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Posizioni in perdita, rischio di più a vendere o ad aspettare?

In generale, la decisione di liquidare un investimento in rosso dovrebbe basarsi sui propri obiettivi e sulla propria situazione finanziaria. A volte ci vuole solo pazienza, in altre occasioni è meglio limitare i danni. Ecco alcuni consigli su come affrontare tale scelta.

Valerio Baselli 21/06/2023 | 09:09
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Rischio

A nessuno piace rimetterci denaro. Quando guardiamo il nostro portafoglio finanziario, mentre i segni “più” ci mettono tranquillità, quelli “meno” ci provocano uno stress difficile da gestire. A volte tentiamo di non pensarci, ma spesso è impossibile resistere: troppo forte la voglia di controllare se quella posizione colorata di rosso si stia riprendendo o al contrario stia affondando. Lo certifica anche la finanza comportamentale con la teoria della loss aversion, la paura di perdere.

Ecco perché, ogni qual volta ci troviamo davanti a un investimento che non sta dando i frutti sperati, ma anzi, ci sta regalando dispiaceri, la domanda che ci si pone è sempre la stessa: liquidarlo per arginare le perdite o aspettare sperando in tempi migliori?

In linea generale, in Morningstar incoraggiamo gli investitori ad adottare un approccio di lungo termine. Le scarse prestazioni di un anno non sono sempre un segnale che è il momento di vendere. La storia, anche recente, ci dimostra che in media chi ha avuto il sangue freddo di restare investito è stato ampiamente ricompensato. In effetti, molti dei cali di mercato dell’ultimo ventennio, inclusa la grande crisi finanziaria del 2008 e il crollo del marzo 2020, sono poi stati ampiamenti superati dai mercati. Gli investitori che hanno sopportato questi tempi difficili sono quelli che ne sono usciti forse nella forma migliore.

La verità è che prendere decisioni in campo finanziario non è mai facile: cosa comprare, quando vendere, quanto resistere. Anche per un investitore esperto, spesso non è così scontato capire se si è fatta la mossa giusta. Certo, se un determinato investimento dovesse vivere un lungo periodo di prestazioni inferiori alla media, la pazienza potrebbe esaurirsi.

In questo senso, di seguito esaminiamo alcune situazioni che potrebbero essere un campanello d’allarme.

Qualcosa di fondamentale è cambiato nell’investimento

Ci possono essere svariate ragioni per cui un investitore decida di acquistare un titolo o un fondo. Col passare del tempo, queste ragioni possono venir meno. In questo caso, occorre riesaminare la situazione.

A volte le aziende sono così associate a determinati individui (Elon Musk per Tesla, Steve Jobs per Apple) e qualsiasi cambiamento al vertice può suscitare paura negli investitori. Quando Steve Jobs si dimise da Apple nel 2011 a causa di problemi di salute, ad esempio, alcuni analisti pensavano che la società avrebbe faticato a replicare i precedenti successi (ovviamente sbagliandosi).

Questo vale anche per chi investe in fondi. Se abbiamo seguito per anni un manager famoso e questo ha lasciato la gestione, possiamo decidere di seguirlo nella sua nuova avventura, nel caso passi ad un competitor. Naturalmente ci sono aziende e società di gestione che hanno piani di successione al vertice migliori di altre, quindi questo approccio “segui il leader” potrebbe essere meno efficace nel lungo termine anche perché alcuni gestori famosi hanno avuto difficoltà lontani dalle grandi istituzioni. In questo articolo, l’analista di Morningstar Mathieu Caquineau si chiede (e risponde) se abbia senso seguire il gestore quando cambia società.

Qualcosa di fondamentale è cambiato nella nostra strategia

Questo è un punto più generale che potrebbe riguardare anche le posizioni in attivo per eventuali prese di profitto e una possibile riallocazione generale. Gli obiettivi degli investitori, infatti, cambiano nel tempo in base a dove si trovano nel loro ciclo di vita, alla loro attitudine al rischio e alle circostanze finanziarie.

Periodicamente è sempre utile fare un passo indietro ed esaminare la propria situazione finanziaria. Se gli obiettivi di investimento o l’orizzonte temporale è cambiato, può avere senso liquidare posizioni in rosso, anche se questo vuol dire incassare una perdita.

Una lunga sottoperformance

Come anticipato, non ha senso giudicare un fondo su di un orizzonte temporale troppo breve, come un anno o addirittura meno. Il fallimento di una strategia nel battere il proprio indice su un intervallo di tre anni potrebbe invece essere un segnale che è ora di vendere. Se il comparto è costantemente in fondo al ranking della categoria significa che i concorrenti stanno facendo meglio. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che lo stile di investimento stia vivendo un periodo difficile o che ci sia qualcosa di sbagliato nel processo di selezione.

La scarsa performance del fondo spesso spinge gli investitori a uscire. Morningstar monitora mensilmente i flussi in entrata e in uscita e in effetti i deflussi si sono rivelati un indicatore affidabile della perdita di fiducia da parte degli investitori. Anche le commissioni sono un fattore importante quando si parla di performance: in generale non ci si fa molto caso quando il fondo rende bene, ma quando le performance sono inferiori alla media allora le commissioni iniziano a sembrare un peso importante.

Come vendere

Se alla fine si è presa la decisione di liquidare una posizione che si ha in portafoglio, occorre anche decidere come farlo. Ecco alcuni suggerimenti:

- Spacchettare la posizione e venderla per tranche separate, in una specie di PAC al contrario. Questa scelta è particolarmente logica in condizioni di mercato sfavorevoli.

- Evitare giornate particolarmente volatili. Quando i listini registrano grandi movimenti giornalieri, probabilmente non è il momento migliore per ottenere un prezzo decente per le tue azioni o i tuoi fondi. Il mercato, infatti, potrebbe muoversi così rapidamente che potrebbe risultare in un prezzo di vendita di molto inferiore a quello stimato.

Quando non vendere

D’altra parte, se rimane difficile individuare dei buoni motivi per vendere un fondo d’investimento, anche perché non esistono criteri che valgono per tutti, si possono invece trovare alcune “cattive” ragioni per farlo. Christine Benz, responsabile della sezione finanza personale di Morningstar negli Stati Uniti, ha stilato un paio di situazioni che non dovrebbero costituire una giustificazione per vendere.

Oltre ai rendimenti negativi di breve periodo, che come detto vanno monitorati con pazienza, c’è poi l’aspetto del market noise, cioè il flusso di tutte quelle notizie (di cronaca, economiche, politiche, ecc.) che giornalmente sommerge tutti noi.

Crescita del Prodotto interno lordo della Cina, nuovo taglio dei tassi d’interesse da parte della Bce, indice manifatturiero tedesco in calo. Ecco alcuni esempi di news macroeconomiche che spesso leggiamo a fianco di quelle più specifiche di mercato. È indubbio che questo tipo di notizie abbia un effetto sui mercati, ma è anche vero che molto spesso i mercati hanno digerito e prezzato quella informazione prima che venisse comunicata dai media. Insomma, se si decide di vendere un fondo a causa di una specifica notizia, si è molto probabilmente già in ritardo.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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