All’indomani dell’attacco di Hamas nei confronti di Israele, i principali mercati azionari internazionali non sono stati colpiti da pesanti vendite. I prezzi del petrolio, invece, sono saliti e il dollaro si è rafforzato. Gli investitori guardano oltre il breve per capire quali potrebbero essere le conseguenze di un conflitto duraturo.
Le reazioni a caldo di strategist e gestori si sono sviluppate su tre piani:
1) Dinamiche geopolitiche
2) Impatti sulle quotazioni del petrolio
3) Corsa ai beni rifugio
1) Dinamiche geopolitiche
“L'attacco è arrivato mentre erano in corso da diverso tempo colloqui tra Arabia ed Israele con la partecipazione degli USA, allo scopo formale di arrivare al riconoscimento di Israele da parte dell'Arabia”, dice Antonio Cesarano, global chief strategist di Intermonte. “In cambio l'Arabia cercava di ottenere maggiore garanzia di copertura delle sue esigenze di sicurezza — in vista anche del progressivo alleggerimento del coinvolgimento USA nella regione — oltre all’accesso alle tecnologie israeliane per lo sviluppo, tra l'altro, del nucleare ad uso civile. Il tutto nel contesto del piano arabo Vision 2030, che ha come obiettivo la riduzione della dipendenza dalle entrate provenienti dal petrolio”.
“L'attacco di Hamas mette in discussione il potenziale accordo arabo-israeliano, mandandolo quantomeno per il momento in sordina”, conclude Cesarano.
Il timore di molti osservatori è che ci possa essere un’escalation del conflitto con il coinvolgimento di altri Stati.
“L'invasione del sud di Israele, pur essendo l'esplosione di un conflitto regionale e di una crisi umanitaria in corso da tempo, ha il potenziale per espandersi in un conflitto prolungato, che storicamente ha rappresentato un ostacolo per i mercati azionari globali”, commenta Norman Villamin, Group Chief Strategist di Union Bancaire Privée (UBP), il quale ritiene che “il rischio che la più grande incursione in Israele dal 1973 si trasformi da evento localizzato a conflitto prolungato e che coinvolga un numero maggiore di Paesi (incluso l’Iran) dovrebbe essere tra le principali preoccupazioni degli investitori”.
2) Impatti sulle quotazioni del petrolio
L’oro nero è tornato a salire all’indomani dell’attacco di Hamas per i timori del coinvolgimento di altri Paesi nel conflitto. Le quotazioni del greggio erano scese la settimana scorsa a causa delle turbolenze sui mercati finanziari, del potenziale rallentamento della domanda e dell’aspettativa di un possibile accordo tra Israele e Arabia Saudita.
“L'attacco di Hamas ha chiaramente messo fine a questo sviluppo. Il sostegno di Teheran ad Hamas potrebbe portare ad un attacco di Israele nei confronti dell’Iran. Inoltre, è improbabile che si assista a un ulteriore disgelo delle relazioni tra Stati Uniti e Iran e la capacità dell'Iran di espandere la produzione di petrolio sarà messa in discussione”, spiega Nitesh Shah, Head of commodities & macroeconomic research di WisdomTree.
Per Vincent Mortier, capo investimenti di Amundi, il principale rischio è sul prezzo del petrolio se il conflitto assumerà maggiori dimensioni. “Anche se non cambiamo le nostre previsioni sull’inflazione per il prossimo anno, il conflitto aggiunge incertezza sulla traiettoria dell’inflazione, che è un elemento chiave per valutare l’outlook economico degli Stati Uniti”, si legge in una nota del 10 ottobre.
3) La corsa ai beni rifugio
Lunedì 9 ottobre, l'indice del dollaro, che misura il valore del biglietto verde rispetto a un paniere di valute estere, si è rafforzato sopra quota 106, interrompendo un calo che durava da tre giorni, perché gli investitori hanno cercato protezione nei beni rifugio.
“Complici la stretta monetaria della Fed e la resilienza dell’economia statunitense, quest’anno il dollaro è già salito del 2,1%. Se chiudesse al rialzo per il terzo anno consecutivo, metterebbe a segno la più lunga serie di aumenti dal 2016, con conseguenti pressioni sui Paesi importatori di energia, in particolare gli emergenti come India e Cina”, spiega Richard Flax, responsabile investimenti di Moneyfarm, il quale aggiunge che il biglietto verde, insieme all’oro e al petrolio, “sono tre indicatori chiave da tenere sotto attenta osservazione nelle prossime settimane”.
Per quanto riguarda l’oro, Shah ricorda come il metallo giallo goda di una solida reputazione come copertura geopolitica, anche se spesso i movimenti di prezzo si dissipano rapidamente. Tuttavia, occasionalmente i guadagni dei prezzi persistono e sono molto significativi, come ad esempio nella guerra dello Yom Kippur di 50 anni fa, quando i prezzi dell'oro salirono di oltre il 47% a un anno dall'inizio dell'evento.
Come si muovono gestori e strategist
“L'ultimo attacco in Medio Oriente arriva in un momento di tensioni geopolitiche, con la guerra in corso contro l’Ucraina e l’intensa rivalità tra Stati Uniti e Cina. Allo stesso tempo, i mercati devono affrontare un periodo di moderazione della crescita economica globale. In questo contesto, continuiamo a preferire il reddito fisso alle azioni. Riteniamo che il profilo rischio-rendimento sia migliore e raccomandiamo di considerare l’acquisto di obbligazioni di alta qualità con scadenza 5-10 anni”, si legge in una nota di Mark Haefele, Chief Investment Officer du UBS Global Wealth Management.
Benjamin Melman, Global CIO Asset Management di Edmond de Rothschild AM, ammette che per il momento non c'è motivo di modificare il posizionamento in termini di asset allocation, ma aggiunge: “Nessuno può dire se la risposta sarà simile a quelle viste in passato o se il solo shock di ciò che è accaduto potrebbe portare all'estensione del conflitto. Di conseguenza, è logico applicare un premio per il rischio ai mercati”.
Infine, Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, crede che la volatilità possa rimanere molto elevata nei prossimi giorni e che “l’impatto sui mercati sarà sempre più profondo se dovessero essere coinvolti altri Stati, portando ad un’avversione al rischio e ad un sentiment di risk-off che potrebbero protrarsi a lungo. La destabilizzazione del Medio Oriente porta pressioni fortemente rialziste sulle quotazioni del petrolio e spinge gli investitori a guardare verso i beni rifugio (bond, dollaro, franco svizzero, yen e oro)”.
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