La pensione è il più grosso rompicapo dei risparmiatori italiani. La maggior parte del tempo non ci si pensa e quando lo si fa spesso non si agisce e quando si agisce non sempre si fa la scelta giusta.
Secondo un recente studio condotto dai professori Michele Raitano e Marco Di Pietro dell'Università La Sapienza, in collaborazione con la banca online Trade Republic, il 97% degli italiani pensa che sia necessario integrare la pensione pubblica e il 65% è convinto che la pensione pubblica da sola non sarà sufficiente per vivere dignitosamente dopo la pensione. Eppure, secondo la stessa ricerca, il 52% non aderisce ad alcuna forma di previdenza complementare.
“L’aumento dell’età pensionabile ha spiazzato la previdenza privata”, scrive il Prof. Michele Raitano, co-autore dell’analisi, che prosegue: “alle età pensionabili attuali chi avrà carriere stabili riceverà una pensione pubblica adeguata. Per loro la motivazione a investire nella previdenza integrativa dipende dal contributo datoriale e, soprattutto, dai consistenti vantaggi fiscali, generalmente regressivi. Chi avrebbe invece bisogno dell’integrazione – precari e lavoratori dai salari bassi – non ha risorse adeguate e, dunque, non partecipa alla previdenza integrativa e non beneficia degli sgravi fiscali”.
Meglio un fondo pensione o un PAC su ETF azionari?
Una pianificazioni finanziaria seria e di lungo periodo, che includa quindi anche la vita post-lavorativa, può fare a meno della previdenza complementare? Nello specifico, ci sono alternative più interessanti?
I professori Raitano e Di Pietro hanno cercato di rispondere a questa domanda confrontando l’investimento in un fondo pensione azionario (negoziale, aperto o PIP) a un piano di accumulo in ETF azionari che replicano l’indice MSCI World, tra il 2003 e il 2022.
Secondo la loro analisi, in questi 20 anni, gli ETF azionari globali hanno in media guadagnato il 6% annualizzato, contro il 4,2% medio dei fondi azionari negoziali e il 3,7% di quelli aperti (tutti i rendimenti sono al netto delle spese di gestione). A tale proposito, va notato che questa differenza di rendimento dipende anche dal fatto che – anche in ragione di vincoli normativi – i comparti azionari dei fondi pensione azionari non investono il 100% del proprio capitale in azioni, ma sono in realtà dei fondi misti sbilanciati sull’azionario.
Attenzione però, per chi aderisce a una forma di previdenza complementare ogni anno è possibile portare in deduzione fino a 5.164,57 euro di contributi versati – il risparmio finale dipenderà quindi dall’aliquota marginale applicata sul proprio reddito. Inoltre, chi aderisce a un fondo negoziale gode anche del contributo aggiuntivo del datore di lavoro (di solito nella misura dell’1% del reddito lordo), il che aumenta il capitale investito (in queste simulazioni da 99.000 a 110.000 euro su 20 anni – considerando un investimento annuale pari al 9% della propria retribuzione).
E infatti, “nonostante il rendimento medio annuo dell’ETF sia maggiore di quelli osservato per i fondi pensione, grazie alle agevolazioni fiscali previste per la previdenza integrativa l’adesione ad un fondo pensione si mostra più vantaggiosa rispetto all’investimento individuale in ETF”, si legge nello studio. “I benefici aumentano inoltre all’aumentare del reddito del lavoratore e dei contributi versati.”
Va detto che una cosa non esclude l’altra. Le simulazioni effettuate mostrano come un aderente ad un fondo pensione possa ottenere un capitale molto più elevato alla fine dell’investimento quando sceglie di destinare l’extra liquidità generata dai benefici fiscali in un PAC in ETF azionari globali piuttosto che lasciarla non investita: un lavoratore con una retribuzione annua lorda di 55.000 euro che avesse investito annualmente il 9% del proprio stipendio in un fondo pensione negoziale azionario dal 2033 al 2022 e avesse contemporaneamente reinvestito i risparmi fiscali in un ETF sull’MSCI World si sarebbe ritrovato con un guadagno cumulato di 139.460 euro, contro i 94.834 nel caso in cui non avesse investito l’extra liquidità (quindi un guadagno di 44.626 euro).
Fondi pensioni, più iscritti e più patrimonio
Lo scorso 19 giugno, intanto, la Covip ha pubblicato la consueta Relazione annuale sullo stato della previdenza complementare in Italia. Secondo i dati ufficiali, alla fine del 2023, i fondi pensione in Italia sono 302: 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (PIP) e 161 fondi pensione preesistenti. Il consolidamento del sistema, infatti, non subisce interruzioni, in particolare nel settore dei fondi preesistenti, nel quale nel corso del 2023 c’è stata una riduzione di ulteriori 30 forme e il cui numero si è più che dimezzato rispetto al 1999. Ne consegue la crescita della dimensione media delle forme, con il potenziale sfruttamento di economie di scala unito a guadagni di efficienza a vantaggio degli iscritti.
Alla fine del 2023, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 224,4 miliardi di euro, con un incremento del 9,1% rispetto all’anno precedente, determinato prevalentemente dalla dinamica positiva dei mercati finanziari. Le risorse accumulate sono pari al 10,8% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.
Gli investimenti dei fondi pensione (escluse le riserve matematiche presso imprese di assicurazione e i fondi pensione interni a enti e società) sono prevalentemente allocati, per il 56% del totale, in obbligazioni governative (il 14,1% sono titoli del debito pubblico italiano) e altri titoli di debito. I titoli di capitale sono pari al 21,4% del totale mentre le quote di OICR al 15,8% del totale. I depositi si attestano al 5%; gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, si attestano all’1,8% del totale.
Cresce la consapevolezza tra i giovani
Insomma, i dati registrano dei piccoli passi in avanti: al 31 dicembre scorso, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,6 milioni, in crescita del 3,7% rispetto all’anno precedente. In percentuale della forze di lavoro, però, gli iscritti sono pari solamente al 36,9%.
Tuttavia, “rispetto a cinque anni prima, il quadro mostra un miglioramento: il tasso di partecipazione cresce di sei punti percentuali nella classe più giovane (sotto i 34 anni) e di 3,5-4 punti percentuali nelle altre fasce”, commenta Francesca Balzani, presidente Covip, nella sue considerazioni.
Anche l’analisi dell’Università La Sapienza e di Trade Republic conferma che le generazioni più giovani hanno compreso l'importanza di iniziare a investire presto per la pensione a costi di gestione bassi e in modo diversificato, anche perché sono quelli che temono maggiormente che l'età pensionabile prevista continui ad aumentare ben oltre i 70 anni.
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