Tra le tre lettere che compongono l’acronimo ESG (environment, social and governance), la E è da sempre stata considerata la principale; semplicemente, perché le strategie ambientali erano quelle che attraevano il maggior interesse, cioè i flussi più importanti.
Ora, però, le cose stanno cambiando, complice forse anche la crisi dell’auto elettrica e l’obiettivo Net Zero 2030 delle Nazioni Unite. Secondo l’AXA IM ESG Consumer Survey 2024, infatti, quando si parla di sostenibilità, gli investitori italiani mettono al primo posto la G di governance.
L’indagine, promossa dalla società di gestione AXA Investment Manager e che ha coinvolto 12.000 persone in 12 diversi paesi tra Europa e Asia, analizza lo stato attuale degli investimenti ESG a livello globale e l’atteggiamento degli investitori.
Meno della metà conosce il termine ESG
La prima cosa che lo studio evidenzia è che gli investitori hanno ancora scarsa consapevolezza riguardo la terminologia. Il termine più conosciuto in tutte le fasce demografiche resta “investimenti sostenibili”: il 47% degli intervistati italiani ne ha sentito parlare, in linea con la media europea (48%), mentre circa un terzo degli investitori ha sentito parlare di investimenti etici, ESG o responsabili, e solo un quinto conosce il termine “Impact Investing”.
Il livello di patrimonio netto ha un impatto elevato sul grado di conoscenza del termine specifico ESG. Infatti, gli investitori italiani high-net-worth, ossia quelli con un patrimonio investibile superiore a 250.000 euro, sono molto più consapevoli del termine "ESG" come concetto di investimento rispetto alla media (71% contro 32%), o di “Investimento Etico” (60% contro 33%).
Chi ci crede è pronto a pagare di più
Lo studio rivela anche che per l’86% degli investitori che possiedono o stanno prendendo in considerazione fondi ESG, le commissioni associate sono un fattore molto significativo nel loro processo decisionale, con circa il 60% di essi che si dichiarano disposti a pagare commissioni più elevate per investire in un fondo che mira a combinare rendimenti positivi, promuovendo al contempo la gestione etica delle imprese e un impatto positivo sulla società e sull'ambiente.
In compenso, tra gli investitori che non prenderebbero in considerazione un fondo ESG, la mancanza di fiducia nella solidità dei rendimenti potenziali è l'ostacolo principale sia in Europa (25% - in aumento rispetto al 21% del 2021) che in Asia (35% - in aumento rispetto al 27% del 2021).
A livello globale, nel 2023, solo il 37% degli investitori si aspetta che un fondo ESG sovraperformi un fondo non ESG con un profilo di rischio comparabile, con un forte calo dell'11% rispetto al 48% registrato nel 2021.
La consulenza finanziaria resta cruciale
La scarsa consapevolezza e la crescente sfiducia si riflettono nella quota di investimenti dedicati ai prodotti ESG. Dalla ricerca emerge infatti che solo il 26% degli investitori italiani dichiara di detenere fondi che possono essere classificati come etici o ESG, un valore in linea, ma leggermente inferiore al 28% registrato nel 2021. Tuttavia, si registra un lieve aumento degli investimenti ESG tra gli over-55, la cui quota è passata dal 22% al 25% nello stesso periodo, e tra le donne, la cui quota in investimenti classificati come etici o ESG è passata dal 27 al 28%.
Un trend questo confermato anche dai dati di Morningstar: nell’ultimo trimestre dell’anno passato i fondi sostenibili hanno visto dei deflussi su scala globale per la prima volta.
Le considerazioni etiche e l’impatto potenziale giocano comunque un ruolo significativo nelle decisioni di investimento. Circa il 70% dei potenziali investitori ESG cita come fattore principale il desiderio che i propri investimenti riflettano le proprie convinzioni etiche personali.
Per questa ragione, forse, gli investitori italiani sembrano più propensi ad avviare un dialogo in materia di ESG con il proprio consulente rispetto alla media europea (51% contro il 39%), mentre un terzo degli investitori dichiara di aver avuto una conversazione sugli investimenti ESG su iniziativa del consulente (27% contro il 35% in Europa).
Nel complesso il 79% degli investitori italiani ha intavolato un dialogo in materia di ESG con il proprio consulente (in linea con l’Europa, 74%), percentuale che sale all’83% nella fascia compresa tra 35 e 54 anni e all’87% tra i giovani tra i 18 e i 34.
In Italia, la G prima della E e molto prima della S
Secondo l’analisi, in Italia, i fattori di governance, riferiti alle procedure contabili trasparenti (85%), alla protezione dei dati (82%) e a un pricing equo (81%), sono i in cima alla lista delle priorità quando si decide di investire in un fondo ESG. A completare la top 5 seguono i fattori ambientali relativi alla salvaguardia degli oceani e della fauna marina e alla riduzione delle emissioni di CO2 (81%). Tuttavia, se i fattori ambientali sono considerati di primaria importanza, insieme alla governance, solo i più giovaniincludono tra le priorità alcuni fattori sociali – come il contrasto alla povertà globale (77%) e i valori etici aziendali (75%).
Armi e deforestazione i settori visti peggio
In cima alla lista dei settori “inaccettabili” per gli investitori italiani ci sono la produzione di armi (69%) e la deforestazione (68%), mentre l’industria altamente inquinante è tra i primi tre settori da escludere per gli intervistati tra i 18 e i 54 anni e gli HNW.
Nel complesso, gli investitori italiani sono meno propensi ad accettare all’interno di un fondo ESG i settori che rientrano nella cosiddetta “zona grigia” da un punto di vista etico rispetto al 2021. Tra questi i “produttori di armi che non vendono prodotti a organizzazioni moralmente discutibili” (29% contro 34% nel 2021), o “società petrolifere o minerarie che investono in tecnologie rinnovabili da adottare in futuro per ridurre le emissioni di CO2” (55% contro 63% nel 2021).
Per quanto riguarda l'accettabilità di alcuni settori negli investimenti ESG, il 72% degli investitori italiani accetterebbe l'inclusione di una società farmaceutica che investe nello sviluppo di un vaccino contro le malattie globali.
Gli investitori più giovani sono invece maggiormente disposti ad accettare l’inclusione di produttori di armi in un fondo ESG: il 38% del campione in questo gruppo demografico si dichiara d’accordo o molto d’accordo nell’includere in portafoglio i produttori di armi – purché non vendano prodotti a organizzazioni moralmente discutibili.
Una strada ancora lunga
Insomma, i dati evidenziano, ancora una volta, che gli approcci sostenibili hanno davanti a sé una strada ancora lunga all’interno del portafoglio degli investitori.
"Nel settore finanziario persistono due ostacoli comuni: una generale mancanza di comprensione della semantica e la difficoltà per i piccoli investitori di capire gli obiettivi dei fondi o di essere pienamente consapevoli di ciò in cui stanno investendo. Una comunicazione più semplice e chiara sull'Investimento responsabile in generale e sui fondi ESG dovrebbe aiutare tutti gli investitori a essere più consapevoli e a fare scelte di investimento più efficaci", ha affermato Bertrand Penverne, responsabile ESG di AXA IM Select.
Guardando in modo più specifico all’Italia, "gli investitori riconoscono sempre più l'importanza degli investimenti orientati ai principi ESG, indipendentemente dal riconoscimento di questo termine specifico, ed è responsabilità del settore finanziario offrire soluzioni adeguate alle loro esigenze. Tuttavia, guardando ai risultati dell'AXA IM ESG Consumer Survey 2024, non possiamo negare la complessità del concetto di investimento responsabile e delle sue applicazioni. Questa indagine può essere considerata come un appello ai policymaker e al settore finanziario per una maggiore semplicità, comparabilità e interoperabilità, in modo che i non addetti ai lavori possano comprendere la semantica e i concetti e fare scelte di investimento informate", ha spiegato poi Pietro Martorella, co-head of client group di AXA IM Core.
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