Ecco come non cadere nella trappola dello “zoo dei fattori”

Complice anche il boom tecnologico, si sta assistendo a un proliferare di fattori, ovvero di potenziali fonti di rendimento, tanto che si parla di “zoo dei fattori”, molti dei quali appaiono poco robusti di fronte al severo esame dell’Evidence based investing, che ha l’obiettivo di tenere fuori dalle scelte di investimento il rumore di fondo inutile e dannoso delle strategie non validate a livello accademico.

Fabrizio Guidoni 14/11/2023 | 10:01
Facebook Twitter LinkedIn

investire

Nel mondo della finanza di investimento esistono numerose strategie e modelli finanziari che vengono presentati di anno in anno come soluzioni efficaci per scegliere gli investimenti o creare portafogli al fine di avere rendimenti attraenti e soddisfacenti. Modelli matematici, magari pure creati da premi Nobel per l’economia, analisi di natura fondamentale per la scelta delle azioni più promettenti, osservazioni statistiche di correlazioni, varianza e covarianza, esperienze dei grandi gestori, fino ad approcci più empirici come i proverbi di Borsa (chi non conosce ad esempio il “Sell in May and go away”, o il più attuale “Santa Klaus rally”) o l’analisi tecnica. Ma cosa funziona veramente in Borsa? O, forse più importante, cosa non funziona in Borsa alla severa prova del passare del tempo, nel lungo periodo? La risposta arriva dall’approccio dell’Evidence based investing, cioè nelle severe verifiche quantitative e statistiche su grandi numeri effettuate in ambito accademico.

 

 

Alla ricerca del “fattore” vincente perduto

In finanza, una caratteristica o un insieme di caratteristiche che possono spiegare i rendimenti di un portafoglio di investimento o di un'azione è rappresentato dal cosiddetto "fattore". In estrema sintesi, i fattori sono tutte le potenziali fonti di rendimento.

Ecco alcuni esempi comuni di fattori che vengono usati per prendere decisioni di investimento. Prendiamo la “dimensione dell'azienda”: riflette l'idea che le piccole imprese possono avere rendimenti superiori a lungo termine rispetto alle grandi aziende. Un altro fattore è il “valore”: si basa sul rapporto prezzo/valore dell'azienda quotata, come ad esempio il rapporto tra quotazione in Borsa e il valore di libro (book value). Secondo le strategie che usano questa tipologia di fattore, le azioni considerate "a buon mercato" o sottovalutate possono avere performance migliori sul mercato azionario rispetto a quelle considerate costose o sopravvalutate.

Un altro fattore molto utilizzato è il “Momentum”: il concetto di fondo è che le azioni che hanno avuto buone prestazioni sul mercato nel recente passato tendono a continuare a farlo almeno nel breve termine. Esiste poi il fattore “Qualità”: l’ipotesi di fondo che sostiene la scelta di questo fattore nelle decisioni di investimento è che le aziende con indicatori di qualità elevata, come alta redditività e basso indebitamento, potrebbero avere rendimenti migliori.

Tra tutti i fattori, il più noto resta il “Rischio di Mercato”: è rappresentato dal modello di valutazione degli asset finanziari (il Capital asset pricing model, CAPM), che considera la correlazione di un'azione con il mercato più ampio. E la lista potrebbe continuare a lungo.

Ebbene, quali funzionano e quali no?

“I fattori sono utilizzati nei modelli finanziari per identificare e quantificare le forze che influenzano il rendimento di un investimento – spiega Luca Cirillo, consulente finanziario ed esperto quant analyst -. A tal proposito, in finanza è ormai sempre più diffuso il termine "zoo dei fattori, che deriva da “Factor zoo”, termine coniato da Professor John Cochrane della University of Chicago". Si riferisce alla grande e crescente quantità di fattori identificati da ricercatori e praticanti che possono spiegare i rendimenti degli investimenti. Questa espressione è spesso usata in modo un po' critico o scherzoso per sottolineare il numero eccessivo di fattori proposti nella letteratura accademica, molti dei quali potrebbero essere il risultato di overfitting, cioè di un modello eccessivamente adattato ai dati storici utilizzati, o di casualità piuttosto che di veri e propri driver economici”.

Anche se un fattore dovesse avere l'andamento sperato dall'investitore questo non necessariamente si tradurrà in rendimenti superiori rispetto a quelli di mercato, ovvero quelli ottenibili investendo semplicemente in un solo indice diversificato, a livello di azionario mondiale.

Chi popola lo “zoo dei fattori”

La prolificazione dei fattori negli ultimi anni trova giustificazione in diversi motivi chiave. Il primo è la spasmodica ricerca di nuovi fattori. Questa è stata scatenata dall’avanzare della tecnologia e dall'aumento della disponibilità di dati finanziari. Di fronte a questa ricchezza quantitativa, i ricercatori hanno sfruttato la capacità di testare un numero sempre maggiore di potenziali fattori. Collegato a questo, c’è l’illusione di trovare fattori che siano fonte di rendimento ma che peccano del problema dell’overfitting dei dati: alcuni fattori, quindi, potrebbero essere identificati attraverso l'analisi dei dati storici, ma potrebbero non essere robusti o validi quando applicati a nuovi dati o a diversi contesti di mercato.

Lo “zoo dei fattori” si sta riempendo anche per effetto della facilità di pubblicazione di nuovi risultati. In pratica c’è ormai una diffusa tendenza da parte dei ricercatori a pubblicare nuove scoperte piuttosto che confermare o negare studi esistenti. Questo può portare a un numero eccessivo di nuovi fattori "scoperti" che in realtà potrebbero non avere un significato economico. Esiste poi una fonte di proliferazione di nuovi fattori dato da logiche soprattutto di marketing in cui alcuni attori dei mercati finanziari perseguono l’obiettivo di distinguersi creando nuovi fattori o strategie basate su fattori per attrarre l’attenzione del mercato.

Come orientarsi in mezzo a troppe illusioni di rendimento

Come deve comportarsi un investitore in questo contesto? “La sfida per gli investitori e i praticanti – spiega Cirillo - è quella di distinguere tra fattori che hanno una solida base teorica ed empirica e quelli che sono meno affidabili o rilevanti. La critica implicita nello "zoo dei fattori" è che non tutti i fattori proposti sono utili o necessari per comprendere i movimenti del mercato o per costruire un portafoglio di investimenti efficace. Particolarmente significativi e per molti versi ancora insuperati sono i risultati dello studio firmato Campbell R. Harvey, Yan Liu e Heqing Zhu che sono quindi gli autori di un'influente ricerca nel campo della finanza che ha contribuito in modo significativo alla discussione sullo "zoo dei fattori". La loro ricerca si concentra sulla valutazione critica dell'incremento dei fattori di rischio proposti nel campo degli investimenti e si domanda se molti di questi fattori siano realmente distinti e validi o se siano piuttosto il risultato di data mining e casualità. Il loro approccio mette in luce due aspetti chiave.

Il primo è il Problema dei test multipli: Harvey, Liu e Zhu hanno evidenziato il problema dei test multipli nel campo della ricerca sui fattori: quando un gran numero di fattori viene testato, anche grazie alla grande potenza computazionale oggi alla portata di tutti, la probabilità di identificare falsi positivi, cioè fattori che sembrano significativi ma non lo sono, aumenta. Questo problema è particolarmente rilevante in un campo come la finanza, dove i dati sono abbondanti e la tentazione di cercare pattern nei dati è forte”.

E il secondo aspetto chiave qual è? “Si tratta della questione legata a Standard più elevati per la significatività statistica dei risultati di uno studio su un dato fattore – sottolinea Cirillo -.  A causa del problema del multiplo testing, gli autori propongono l'uso di standard più elevati per la significatività statistica nella ricerca sui fattori. Harvey, Liu e Zhu suggeriscono che lo standard debba essere molto più stringente nel contesto dei fattori finanziari, al fine di poter arrivare a considerare un dato fattore effettivamente significativo”. Alla prova dei fatti, la loro ricerca ha avuto un impatto profondo sulla comunità accademica e sui praticanti di finanza, portando a una maggiore consapevolezza e cautela nell'identificazione e nell'uso di nuovi fattori di rischio. Ha anche contribuito a stimolare un dibattito più ampio sull'importanza della replicabilità e della validità nella ricerca finanziaria.

Il mito dei guru e degli esperti

Sul fragile mito del guru degli investimenti Cirillo racconta che nel 1985 Philip Tetlock, professore universitario e scrittore di scienze politiche, decise di verificare se gli esperti avessero davvero la capacità di prevedere il futuro. Nell'arco di 20 anni intervistò 284 esperti in merito alla fiducia che essi riponevano nella loro capacità di fare previsioni, in vari campi: economia, politica, cambiamenti climatici, strategie militari, mercati finanziari, pareri legali ed altri argomenti complessi che presentavano risultati incerti. Nel complesso Tetlock accumulò ed analizzò lo strabiliante numero di 28.000 previsioni. In particolare, Tetlock, si aspettava che, laddove l'esperto stimasse una probabilità del 60% che le proprie previsioni risultassero corrette, effettivamente queste poi si sarebbero concretizzate con una probabilità del 60%. Quando Tetlock andò a verificare i risultati, si accorse che purtroppo così non era, anzi. Innanzi tutto, gli esperti che godevano di maggiore visibilità e maggiore presenza sui media avevano statistiche di successo peggiori rispetto a coloro che lavoravano nell'anonimato. Inoltre, semplici algoritmi, medie, regressioni lineari avevano maggiori capacità predittive rispetto agli esperti. In altre parole, Tetlock poté verificare che uno dei principali meccanismi decisionali, ovvero quello di basare le proprie scelte sul parere di un esperto, era fondamentalmente difettoso.

Come se non bastassero gli studi di Tetlock, CXO Advisory ha raccolto le previsioni dei guru dei mercati finanziari dal 1998 al 2012, dimostrando che le capacità previsionali sono inferiori al lancio di una monetina. Nondimeno, i guru e gli esperti hanno un grande fascino. Perché? In quasi ogni campo di attività umana, a maggiore dinamismo, attivismo, e velocità d’azione corrispondono maggiori risultati..…tranne che nel mondo degli investimenti.

A tale riguardo Warren Buffett, il più grande investitore della Storia ebbe a dire “se ti piace saltare dentro e fuori dal mercato, vorrei essere il tuo broker, sicuramente non il tuo socio". Ed Eugene Fama, il più importante accademico in tema di investimenti finanziari ha precisato che “l’unica vera determinante dei rendimenti futuri sono i costi”. Tutto il resto, possiamo aggiungere, sono miraggi.

La risposta sta nell’Evidence based investing

Un approccio disciplinato alle decisioni investimento e di "manutenzione" del portafoglio finanziario che non ci faccia cadere nelle trappole dello “zoo dei fattori” è rappresentato dall'Evidence Based Investing (EBI). Disciplinato perché si basa sulle evidenze accademiche e sui dati e sul principio che le fonti accademiche siano state sottoposte alla revisione paritaria (peers review) ovvero devono, a loro volta, essere state validate dalla comunità scientifica. “Anche i ricercatori e gli esponenti del mondo accademico possono essere vittime di abbagli – ricorda Luca Cirillo -. L'EBI cerca pertanto di tenere fuori dalle scelte di investimento gli errori comportamentali, le notizie inutili e fuorvianti, i suggerimenti interessati, le storie affascinanti ma non verificabili, in pratica tenere fuori il rumore di fondo inutile e dannoso. In altre parole, l'EBI ha l'obiettivo di aumentare le probabilità di successo e di ridurre il rischio inteso come probabilità di non raggiungere i propri obiettivi finanziari. Purtroppo, errori comportamentali, emozioni, mancanza di un approccio scientifico, scarsa dimestichezza e consuetudine con la ricerca e la produzione accademica, meccanismi di remunerazione che confliggono con gli interessi degli investitori, budgets di vendita, rendono questo approccio difficilmente praticabile dalla maggior parte del mondo della consulenza finanziaria”.

Cosa dovrebbe quindi fare l'investitore per controllare che, nelle decisioni di investimento che lo riguardano, venga applicato un metodo scientifico? Secondo il quant analyst, l’investitore deve pretendere che, per ognuna delle fasi descritte di seguito, venga utilizzato un criterio, un protocollo, un metodo basato sui dati e sulle evidenze scientifiche:

-la Decisione di allocazione iniziale delle risorse finanziarie, ovvero in cosa investire ed in quali percentuali;

-la Manutenzione e il monitoraggio del portafoglio, ovvero quali attività porre in essere successivamente all'allocazione iniziale, con la cadenza temporale degli interventi e tipo di interventi;

-l’Investment review, ovvero disporre di un sistema completo di misurazione della performance in grado di valutare il funzionamento di ogni componente del processo di investimento.

Per ognuna di queste fasi e prima che l'investimento abbia inizio, l'investitore dovrebbe pretendere evidenza scritta e dettagliata delle regole operative di gestione del rischio e dell'impianto strategico e decisionale sottostante alle decisioni di investimento iniziali e di successiva manutenzione del portafoglio.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

Iscriviti alle Newsletter Morningstar

Clicca qui

Facebook Twitter LinkedIn

Info autore

Fabrizio Guidoni  collabora con Morningstar come data journalist. Ha una lunga esperienza sul mercato azionario italiano e sulla finanza sostenibile.

© Copyright 2024 Morningstar, Inc. Tutti i diritti sono riservati.

Termini&Condizioni        Privacy        Cookie Settings        Disclosures