Se hai un fondo a scadenza, leggi qui

I fondi con finestra di collocamento hanno avuto un boom nell’ultimo anno, soprattutto in Italia e Spagna. Assomigliano alle obbligazioni, ma sono molto diversi e soprattutto costosi.

Sara Silano 21/09/2023 | 09:15
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Foto AP

-Sono fondi comuni di investimento con finestra di collocamento e durata predefinita. Spesso distribuiscono una cedola periodica.

-La somiglianza con le obbligazioni li rende molto attraenti ad investitori spesso ignari delle loro caratteristiche, ma ci sono importanti differenze a cominciare dai costi.

-Gli oneri che gravano sui fondi a scadenza possono mangiarsi oltre la metà del rendimento.

Fondi a scadenza: forse il nome non ti dice nulla, ma la probabilità che tu lo abbia in portafoglio è alta. Per questa ragione, ti suggerisco di leggere questo articolo.

Partiamo dalla definizione. I fondi a scadenza (o con finestra di collocamento) sono fondi comuni di investimento che hanno un periodo limitato di sottoscrizione e una durata predefinita (in genere tra i cinque anni e i sette anni), terminata la quale possono trasformarsi in monetari o essere fusi in altri fondi. Distribuiscono spesso cedole periodiche, come i titoli di Stato, ed è per questo che vengono anche detti “a cedola”.

Nell’ultimo anno, c’è stato un boom di lanci e raccolta su quelli obbligazionari, mentre nel lungo periodo di tassi di interesse bassi o negativi, le case di gestione avevano puntato su quelli bilanciati. I più “anziani”, tuttavia, ricorderanno che i primi fondi a scadenza investivano nel reddito fisso e hanno debuttato nella prima decade del 2000.

Perché potresti avere un fondo a scadenza anche tu

1. La prima ragione è nei dati sui flussi. Nell’ultimo anno i fondi a scadenza hanno raccolto oltre 53 miliardi in tutta Europa, con una crescita organica del 79,4% (flussi in percentuale degli asset iniziali, dati al 31 luglio 2023). Una larga fetta delle sottoscrizioni riguarda strumenti collocati in Italia o Spagna. Il patrimonio complessivo ha toccato i 122 miliardi di euro a fine luglio. Per avere un termine di paragone, una categoria obbligazionaria più tradizionale e longeva come quella dei governativi in euro ha asset per 129 miliardi (a fine luglio).

2. La seconda ragione riguarda la proliferazione di questa tipologia di prodotti. Nel database Morningstar, ci sono oltre 1.600 strumenti di questo tipo, inclusi quelli che non esistono più, perché sono stati fusi o liquidati una volta arrivati a scadenza. Se restringiamo il numero a quelli in vita, scendiamo a circa 700. Ma la categoria si caratterizza per continui debutti perché le società di gestione lanciano nuovi comparti quando scadono i precedenti. Solo dall’inizio del 2023 sono arrivati sul mercato europeo 157 nuove proposte.

3. La terza ragione è l’attrattività che questi prodotti possono avere tra i risparmiatori, che spesso non ne comprendono del tutto caratteristiche e costi. La somiglianza con le obbligazioni li rende molto allettanti, soprattutto in Italia. Infatti, questi fondi hanno una finestra di sottoscrizione e un periodo di detenzione consigliato. Inoltre, spesso offrono una cedola periodica. Esistono, tuttavia, importanti differenze.

Perché i fondi a scadenza non sono uguali alle obbligazioni

Quando compri un bond, investi in un titolo di debito emesso da uno Stato o da un’azienda e hai diritto al rimborso del capitale alla scadenza, più gli interessi. I fondi a scadenza, invece, allocano i tuoi capitali in un portafoglio diversificato di titoli che hanno durata compatibile con quella della strategia e non danno diritto al rimborso della somma iniziale, a meno che non sia prevista una specifica garanzia. Il valore della quota, dunque, oscilla in base all’andamento del mercato.

Se da un lato l’aspetto della diversificazione è positivo, soprattutto per chi ha a disposizione bassi importi, dall’altro ci sono fattori negativi come gli elevati costi, le finestre di sottoscrizione e i vincoli all’uscita, oltre al fatto che esistono alternative più economiche tra i fondi e gli ETF tradizionali.

Per gli strumenti che prevedono la cedola, è possibile trovare scritto nei Prospetti informativi che l’importo distribuito potrebbe essere superiore al risultato di gestione del fondo e quindi rappresenta in realtà un rimborso parziale della quota. In sostanza, non è una vera e propria cedola, ma lo smobilizzo di quote dal capitale investito.

Ma quanto mi costi?

Una caratteristica ancora più importante sono le commissioni, che generalmente sono ben più alte di quelle sostenute per l’acquisto o la negoziazione di un’obbligazione. È importante quindi leggere i documenti informativi (PRIIP KID o KIID) per avere una chiara rappresentazione delle fee e di quanto incidano sul rendimento.

In particolare, l’investitore deve prestare attenzione alla commissione di collocamento, quella che viene pagata anticipatamente dall’investitore e girata dalla società di gestione all’intermediario, il quale è quindi incentivato a vendere questi prodotti, e che grava pesantemente sul risultato finale. Questa fee viene prelevata al termine del periodo di sottoscrizione e ammortizzata negli anni successivi. In alcuni KIID esaminati, abbiamo trovato l’indicazione sotto la voce Spese correnti.

Le altre voci di costo da monitorare sono quelle di sottoscrizione e di rimborso, che sono indicate come valori massimi applicabili. Per le seconde, l’importo generalmente diminuisce con l’aumentare degli anni di detenzione, fino ad azzerarsi alla scadenza. Ci sono poi le commissioni di negoziazione dei titoli e, in alcuni casi, le performance fee e i diritti fissi.

Costi/rendimenti in cifre

Facciamo un esempio concreto, tratto dal PRIIP KID di uno dei fondi che ha raccolto di più nell’ultimo anno. Immagina di avere investito 10 mila euro, pagando una commissione di ingresso del 2,5% e spese correnti dell’1,31% (non sono previste fee di uscita o di performance). Se fossi uscito dopo il primo anno, avresti speso quasi 400 euro, con un’incidenza dei costi di oltre il 4%. Se tenessi fino alla scadenza, spenderesti in totale più di 1.200 euro, con un onere annuo superiore al 2%.

In uno scenario economico e finanziario moderato, se riscattassi dopo il primo anno saresti in perdita, mentre se aspettassi il termine fra cinque anni potresti ottenere 11.110 euro (+1,9% annuo). Naturalmente sono tutte ipotesi, perché non possiamo prevedere come andranno i mercati e quindi la performance potrebbe essere peggiore o migliore. Quello che è certo, è che i costi continueranno a gravare sul tuo investimento, mangiandosi anche più della metà del rendimento finanziario.

Abbiamo trovato situazioni ancora più gravose, con un impatto dei costi superiore al 5% in caso di uscita dopo un anno e del 3,6% dopo cinque anni. In pratica, se la performance lorda fosse superiore al 5% annuo, al netto dei costi scenderebbe sotto il 2%. E questo senza contare la tassa sui capital gain (26%, ad eccezione dei titoli di Stato per i quali è il 12,5%).

Uno tira l’altro

L’analisi dei flussi in entrata e uscita dai fondi a finestra rivela che spesso gli investitori riscattano prima della scadenza, con conseguenze ancora più pesanti sul rendimento netto. I numeri non ci dicono se la decisione venga presa per esigenze di liquidità individuali oppure su consiglio del consulente finanziario.

Tuttavia, i dati rivelano che tra i fondi con maggiori deflussi da inizio anno, non ci sono solo quelli in scadenza, ma diversi comparti che termineranno nel 2024 per i quali sono state già emesse nuove “tranche”. Questo comportamento non ha senso dal punto di vista dell’investitore, mentre è vantaggioso per l’intermediario che può proporre il reinvestimento nella successiva emissione.

I fondi a scadenza hanno posto in portafoglio?

Per concludere, non ci resta che riprendere quanto aveva scritto Francesco Paganelli, senior analyst di Morningstar, in un precedente articolo, parole che ci ha riconfermato di recente: “Questi fondi sono nella maggior parte dei casi relativamente costosi e difficili da utilizzare nel contesto di un portafoglio diversificato: ne consegue sia un ritardo in termini di performance sia un uso poco efficace da parte dei risparmiatori, che spesso procedono al riscatto prima della data obiettivo. Questa prassi, purtroppo, amplifica l’effetto negativo delle commissioni di collocamento. Negli anni Morningstar ha evidenziato come orientarsi verso strumenti a basso costo aumenti di molto le probabilità di successo, cioè di investire in prodotti che sopravvivono nel tempo (non vengono fusi o liquidati) e sovraperformano i propri concorrenti. Per queste ragioni, a nostro parere, la maggior parte degli investitori farebbe meglio a rivolgere la propria attenzione altrove”.

 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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