve svolgere un ruolo più attivo”, scrive Laurent Ramsey, Managing Partner del Gruppo Pictet in una nota. “Trovandosi a gestire grandi capitali su scala globale, il settore finanziario è in una posizione di rilievo per contribuire a costruire un'economia che lavori con (piuttosto che contro) la natura. La finanza può facilitare una transizione positiva per la natura, trasformando il modo in cui alloca il capitale alle imprese e sviluppando nuovi modelli per valutare in maniera più accurata i rischi e le opportunità legati alla biodiversità”.
Ad esempio, il programma Finance to Revive Biodiversity (FinBio), di cui Pictet è partner sotto la supervisione dello Stockholm Resilience Centre dell'Università di Stoccolma, punta a sviluppare ricerche di valore a supporto del settore finanziario, volte a trasformare le pratiche attuali (che premiano la crescita, spesso a scapito della biodiversità) in nuovi modelli, in grado di analizzare e attribuire un valore economico alle caratteristiche di un'azienda, in relazione con la natura.
Le opportunità d’investimento nella biodiversità si basano sostanzialmente su tre fattori: domanda, regolamentazione e innovazione. Queste attività possono essere le più disparate, ma sono generalmente accomunate da innovazione e tecnologia. Tra questi risolutori si annoverano società che praticano un’agricoltura rispettosa del pianeta, quelle che costruiscono spazi urbani ecosostenibili e quelle che creano un’economia più circolare.
“Per trovare le migliori opportunità, dobbiamo esaminare prima di tutto le vere cause del declino della biodiversità”, si legge in un White Paper pubblicato da UBP (Union Bancaire Privée). “I cambiamenti climatici e l’inquinamento, che destabilizzano gli ecosistemi, sono fattori determinanti, così come la deforestazione e altri cambiamenti dell’uso del suolo (soprattutto per l’agricoltura) che contribuiscono alla perdita di habitat, al sovrasfruttamento delle risorse naturali, la cui forma più evidente è la pesca intensiva”.
Il nodo dei dati
La sfida più complessa in questo tipo di campo è trovare dei dati affidabili e degli standard condivisi. “Per tutte le strategie di impact investing, ottenere dati non finanziari standardizzati, sottoposti ad audit costituisce una sfida”, prosegue l’analisi di UBP. “Questa assenza di dati è aggravata dal fatto che non esiste un metodo concordato di misurazione del guadagno netto della biodiversità per determinare i progressi compiuti”.
Per poter essere efficace, occorre utilizzare un approccio preciso, sistematico e replicabile in diversi settori e zone geografiche, sia da imprese sia da investitori. Nel caso del cambiamento climatico, il volume delle emissioni di carbonio è stato identificato come il fattore principale da considerare per misurare l’impatto. Nel caso della perdita di biodiversità, invece, la situazione è molto più complessa, in quanto dipende da una moltitudine di singoli fattori.
Se è abbastanza facile per un gestore o un analista sapere quanti alberi sono stati abbattuti in una certa area in un determinato periodo temporale, collegare gli impatti della perdita di biodiversità alle aziende che li hanno abbattuti in moda da identificare i migliori investimenti è molto più complesso. In un’economia globale è poi molto difficile sapere esattamente quello che succede lungo tutta la catena di approvvigionamento in modo da isolare i punti in cui si verifichino violazioni della biodiversità.
Fonte: PBAF (2022a)
“Vagliare i fornitori di dati per ottenere la migliore analisi possibile è stato il nostro obiettivo con le partnership accademiche negli ultimi due anni”, spiega Lucian Peppelenbos, Climate & Biodiversity Strategist di Robeco, in una ricerca pubblicata nel novembre del 2022. “Abbiamo iniziato a costruire un quadro di investimento da poter applicare a tutti i nostri portafogli e collegare realmente gli emittenti all'impatto sulla biodiversità, identificando le società che fanno meglio delle altre. Ma non è una scienza perfetta”.
Insomma, gli investimenti pro-biodiversità nell’universo dei titoli quotati si trovano ancora in uno stadio iniziale, gli ostacoli non mancano, così come le opportunità.
In questo senso, un primo importante passo in avanti è stato compiuto proprio alla COP15 nel dicembre 2022, con l’adozione del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF), il quale prevede una serie di misure, controlli e finanziamenti per stoppare e invertire la perdita di biodiversità.
I fondi e gli ETF disponibili in Italia
Gli asset manager, che giocano un ruolo centrale tramite le loro decisioni di allocazione dei capitali, si sono accorti che il raggiungimento degli obiettivi Net Zero non può prescindere dalla protezione della biodiversità e che il loro compito è quello di accompagnare le aziende verso la transizione.
Negli ultimi tempi, si è quindi moltiplicato il numero di fondi comuni ed Exchange traded fund che puntano ad offrire soluzioni di investimento orientate alla salvaguardia della biodiversità. Attualmente, Morningstar ne conta 14 tra quelli domiciliati in Europa.
Con l’eccezione del fondo pioniere PAM Europe Biodiversité C, lanciato nel 2008 dalla francese Pléiade Asset Management (e distribuito solo in Francia), gli altri 13 sono stati tutti lanciati dopo il 2020 e in particolare nel 2022. In linea generale, gli asset manager francesi sembrano essere i più attivi in questo campo. Tra le società che hanno lanciato almeno un fondo sulla biodiversità, oltre a Pléiade, troviamo infatti AXA, Tocqueville, Financière de l’Echiquier, BNP Paribas, Ossiam/Natixis e Federal Finance Gestion.
Sono invece nove le strategie azionarie che in vari modi puntano a preservare la biodiversità disponibili sul mercato italiano. Attenzione però, si tratta di un gruppo decisamente eterogeneo di strategie d’investimento. I portafogli possono infatti variare per stile ed esposizione settoriale, tipologia di obiettivi perseguiti e quindi anche il rapporto rischio-rendimento può essere molto diverso.
“In linea generale, gli investitori dovrebbero concentrarsi su quelle aziende che hanno politiche e programmi solidi in materia di biodiversità e deforestazione e sistemi di gestione efficaci per attuare tali politiche e programmi. Un’adeguata due diligence della catena di approvvigionamento è fondamentale”, spiega Thijs Huurdeman di Morningstar Sustainalytics. “In termini di business, le aziende che presentano il minor rischio ESG si occupano di energie rinnovabili, efficienza energetica, risparmio idrico, produzione di alimenti biologici o a base vegetale e innovazioni alimentari che richiedono un minore utilizzo di terra, pesticidi e fertilizzanti”.
A livello di masse gestite, il più importante è proprio l’AXA IM ACT Biodiversity Equity UCITS ETF (ABIE), classificato sotto l’articolo 8 della SFDR. Si tratta di un ETF a gestione attiva, il che significa che non c’è un benchmark specifico, ma è il gestore Charles Lewandowski a selezionare un portafoglio di azioni di società attive nel perseguimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite (SDG), in particolare quelli relativi all’acqua pulita e ai servizi igienico sanitari (obiettivo 6), al consumo e alla produzione responsabili (obiettivo 12), alla vita sott’acqua (obiettivo 14) e alla vita sulla Terra (obiettivo 15).
Tra i titoli più importanti del portafoglio (85 in totale) troviamo ad esempio l’americana Ecolab (ECL), attiva nell’offrire servizi, tecnologie e sistemi specializzati nel trattamento, purificazione, pulizia e igiene dell'acqua in un'ampia varietà di applicazioni, o ancora Agilent Technologies (A), un’azienda leader nel settore delle scienze della vita e della diagnostica.
Un altro ETF a gestione attiva, l’Ossiam Food for Biodiversity UCITS ETF Class 1A (F4DE), si focalizza invece sul settore agroalimentare. I titoli vengono ponderati utilizzando un processo di ottimizzazione che riduce al minimo l'impatto sulla biodiversità del portafoglio (in base ai dati sull'impatto sulla biodiversità dell'anno precedente), riducendo al contempo le emissioni totali di gas serra del 30% e limitando il peso di ogni singolo titolo al 7%.
La società di analisi specializzata, Iceberg Data Lab, fornisce le valutazioni della biodiversità delle aziende, note come Corporate Biodiversity Footprints. Le imprese possono incrementare il loro punteggio di biodiversità migliorando le loro pratiche in uno dei quattro fattori misurati: le emissioni di carbonio, l'uso di terreni che sottraggono spazio prezioso agli habitat naturali, l'acidificazione del suolo causata dagli ossidi di azoto presenti nei fertilizzanti e l'inquinamento delle acque dolci.
Il portafoglio si compone di una cinquantina di titoli, tra i principali troviamo giganti nel campo dell’alimentazione e della ristorazione come Costco Wholesale (COST), Starbucks (SBUX), Nestlé (NESN) e Unilever (ULVR).
Rimanendo sempre nel campo degli ETF, il BNP Paribas Easy ESG Eurozone Biodiversity Leaders PAB UCITS ETF (BIODV), che punta ad allineare il tema d’investimento sulla biodiversità con gli obiettivi di riduzione delle emissioni degli Accordi di Parigi del 2015. Il fondo replica l'indice Euronext ESG Eurozone Biodiversity Leaders PAB, costruito a partire dall'universo dell'indice parentale Euronext Eurozone 300, un'ampia rappresentazione delle 300 maggiori società quotate nei paesi del mercato sviluppato appartenenti al blocco della moneta unica. Anche in questo caso vengono usati le analisi di Iceberg Data Lab.
Tra i fondi gestiti attivamente e non quotati, invece, da segnalare ad esempio lo UBAM Biodiversity Restoration Fund di Union Bancaire Privée, il quale vuole identificare e investire in quelle aziende che, grazie ai loro prodotti e alla supply chain, proteggono e ricostituiscono le specie e gli habitat naturali del pianeta. Il fondo, quindi, investe in sette temi verticali, tra cui la gestione sostenibile delle risorse naturali, le città verdi e la produzione alimentare sostenibile.
Un altro esempio è l’Echiquier Climate & Biodiversity Impact Europe, comparto lanciato nel 2020 che punta su un portafoglio di forti convinzioni (33 titoli coi primi dieci che pesano per il 48% degli asset totali) che si orienta verso società growth a grande capitalizzazione e che sovrappesa i settori finanziario e dei materiali di base rispetto alla categoria di appartenenza (Azionari Settore Ecologia). Iberdrola (IBE), Air Liquide (AI) e Novo Nordisk (NOVO B) le principali partecipazioni.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.