L’atteso rimbalzo non arriva, anzi. Il mercato azionario cinese e quello di Hong Kong continuano a perdere valore. La settimana scorsa, i listini sono crollati ai minimi pluriennali. La fiducia nella seconda economia mondiale sta infatti evaporando e i capitali esteri la stanno abbandonando, mentre gli ultimi dati mostrano una crescita stentata e un sempre più forte malessere del settore immobiliare.
Negli scorsi tre mesi il Morningstar China Index e il Morningstar Hong Kong Index hanno perso il 7% ciascuno, mentre il Morningstar Global Market Index è salito del 10,7%. E se allarghiamo l’orizzonte temporale, le cose non cambiano: rispettivamente -26% e -27% contro +15,5% nell’ultimo anno (dati in euro, al 24 gennaio 2023).
“Questo rallentamento è di natura strutturale, spinto da una brusca correzione del settore immobiliare avvenuta alla fine del 2021 e ancora in corso”, commenta Vincent Mortier, responsabile investimenti di Amundi. “Nel 2024 prevediamo che i prezzi delle abitazioni nelle principali città registreranno un calo più rapido, in particolare con l'aumento dell'offerta di case a prezzi accessibili. Il difficile processo di riequilibrio dall'eccessiva dipendenza dal settore immobiliare, unito all'avvio della ristrutturazione del debito da parte del governo locale, dovrebbe esercitare nei prossimi tre-cinque anni una pressione al ribasso sulla crescita cinese.”
A questo punto, la questione non sembra più essere se la crescita rallenterà ulteriormente, ma se la Cina sarà in grado di navigare verso un futuro sostenibile. La produttività è al centro del nuovo modello di crescita individuato dalle autorità, con una rinnovata attenzione alla tecnologia e alla transizione energetica.
La fuga degli investitori (attivi)
Il forte scetticismo che aleggia sul mercato azionario cinese trova riscontro nei forti flussi in uscita degli investitori esteri. Negli ultimi trimestri i gestori internazionali hanno ridotto drasticamente la loro esposizione, contribuendo alla discesa dell’indice. L’anno passato gli investitori hanno riscattato 2,9 miliardi di euro dai fondi aperti azionari Cina gestiti attivamente e domiciliati in Europa, segnando un tasso di crescita organica annuale del -6,6%.
Se prendiamo solo l’universo degli ETF, invece, vediamo che nel 2023 gli ETF azionari Cina domiciliati in Europa hanno incassato 340 milioni di euro, con una crescita organica annuale del 6,15%. In tre anni (tra il 2021 e il 2023), gli ETF esposti all’azionario cinese hanno attirato quasi 4 miliardi di euro in flussi netti.
Pechino non sta a guardare
La situazione avrebbe perfino spinto il governo a valutare l’introduzione di un pacchetto di aiuti di 2.000 miliardi di yuan, circa 260 miliardi di euro, finalizzato a stabilizzare il mercato azionario attraverso acquisti mirati. La notizia è stata riportante da Bloomberg News, che cita proprie fonti.
Successivamente la China Securities Regulatory Commission ha promesso di fare ogni sforzo per rendere efficiente il funzionamento del mercato dei capitali, reprimendo la manipolazione dei prezzi e le attività di trading insolite. Nel frattempo, Jack Ma, co-fondatore di Alibaba, dopo essersi ritirato dalla scena pubblica per la stretta di Pechino nel 2020, sembra abbia acquistato circa 50 milioni di dollari di azioni della società nell'ultimo trimestre. La pubblicazione di questa indiscrezione ha contribuito al rimbalzo del titolo.
Infine, mercoledì la People's Bank of China con una comunicazione inusuale, ha anticipato che ad inizio febbraio taglierà il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche in modo da liberare risorse e sostenere l’economia. Il taglio dello 0,5% fornirà 1.000 miliardi di yuan di liquidità a lungo termine al mercato.
“Il mix di notizie ha avuto un effetto positivo sul mercato ma il rischio è che possa essere effimero”, spiega Massimo De Palma, responsabile del team multi asset di GAM (Italia) SGR. “Troppo spesso le speranze sono andate deluse, specialmente nel recente passato. Consapevole di questo la banca centrale, alcune ore dopo l’annuncio, ha presentato nuove misure per contrastare la prolungata difficoltà del settore immobiliare che negli anni ha pesato sugli investimenti delle imprese, minato la creazione di posti di lavoro e frenato la spesa dei consumatori.”
Insomma, agire con efficacia e ridare fiducia al mercato sembra essere l’ennesima scommessa delle autorità cinesi.
Buy the dip? Solo per chi ha pazienza
“Dal punto di vista degli investimenti, il passaggio a un modello di crescita più sostenibile presenta opportunità nel lungo periodo per gli asset cinesi, ma richiede anche una maggiore selettività nel breve termine per far fronte al rallentamento economico”, afferma Mortier di Amundi.
Per quanto riguarda i titoli azionari, la casa di investimento francese mantiene una visione positiva: “Le valutazioni sono attraenti e il rapporto rischio/rendimento sul lungo periodo appare interessante (soprattutto per il mercato domestico), anche tenendo conto di un'altra ondata di revisioni al ribasso degli utili nel 2024, poiché le aspettative di consenso sugli utili sono ancora troppo elevate.”
C’è anche chi va più lontano, come Andrew Lapping, responsabile investimenti di Ranmore Fund Management (società di gestione britannica i cui fondi non sono disponibili in Italia), secondo il quale “il crollo presenta un'opportunità d'oro per gli investitori”.
“È importante cogliere le opportunità quando si presentano, ma spesso è difficile perché la folla si muove nella direzione opposta”, dice Lapping. “In Cina ci sono sicuramente dei rischi, ma ce ne sono ovunque, e dipende da cosa c'è nel prezzo. Nell'ultimo anno, l'S&P500 è salito di oltre il 20% mentre l'Hand Seng è sceso del 30%. Non è possibile che i valori aziendali sottostanti divergano a tal punto. Questa sottoperformance, in particolare nell'ultimo mese, ci ha dato l'opportunità di acquistare aziende di alta qualità e ben capitalizzate a prezzi molto bassi”.
Che si condivida o meno l’entusiasmo di Lapping, sembra quantomeno logico domandarsi: se fino a pochi anni fa l’industria degli investimenti ci raccontava che la Cina era il futuro, siamo sicuri che in questo breve periodo di tempo sia cambiato tutto?
È la stessa domanda che si pone il team di gestione di Pharus. “La Cina è un mercato azionario con determinate caratteristiche intrinseche, dove oggi si è creato un margine di sicurezza per l’investitore che non c’era due anni fa”, si legge in una nota del 25 gennaio. “Innanzitutto, la correzione del -45% (dal 2021 a oggi, Ndr) che stiamo vivendo è una correzione normale che la Cina vive ogni quattro anni dal 2002”, sostengono i gestori di Pharus. E poi, “oggi ci troviamo con valutazioni espresse in termini di rapporto prezzo su utili a 9,95x, livello visto solo quattro volte negli ultimi 10 anni. Ancora, nel 2021 quando l’industria dell’investimento era positiva sulla Cina, il valore di prezzo su utili aveva toccato il massimo storico di 18x, il doppio dell’attuale livello.”
Insomma, la Cina non è cambiata di molto, sono invece le aspettative degli investitori a essere peggiorate. “In questo momento e a queste valutazioni, riteniamo che la Cina possa rappresentare un investimento con un ampio margine di sicurezza”, conclude l’analisi di Pharus.
Gli ETF dedicati
Gli investitori italiani possono scegliere tra 19 Exchange traded fund esposti al mercato azionario cinese. Nella tabella sottostante i primi 10 per patrimonio gestito.
Come si può notare, la maggior parte dei Morningstar Medalist Rating assegnati non sono positivi (Negative o Neutral) e solo un ETF in tabella ottiene un giudizio pari a Silver. La natura degli indici tracciati, infatti, rende in generale la replica passiva meno competitiva in questa specifica categoria. In questo senso, l’incidenza delle commissioni è ancora più importante.
L’MSCI China, ad esempio, conta circa 700 titoli. Nell'ultimo decennio, i vari fornitori di indici, e MSCI in particolare, hanno aggiunto le società cinesi quotate negli Stati Uniti (novembre 2015) e hanno iniziato ad aggiungere le A-shares cinesi nel maggio 2018. Nel novembre 2019, MSCI ha completato tutte le fasi di inclusione delle azioni A cinesi (con un fattore di inclusione del 20%). A partire dalla fine di dicembre 2020, l'indice ha escluso le società militari cinesi sanzionate ai sensi dell'ordine esecutivo degli Stati Uniti. L’indice è molto ampio, ma può risultare troppo concentrato in alcuni settori (beni di consumo discrezionali) o in alcuni nomi, come Tencent e Alibaba.
Un’ulteriore inclusione delle azioni A cinesi rimane un argomento di discussione in corso. Una maggiore inclusione di questi titoli porterebbe vantaggi (maggiore rappresentatività del mercato), ma anche svantaggi (rischio di front-running da parte dei gestori attivi) alle strategie che intendono aumentare le loro partecipazioni nelle azioni della Cina continentale.
Il FTSE China 50, invece, non include nessuna società cinese quotata a New York né le A-shares cinesi quotate sulle piazze della Cina continentale. Dato l’universo (solo società cinesi quotate a Hong Kong) e i criteri di selezione (limite a 50 titoli) questo indice ha un’esposizione molto concentrata, coi primi 10 nomi che pesano il 60% degli asset e una forte esposizione ai titoli finanziari rispetto alla media di categoria.
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