Il vento della sostenibilità soffia forte da diversi anni ormai e gli investitori istituzionali non ne sono immuni, anzi: più della metà (il 52%) di enti previdenziali, Fondazioni di origine bancaria e comparto assicurativo adotta politiche di investimento sostenibile.
È quello che emerge dalla quinta edizione dell'indagine curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – realizzata con il patrocinio di ASviS, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, e di FeBAF, Federazione Banche Assicurazioni e Finanza – il cui intento è analizzare il processo di diffusione delle strategie di sostenibilità e integrazione dei criteri ESG nei portafogli finanziari dei player istituzionali in Italia, attraverso un questionario di 58 domande.
Il rispetto dei diritti ambientali, sociali e di governance condiziona e orienta sempre più gli investimenti finanziari che tendono a premiare le aziende che applicano modelli di business rispettosi dei criteri ESG. “Principi che ben si coniugano con la missione degli operatori del welfare, il cui compito principale è il benessere della propria popolazione di riferimento e, più in generale, di una società soggetta a continui cambiamenti socio-economici e demografici che rendono lo stesso concetto di welfare dinamico”, afferma Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, in una nota a margine dell’analisi. “Del resto, la pandemia ha dimostrato l’assoluta necessità di uno sviluppo sostenibile con particolare attenzione al sociale e al territorio in cui viviamo”.
Sono stati 123 gli enti rispondenti nel 2023, contro i 106 dello scorso anno, per un totale patrimoniale - al netto delle compagnie di assicurazione - di oltre 246 miliardi di euro (219 nel 2022), pari a circa l’86,5% dei patrimoni finanziari totali degli investitori, previdenziali e fondazionali, italiani.
Lo studio conferma una generalizzata crescita degli investimenti sostenibili. “A fronte dell’allargamento del campione, si abbassa la percentuale aggregata ma – puntualizza Gianmaria Fragassi, coordinatore del progetto per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – si alza il numero di enti virtuosi, 64 sui 123 intervistati. Un ottimo segnale, tanto più che ben 47 dei 59 enti (l’80%) che ancora non applicano una politica di investimento sostenibile ha già affrontato il tema in CdA, con buone prospettive di implementarla nel prossimo futuro”.
Pandemia e conflitti una spinta ulteriore
In linea con le precedenti edizioni anche le ragioni che spingono verso la finanza ESG, a cominciare dalla volontà di contribuire allo sviluppo sostenibile (86%). Se quella etica resta la motivazione preponderante, non vanno comunque trascurate anche ragioni che rispondono a necessità diverse, tra cui quelle squisitamente finanziarie: seguono con il 69% una più efficace gestione del rischio in portafoglio, con il 44% il miglioramento della reputazione dell’ente e con il 22% quelle di performance e rendimenti. Nella percezione di molti istituzionali, sostengono peraltro lo slancio verso la sostenibilità altri fattori tra cui la pandemia da Covid-19 che, per il 76% dei rispondenti ha favorito un maggior ricorso agli investimenti ESG, e il conflitto russo-ucraino, altro fattore esogeno che per il 56% dei rispondenti avrebbe rinforzato la corsa verso la sostenibilità.
Oltre a fotografare il presente, l’indagine offre qualche spunto sulla possibile traiettoria degli anni a venire. Traiettoria – spiega il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – che dovrebbe moderatamente tendere verso l’alto: il 51% dei rispondenti afferma di voler incrementare l’investimento in strumenti sostenibili. Il valore è più basso di quello registrato lo scorso anno (68%) ma trova spiegazione nell’attuale congiuntura economico-finanziaria e, di riflesso, nella scelta di molti istituzionali di voler ponderare le proprie scelte con un atteggiamento quanto più possibile vigile e prudente. A ogni modo, ad attirare l’attenzione in chiave futura sono soprattutto esclusioni (51%) e investimenti tematici, che raccolgono il 49% delle preferenze, seguiti dagli approcci best in class (47%) e impact investing (42%). Per quanto riguarda invece i settori di maggior interesse meritano di essere segnalate le energie rinnovabili (56%), le infrastrutture sanitarie (36%) e l’healthcare (29%); più staccati tecnologia e Silver Economy, ambito comunque destinato a una forte crescita in considerazione della portata del fenomeno di invecchiamento della popolazione.
Il ruolo della normativa
A incidere sulle prospettive future della finanza SRI è però oggi più che mai la normativa di settore, cui la survey di Itinerari Previdenziali dedica una serie di domande specifiche, con particolare riferimento al regolamento SFDR (e successive implementazioni). “In verità, almeno per il momento, buona parte dei rispondenti (il 63%) ne valuta come limitati gli effetti, pur riconoscendo che, in prospettiva, potrebbe accentuare la propensione verso l’acquisto diretto di fondi ESG”, commenta Fragassi, ricordando come molti enti siano ancora in una fase di studio e analisi del quadro legislativo, disponendo solo di un track record limitato a fronte di novità piuttosto recenti. A ogni modo, al momento, il 24% degli investitori istituzionali ha in portafoglio fondi che non rispondono né all’Articolo 8 né all’Articolo 9 (erano però il 39% nel 2022), mentre solo il 4% detiene fondi sia Art.8 che Art.9 di diritto italiano (era l’1% lo scorso anno), a indicare così un trend positivo in chiave prospettica.
Non solo, proprio in virtù della rapida evoluzione normativa, ammonta al 14% (era il 7% lo scorso anno) la percentuale di enti che giudica come insufficiente la propria conoscenza della regolamentazione sulla sostenibilità; solo il 33% dei rispondenti la valuta come buona o ottima. Ragione per la quale ben 9 enti su 10 palesano la volontà di avviare percorsi di formazione interna.
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