Si è spento lo scorso 22 giugno a 95 anni, Harry Markowitz, il padre della Moderna teoria di portafoglio. Premio Nobel per l’Economia nel 1990, era già noto ben prima di ottenere questo riconoscimento.
Prima della ricerca di Markowitz, il rischio negli investimenti veniva determinato titolo per titolo. Un titolo di Stato era considerato prudente, mentre il debito emesso da una società a basso rating non lo era. (Come avrebbero poi dimostrato gli anni '70, la sicurezza di un Treasury a basso rendimento in un contesto inflazionistico era illusoria). La stessa logica si applicava alle azioni. Ci si poteva fidare dei titoli delle blue chip, ma non di quelli delle società emergenti.
Queste convinzioni andavano bene, ma solo fino a un certo punto. Inflazione a parte, è corretto dire che i Treasury USA sono più sicuri delle obbligazioni societarie ad alto rendimento. I primi hanno sempre rispettato i loro obblighi, mentre le obbligazioni spazzatura a volte vanno in default. Lo stesso vale per le blue chip rispetto alle azioni di nuova emissione. Queste ultime non solo sono più volatili, ma hanno anche maggiori probabilità di scomparire, a causa del fallimento dei loro emittenti.
I benefici della diversificazione
Tuttavia, l'approccio era incompleto. I corsi di finanza utilizzano l'analogia di un venditore per spiegare il perché. Immaginate un'isola che a volte è soleggiata e a volte piovosa. Chi commercializza creme solari prospera nei giorni di sole, ma langue quando piove. L'opposto vale per chi pubblicizza ombrelli. Ma i venditori che hanno entrambi gli articoli vendono sempre.
Questi - ci dicono i corsi di finanza - sono i vantaggi della diversificazione. Si tratta, ovviamente, di un'affermazione altamente irrealistica. Nessuna combinazione di investimenti si muove in modo affidabile in direzioni opposte, a meno che non si assumano posizioni lunghe e corte nello stesso titolo, nel qual caso (salvo circostanze insolite) non si può guadagnare. Le due operazioni si annullano a vicenda, lasciando all'investitore meno di niente al netto dei costi di transazione.
Minore volatilità, maggiori ritorni
Tuttavia, l'intuizione è profondamente preziosa, perché incorpora un principio critico dell'investimento: non tutti i rendimenti nascono uguali. Gli investitori inesperti tendono a credere, come ho fatto io una volta, che un rendimento annuo del 20% seguito da nessun guadagno equivalga al 15% che precede il 5%, o a due aumenti consecutivi del 10%. Non è così. I rendimenti annualizzati di questi portafogli sono rispettivamente del 9,54%, 9,89% e 10%.
Gli investitori, quindi, non devono preoccuparsi di individuare attività che si compensino perfettamente tra loro, né di avvicinarsi a tale risultato. Il punto saliente è che ogni piccolo contributo è utile. A meno che un investimento non si muova completamente in sintonia con il resto del portafoglio, esso fornirà un vantaggio in termini di diversificazione. Si rivelerà quindi vantaggioso a meno che i suoi rendimenti non siano insoddisfacenti o la sua volatilità eccessiva.
Da un'intuizione a una formula
Come Markowitz stesso ha riconosciuto, non è stato certo il primo a comprendere la matematica degli investimenti. Prima che lui nascesse, gli investitori esperti avevano capito che la stessa media aritmetica poteva portare a risultati diversi e che una minore volatilità del portafoglio poteva portare a performance migliori. Ma Markowitz contribuì con qualcosa di completamente nuovo: formalizzò l'intuizione. Creò la formula che determinava, fino all'ultimo basis point, la performance di un portafoglio in base ai rendimenti e alle deviazioni standard di ciascuna delle sue attività e alle loro covarianze.
Il calcolo in sé era poco pratico. Sebbene teoricamente interessante, la scienza alla base della Moderna teoria di portafoglio non poteva essere implementata con successo. Anche lievi imprecisioni nelle previsioni di rendimento portavano a raccomandazioni di portafoglio molto diverse.
Implicazioni normative
Non c'è, comunque, da preoccuparsi. Il potere della formula di Markowitz non risiede nel suo calcolo, ma nella sua stessa esistenza. L’economista dimostrò, con equazioni inconfutabili, il fallimento del metodo tradizionale di valutazione del rischio negli investimenti. In generale, un'attività apparentemente rischiosa potrebbe rendere il portafoglio più sicuro, piuttosto che più pericoloso. Dopo Markowitz, questa affermazione è diventata innegabile.
Di conseguenza, le normative negli Stati Uniti sono cambiate. Quando Markowitz pubblicò la sua ricerca, la legge imponeva ai gestori di patrimoni di valutare gli investimenti uno per uno. Non si poteva argomentare a livello normativo l'inclusione di un'attività per diversificare il portafoglio a meno che tale attività non fosse in grado di “stare in piedi da sola”, senza essere giudicata “speculativa”. Markowitz ha fatto superare questa mentalità. Le norme si sono gradualmente adeguate con lo Uniform Prudent Investor Act del 1992, che permetteva esplicitamente di acquistare attività più rischiose se fornivano un beneficio al portafoglio.
Arte come scienza
Non è esagerato affermare che Markowitz ha fatto molto di più che avanzare una teoria sulla costruzione del portafoglio. Ha creato le fondamenta stesse delle pratiche di investimento contemporanee. Non solo è stato il primo a trattare l'arte dell'investimento come una scienza, ma le sue scoperte sono state integrate nelle ricerche successive.
Ad esempio, se si segue l'argomentazione di Markowitz fino ai suoi estremi, si giunge all'idea che i portafogli dovrebbero possedere tutto. Siete interessati alle azioni statunitensi? Comprate tutto. Non sapete come si comporterà un certo titolo, ma potete essere certi che non si comporterà come gli altri, fornendo così un'ulteriore diversificazione. Questa era la conclusione dell'immediato successore di Markowitz e collega premio Nobel, William Sharpe, che sviluppò il Capital asset pricing model (CAPM, modello per la determinazione dei prezzi degli asset finanziari, Ndr).
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