Come ampiamente previsto dai sondaggi, il presidente turco uscente Recep Tayyip Erdogan ha vinto il ballottaggio delle elezioni presidenziali tenutosi lo scorso 28 maggio, ottenendo un terzo mandato per i prossimi cinque anni.
Per la prima volta da quando Erdogan è al potere, però, l’opposizione – incarnata dalla figura di Kemal Kılıçdaroğlu, laico e moderato – ha avuto serie possibilità di vincere (è stato rieletto con il 53,4% dei consensi). Insomma, l’egemonia del “sultano” non è mai stata così debole. Erdogan, infatti, dovrà gestire problemi che negli ultimi anni si sono aggravati, come il difficile rapporto con l’Occidente, la questione dei quattro milioni di rifugiati siriani che ospita la Turchia e soprattutto una situazione economica molto fragile: l’inflazione è sopra il 43% e alla fine del 2022 aveva superato l'80%, raggiungendo i livelli più alti dei precedenti vent’anni, mentre la lira turca ha toccato nei giorni scorsi un ennesimo record negativo rispetto al dollaro.
“La Turchia ha storicamente avuto delle vulnerabilità, ma negli ultimi tre anni il Paese ha sempre più preso tempo, finanziato dai depositi di altre banche centrali, in particolare degli Stati del Golfo, e dai depositi della Russia dopo l'invasione dell'Ucraina”, spiega in una nota Richard Briggs, senior fund manager obbligazioni mercati emergenti di Candriam. “Se la Turchia continua a registrare ampi disavanzi delle partite correnti, una volta che questi flussi si interromperanno o si invertiranno, la pressione sulla valuta e sull'economia potrebbe essere forte in assenza di un quadro politico credibile”.
Per Thomas Gillet, responsabile del Sovereign Ratings Team di Scope, invece, “la rielezione di Erdogan limita le prospettive di affrontare il difficile contesto economico e le politiche non ortodosse”. Inoltre, “i controlli sui capitali e le misure restrittive, come i limiti ai prelievi di contante, lo schema di protezione dei depositi e le azioni coercitive sull'allocazione del portafoglio delle banche, rimarranno probabilmente al centro delle politiche economiche della Turchia”.
Insomma, l’economia turca resta e resterà fortemente dipendente dal sostegno estero, per lo più incondizionato, sotto forma di prestiti diretti, accordi commerciali sull'energia e di ammortizzatori esterni, per allentare parzialmente le pressioni acute sulla bilancia dei pagamenti.
Senza dimenticare che, come ci ha insegnato il caso della Russia e come ha spiegato più approfonditamente il collega Tom Lauricella in questo articolo, occorre porsi delle domande sui rischi e sulla sostenibilità di un investimento in Paesi autocratici.
Le montagne russe della Borsa turca
In questi anni, infatti, le scelte economico-finanziarie di Erdogan hanno portato la Turchia sull’orlo di una profonda crisi. La banca centrale, di fatto alle dipendenze del Presidente turco, ha deciso di non aumentare i tassi d’interesse (addirittura tagliandoli) di fronte all’impennata vertiginosa dell’inflazione al fine di spingere a ogni costo la crescita economica e le esportazioni, facendo però crollare il potere di acquisto della popolazione, impoverendola.
È stato proprio questo meccanismo che ha fatto esplodere il valore delle azioni turche nel corso del 2022, con gli ETF replicanti l’MSCI Turkey che hanno registrato rendimenti a tre cifre l’anno passato, piazzandosi ai primi posti dei tracker più performanti dell’anno. In un contesto di tassi reali negativi, gli investitori domestici hanno infatti cercato rifugio dall’esplosione dei prezzi nei titoli azionari a buon mercato, facendo lievitare le quotazioni, soprattutto in valuta locale. Se analizziamo meglio i rendimenti dei titoli all’interno del paniere dell’indice Morningstar Turkey nel 2022, ci accorgiamo che a spingere la Borsa di Istanbul sono stati i settori maggiormente sensibili al ciclo economico, come quello manifatturiero, dei beni di consumo, delle materie prime e dei servizi finanziari.
Il vento, però, è cambiato, con gli ETF Azionari Turchia che nel 2023 mostrano perdite che vanno dal -13 al -18% circa (in euro, al 30 maggio), come si evince dalla tabella sottostante. Questo è in parte dovuto a prese di profitto fisiologiche dopo il rally dell’anno passato e all’incertezza attorno all’esito delle elezioni politiche.
Gli ETF dedicati
Gli investitori italiani possono scegliere tra tre Exchange traded fund esposti al mercato azionario turco, nessuno dei quali ottiene un Morningstar Medalist Rating positivo. Vediamo il perché.
L’indice MSCI Turkey (replicato da tutti e tre gli ETF) sovrappesa i materiali di base e l’energia rispetto alla media della categoria, rispettivamente di 6,3 e 3,3 punti percentuali. I settori con una bassa esposizione rispetto ai pari categoria, invece, sono quelli dei beni di consumo difensivi e dei beni di consumo ciclici. L’indice è composto da 17 partecipazioni, il che lo rende molto concentrato, nonostante rientri in una categoria in cui il 60,2% del patrimonio risiede tipicamente nelle prime 10 partecipazioni (73% per l’MSCI Turkey).
A livello di rendimenti, inoltre, negli ultimi 10 anni questi ETF hanno sottoperformato i concorrenti attivi del 3% annuo (addirittura dell’11% annuo nel triennio), nonostante il sensibile vantaggio commissionale.
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