Cosa succede al resto del mondo se la Cina entra in recessione?

Gli economisti analizzano le ripercussioni del calo del prezzo dei beni manifatturieri e della contrazione delle vendite del settore immobiliare sulle altre economie.

Kate Lin 07/09/2023 | 09:07
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worker on production line, China

In molte parti del mondo, i consumatori stanno sopportando prezzi alti e tassi di interesse elevati. La Federal Reserve ha spinto i tassi di interesse ai livelli più alti degli ultimi 22 anni e, negli ultimi due mesi, la Banca del Canada, la Banca Centrale Europea e la Banca d’Inghilterra hanno tutte alzato il costo del denaro.

Tuttavia, c’è una Banca centrale che ha tagliato i tassi di interesse in agosto: la Banca popolare cinese ha abbassato il tasso primario sui prestiti a un anno al 3,45%. La Cina non ha un’economia surriscaldata dall’inflazione, ma questo non vuol dire che il quadro sia roseo. I politici di Pechino, infatti, si trovano ad affrontare una serie di sfide, tra cui pressioni deflazionistiche, il deprezzamento dello yuan e un settore immobiliare in crisi.

Gli economisti e gli osservatori del mercato suggeriscono che queste sfide potrebbero avere delle potenziali implicazioni anche oltre i confini della Cina, come ad esempio: 

L’impatto sugli esportatori globali di metalli
Nuove partnership commerciali
Beni più economici per i mercati in via di sviluppo. 

Questo significa che è giunto il momento di scommettere sulla Cina? Oppure ha senso scommettere contro il polo manifatturiero mondiale? Affronteremo ciascuno di questi aspetti più in dettaglio.

Gli esportatori di metalli sono in difficoltà

La flessione del settore immobiliare, che in passato rappresentava uno dei principali motori della crescita economica, è un esempio degli effetti del tentativo di ridurre l’indebitamento della propria economia e la sua dipendenza da una crescita trainata dal debito e dagli investimenti. Questa recessione ha avuto effetti di più ampia portata, poiché in un contesto di deboli investimenti interni e di un calo delle vendite di case nuove, i Paesi esportatori di materie prime che sono esposti alla Cina come mercato finale hanno subito un colpo immediato.

Inoltre, gli economisti si aspettano che la domanda globale di materie prime continuerà a essere contratta con risvolti negativi sul prezzo delle stesse.

Robert Gilhooly, economista senior dei mercati emergenti presso abrdn, afferma: “Gli esportatori di materie prime, come Cile, Perù, Sud Africa e Australia, potrebbero vedere una minore domanda da parte della Cina. Ciò a sua volta porterà a un raffreddamento dei prezzi globali, con effetti a catena che incidono sugli investimenti, sulle entrate fiscali e sul sentiment più ampio delle imprese”.

Il tentativo cinese di ridurre l’indebitamento ha come obiettivo di lungo periodo quello di rendere l’economia del Paese maggiormente dipendente dai consumi, invece che dagli investimenti. Gilhooly spiega: “Poiché gli investimenti sono ad alta intensità di importazioni, il passaggio della Cina verso uno stile di vita endemico produrrà degli effetti negativi sui suoi partner commerciali”.

Secondo Gilhooly, tra i principali mercati emergenti, Cile e Perù sono particolarmente dipendenti dalle esportazioni di metalli e minerali e come tali potrebbero essere più esposti a un ulteriore calo della domanda di importazioni legate al settore immobiliare dalla Cina.

Le alternative

Allo stesso modo, gli investitori non dovrebbero dimenticare che il modello commerciale non è statico e che la domanda proveniente dalla Cina può essere compensata da altre economie e settori che necessitano di materie prime.

Chris Kushlis, responsabile della strategia macroeconomica per la Cina e i mercati emergenti presso T. Rowe Price, concorda sul fatto che i produttori di metalli legati esclusivamente all’edilizia abitativa potrebbero dover fare i conti con il rallentamento dello sviluppo immobiliare della Cina. Tuttavia, uno spostamento verso infrastrutture energetiche verdi potrebbe dare sostegno alle economie basate sull’export di metalli come quelle del Sud America, dell’Indonesia e del Sud Africa.

D’altro canto, Kushlis ritiene che la delocalizzazione della produzione a basso valore aggiunto da parte della Cina verso i mercati di frontiera asiatici avrà come effetto quello di rafforzare le esportazioni di beni di consumo da quelle regioni e di produrre cambiamenti nei modelli commerciali in tutta l’Asia e nei mercati emergenti. 

Aninda Mitra, responsabile della strategia macroeconomica e di investimento per l'Asia presso BNY Mellon Investment Management, monitora la dinamica dell'intensità delle importazioni tra la Cina e i suoi partner commerciali: “Le prospettive per gli esportatori asiatici dipendono sempre più dalle prospettive dell’economia globale e non solo di quella cinese. Questo perché l’intensità delle importazioni di Pechino – ovvero quanto importa per unità di crescita del PIL – sta diminuendo ormai da tempo. Il calo dell’intensità delle importazioni è stato determinato dall’allentamento secolare del commercio di trasformazione, dal conflitto commerciale Usa-Cina e dalla recessione nel settore immobiliare cinese”. 

Il prezzo è giusto

Le esportazioni verso la Cina potrebbero essere sotto pressione, ma i prodotti più economici rappresentano un vantaggio per gli importatori di manufatti cinesi. Ciò è particolarmente vero per le economie colpite da un’inflazione elevata in maniera prolungata, che accolgono con favore prezzi più bassi dal polo manifatturiero mondiale. 

Tiffany Wilding, economista e amministratore delegato di PIMCO, ritiene che il deterioramento dei fondamentali economici cinesi abbia prodotto pressioni deflazionistiche che stanno già moderando l’inflazione sia in Cina che nei mercati globali serviti dalle merci cinesi. Secondo Wilding, la persistente deflazione in Cina si estenderebbe probabilmente ai mercati sviluppati. “Uno yuan più debole e un elevato rapporto scorte/vendite riducono il costo dei beni cinesi all’estero – uno sviluppo che i banchieri centrali dei mercati sviluppati probabilmente apprezzerebbero”.

Secondo l’Ufficio nazionale di statistica cinese, l’indice dei prezzi alla produzione (PPI) – che misura i prezzi che le fabbriche applicano ai grossisti per i loro prodotti – è diminuito del 4,4% su base annua a luglio ed è sceso per il decimo mese consecutivo.

Nonostante un PPI in calo, tipico dei periodi deflazionistici, segnali un imminente rallentamento economico, Wilding ritiene che le conseguenze del calo dei prezzi dei prodotti cinesi siano considerate una buona notizia a breve termine per la lotta delle banche centrali occidentali contro l’inflazione elevata: “Sebbene Pechino stia cercando di sposare un modello di crescita guidato dai consumi e le tensioni commerciali con l’Occidente rimangano elevate, la Cina è ancora il produttore mondiale. Probabilmente, le ricadute deflazionistiche hanno appena iniziato a incidere sui mercati globali dei consumi, ma è possibile che si registri un’accelerazione degli sconti nei prossimi trimestri”. 

Gli economisti attendono gli stimoli

Poiché il contesto rimane deflazionistico per la Cina, gli economisti affermano che il prossimo stimolo rilevante per rilanciare l’economia potrebbe arrivare dalla politica. Mitra di BNY Mellon IM è tra gli osservatori del mercato che temono che il 2024 possa essere più negativo per la Cina di quanto non lo sia stato il 2023, se la politica non dovesse fornire il giusto sostegno all’economia.

“Il settore immobiliare è il principale motore della recessione dell’economia cinese. Rappresenta circa un quarto del Pil cinese e il suo crollo ha chiaramente danneggiato la crescita. Ma l’erosione della fiducia del settore privato ha probabilmente limitato la portata di qualsiasi ripresa compensativa e alimentato la spirale deflazionistica”, dice Mitra. “Un ritardo prolungato nel sostegno politico e nella riforma del mercato metterà probabilmente a repentaglio le prospettive della Cina nel 2024 e oltre”.

Wilding di PIMCO aggiunge: “Adeguate misure  fiscali per stimolare la domanda interna potrebbero riaccelerare l’inflazione, mentre misure politiche ritardate o inadeguate potrebbero portare ad una spirale discendente”.

Kushlis di T Rowe, che esamina l’impatto sulla valuta e sul reddito fisso, ritiene che siano necessari ulteriori stimoli, compresi ulteriori tagli dei tassi di interesse e un aumento della spesa fiscale: “In caso contrario, il Renminbi continuerà a subire pressioni al deprezzamento derivanti dalla forza globale del dollaro statunitense e questo avverrà nonostante gli sforzi fatti dalle autorità per gestire il ritmo di questa pressione attraverso una serie di misure attive nel mercato valutario”. 

Scommettere su un rally guidato dalla politica…

Matt Wacher, direttore degli investimenti per l'Asia Pacifico di Morningstar Investment Management, è piuttosto ottimista sul futuro della Cina: “Se è vero che siamo davanti a una situazione di crisi, è anche vero che l’economia cinese è un’economia effettivamente controllata dallo Stato in cui il governo ha una serie di leve da poter esercitare. Se dunque non guardiamo a quello che succede in questo momento, ma allarghiamo l’orizzonte di osservazione al ciclo economico, siamo piuttosto fiduciosi sulla Cina. Inoltre, in termini di valutazione di mercato, ora è un buon momento per investire in Cina ed è certamente quello che abbiamo fatto. Non abbiamo posizioni enormi, ma abbiamo un’esposizione ragionevolmente buona”. 

…o scommettere contro la Cina?

Non mancano gli economisti che mettono in guardia sugli effettivi risultati del sostegno offerto dalla politica. “Gli investitori, soprattutto quelli che scommettono su un rally azionario guidato dalla politica, dovrebbero tenere sotto controllo le loro aspettative, soprattutto quelle relative alle dimensioni degli effetti prodotti. Mi riferisco soprattutto al fatto che è improbabile che si verifichi un incremento significativo dei profitti aziendali e del reddito delle famiglie e che i settori con prospettive di crescita maggiori, come i veicoli elettrici, l’energia verde e la tecnologia, non sono abbastanza grandi da compensare la resistenza del settore immobiliare”, dice Gary Ng, economista senior per la ricerca tematica Asia-Pacifico presso Natixis CIB. 

Mitra di BNY Mellon IM ha dichiarato a Morningstar che l'azienda ha assunto una posizione neutrale sulle azioni cinesi in attesa che vengano annunciati e lanciati ulteriori stimoli politici da parte delle autorità cinesi e motiva in questo modo la decisione: “Suggeriamo di rimanere neutrali sulle azioni cinesi che rimangono scambiate a prezzi troppo bassi per andare short e troppo deboli per andare long , ma che probabilmente forniscono un certo grado di copertura contro tassi elevati e in aumento nei mercati del G3 (Stati Uniti, Area euro e Giappone), e contro i rischi di recessione in diverse aree del mondo sviluppato”.

Non dimenticare il reddito fisso

Passando al reddito fisso, Kushlis di T Rowe ritiene che, nonostante le difficoltà economiche, la Cina stia evitando una “recessione di bilancio” poiché i tagli ai tassi di interesse aiutano la sostenibilità dei mutui e del debito dei governi locali. Kulshlis si aspetta che i rendimenti rimangano bassi o scendano ulteriormente, a causa del taglio dei tassi da parte della Banca Popolare Cinese, e mostra la sua preferenza, date le aspettative di rendimenti in calo, per i titoli di stato cinesi in valuta locale.

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Kate Lin  è data journalist di Morningstar Asia.

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