La privatizzazione di Poste Italiane (PST) ha riacceso l’attenzione dei mercati sulle dismissioni da parte del governo guidato da Giorgia Meloni.
La scorsa settimana, in un incontro con i sindacati, il Ministero dell’economia (MEF) ha garantito che la partecipazione dello Stato in Poste Italiane non sarebbe scesa sotto il 51%, dall’attuale 64,3%, tenuto conto anche della quota di Cassa Depositi e Prestiti, la società per azioni a controllo pubblico che raccoglie le risorse dai risparmiatori postali e dal mercato e le impiega per sostenere enti pubblici, imprese e infrastrutture.
Il governo, dunque, sembra intenzionato a modificare il contenuto del precedente Decreto del presidente del consiglio dei ministri (DPCM) del marzo scorso che prevedeva che lo Stato mantenesse una partecipazione non inferiore al 35%. In pratica, con quest’ultima ipotesi sarebbe rimasta in mano pubblica solo la quota di CDP.
Il DPCM aveva suscitato numerose proteste di piazza tra i lavoratori e anche la nuova proposta di un controllo almeno del 51%, che dovrebbe arrivare nelle prossime settimane, non soddisfa i sindacati che promettono ancora battaglia, forti del fatto che, al momento, non sono state definite le tempistiche e le modalità per la riduzione della partecipazione statale (anche se che si prevede che avverrà entro l’estate).
Privatizzazione Poste: quanto ricaverà il governo?
Secondo un’analisi di Equita sim, pubblicata il 31 maggio, “ai prezzi attuali, l’eventuale cessione del 13% di Poste garantirebbe al governo un incasso di circa EUR2,2 miliardi. Una delle contestazioni dei sindacati è che il ricavato sarebbe usato per abbattere il debito pubblico, ma lo stato otterrebbe un risparmio inferiore a quanto incassa dai dividendi della società che gestisce i servizi postali in Italia.
Nel 2024, Poste Italiane ha proposto un dividendo di EUR0,80 per azione (riferito al bilancio 2023), con un aumento del 23% rispetto al precedente, per un totale di EUR1.036 milioni. Il saldo di EUR0,563 sarà staccato il 24 giugno (l’acconto era stato pagato a novembre).
Come ha scritto Fabrizio Guidoni in un articolo del 13 maggio, i possibili pretendenti alla quota di Poste non sono solo investitori istituzionali esteri, ma anche italiani.
Il piano del governo per incassare 20 miliardi da privatizzazzioni
Quello di Poste Italiane è solo uno dei dossier aperti dal Ministero dell’economia per fare cassa attraverso le privatizzazioni, nel tentativo di contenere l’aumento del debito pubblico. Il programma del governo, infatti, prevede la possibilità di effettuare cessioni di partecipazioni in imprese private pari complessivamente all’1% del Prodotto interno lordo (PIL) da qui al 2026. L’esecutivo spera, così, di incassare 20 miliardi.
Oltre a Poste Italiane, nel mirino ci sono Eni (ENI) e Banca MPS (BMPS). Inoltre, si parla anche di ENAV (ENAV), la società che fornisce il servizio di controllo del traffico aereo, di cui il MEF è socio di maggioranza con il 53,3%, e Ferrovie Italiane, che, però, non è quotata in Borsa.
“Il governo non ha ancora reso pubblico un piano di dismissioni (probabilmente anche per evitare effetti speculativi sui titoli delle imprese quotate), ma pare probabile che le dismissioni si concentreranno su alcune grandi imprese possedute dal Tesoro direttamente o indirettamente tramite Cassa Depositi e Prestiti”, scrivono in un’analisi del 26 marzo 2024 Massimo Bordignon e Leoluca Virgadamo dell’Osservatorio conti pubblici italiani (OCPI) dell’Università Cattolica. “Anche perché l’intenzione del governo è quella di non perdere il controllo delle imprese dove ha la maggioranza, il che limita fortemente il numero e l’entità delle dismissioni possibili”.
Le imprese controllate direttamente dal MEF sono 37 di cui solo sei quotate in Borsa (oltre quelle citate sopra ci sono Leonardo ed Enel). L’OCPI stima che il valore di mercato complessivo delle sei quotate sia di circa 28 miliardi, quindi teoricamente sufficiente a raggiungere l’obiettivo di incassare 20 miliardi. Ma governo vuole mantenere il controllo sulle aziende strategiche, per cui la somma ottenuta dalle dismissioni sarà probabilmente molto più bassa.
Eni: quanto ha incassato lo Stato dalla cessione del 2,8%
Gli investitori hanno avuto un assaggio di questo programma lo scorso 15 maggio, quando il MEF ha avviato una “procedura accelerata di raccolta ordini” per la cessione di azioni Eni pari a circa il 2,8% del capitale sociale della società, attraverso un consorzio di banche con l’obiettivo di collocarle presso investitori qualificati in Italia ed istituzionali all’estero. L’operazione – secondo quanto comunicato dal Ministero stesso – si è conclusa a un prezzo per azione di EUR14,855 per un ammontare totale di circa EUR1,4 miliardi.
Il prezzo ha incorporato uno sconto dell’1,7% rispetto alla quotazione di chiusura della seduta del 15 maggio e farà scendere la quota dello Stato a circa il 2% dal 4,8%. Ma il controllo rimane in mano pubblica attraverso il pacchetto del 28,5% detenuto da Cassa Depositi e Prestiti.
Quanto vale l’uscita del governo da MPS
Intanto, a fine marzo è proseguita l’uscita del governo da Banca Monte dei Paschi di Siena, con il collocamento di un’altra tranche per un valore di EUR 650 milioni. Sul mercato sono finite 157 milioni di azioni a EUR4,1. Una prima vendita era stata fatta a novembre 2023, con un incasso di EUR920 milioni. Lo Stato è così sceso al 26,7% da quasi il 40% di controllo sulla banca senese. Otto anni fa, al momento del salvataggio, aveva il 64%.
“Per calcolare l’effetto netto sul bilancio dello stato andrebbero sottratte a queste entrate le ricapitalizzazioni del Monte che sono state nel frattempo necessarie per evitarne la bancarotta”, precisano Bordignon e Virgadamo.
A questo proposito è bene ricordare che la Banca Centrale Europea (BCE) aveva quantificato nel dicembre 2016 un “fabbisogno di capitale regolamentare di 8,8 miliardi con riferimento allo scenario avverso”, alla luce dei risultati degli stress test. In quell’occasione si stimò che l’intervento pubblico potesse arrivare fino a 5,4 miliardi, di cui 3,9 miliardi destinati all’aumento di capitale. Successivamente, nell’ottobre del 2022, MPS varò un altro aumento di capitale per 2,5 miliardi, coperti per i due terzi dal Tesoro.
A metà maggio, la partecipazione dello Stato nella banca senese era stimata in EUR 1,62 miliardi, ma il titolo è sceso nelle ultime settimane a causa dei nuovi guai giudiziari e la capitalizzazione di Borsa è passata dai 6,5 miliardi del 16 maggio a 5,97 miliardi mentre scriviamo (4 giugno).
Enel e Leonardo, dismissioni difficili
Enel (ENEL) e Leonardo (LDO) operano i settori strategici per cui i margini per il governo sembrano limitati, anche se il ritorno potrebbe essere elevato. Questo vale in particolare per Leonardo, le cui azioni sono salite del 129% nell’ultimo anno (al 4 giugno). Enel, invece, è tornata sotto i riflettori dopo il boom dell’idroelettrico, che potrebbe continuare a fornire un contributo positivo al bilancio. Nell’ultimo mese il titolo ha guadagnato oltre il 10%.
“Nel caso di Enel, dato l’azionariato diffuso, il MEF è attualmente l’azionista di riferimento anche solo con il 24% circa delle azioni, ma è evidente che non può scendere di molto”, si legge nel rapporto dell’Osservatorio dell’Università Cattolica. “È anche improbabile che il governo possa pensare di dismettere le partecipazioni in Leonardo (che è del 30,2%, Ndr), in un momento in cui il tema della difesa è nuovamente centrale sul piano politico”.
Per quanto riguarda ENAV, l’OCPI stima che la cessione totale potrebbe fruttare al massimo 900 milioni, ma se il governo volesse mantenere il controllo dovrebbe offrire il 10-13% per un controvalore di gran lunga inferiore (200-230 milioni).
Le privatizzazioni sono vantaggiose per gli investitori?
Quali conclusioni possono trarre gli investitori italiani in titoli di Stato (debito pubblico) e nelle aziende in mano pubblica?
“Gli spazi per raggiungere gli obiettivi del governo sono molto limitati. Del resto, non è forse un caso che tutti gli ambiziosi piani di privatizzazione presentati dai vari governi negli ultimi dieci anni siano falliti”, commentano Bordignon e Virgadamo. La loro analisi mostra che degli incassi previsti nei vari Documenti di economia e finanza pubblica (DEF) dell’ultimo decennio, pari a molte decine di miliardi, ne siano stati realizzati poco più di 16 miliardi.
L’Osservatorio dell’Università Cattolica ha anche stimato che i vantaggi in termini di cassa delle dismissioni del governo Meloni verrebbero interamente annullati dai dividendi perduti nel giro di circa vent’anni.
Dal punto di vista della quotazione dei titoli, in genere, il collocamento di azioni sul mercato provoca nel breve delle vendite e quindi un ribasso dei prezzi di Borsa, ma possono entrare in gioco anche altre dinamiche. Ad esempio, la privatizzazione di MPS alimenta da tempo le speculazioni sul risiko bancario e la nascita del terzo polo, favorendo il rialzo dei titoli coinvolti.
Sulla dismissione di una quota di Poste, gli analisti di Banca Akros fanno notare che l’operazione potrebbe aumentare la volatilità del titolo nei prossimi mesi, “anche se lo ‘sconto IPO’ potrebbe essere inferiore a quello di altre operazioni simili perché l’”offerta dovrebbe privilegiare il retail e i dipendenti e aumentare il flottante”.
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