I ricercatori di finanza comportamentale hanno identificato diversi errori cognitivi che spesso offuscano il giudizio degli investitori. Uno dei più comuni è il cosiddetto “recency bias”, ovvero la tendenza ad attribuire un peso eccessivo agli ultimi trend di mercato, trascurando altri fattori, come ad esempio i fondamentali, le valutazioni o le medie di mercato di lungo termine.
Non è sempre ovvio quando il recency bias si insinua nel processo decisionale di investimento. In primo luogo, è dimostrato che i trend di performance sono persistenti nel breve termine. Questo fenomeno è noto anche come effetto momentum, per cui i titoli con performance superiori alla media negli ultimi 12 mesi spesso continuano a guadagnare terreno. Inoltre, a livello di asset class, regione e stile, i trend di performance possono persistere per periodi molto più lunghi, anche un decennio o più.
In questo articolo analizzeremo tre dicotomie di performance apparentemente inarrestabili nel mercato azionario: large contro small, growth contro value e Usa contro resto del mondo. Esamineremo anche le ragioni della loro persistente predominanza e i fattori di contrasto che gli investitori potrebbero prendere in considerazione.
Large vs small cap
In teoria, le società più piccole hanno più spazio per crescere perché non hanno ancora raggiunto il loro pieno potenziale o la loro scala. Le ricerche accademiche hanno spesso evidenziato il vantaggio di performance nel lungo termine dei titoli a piccola capitalizzazione. Nel periodo compreso tra il 1926 e la metà del 2024, i titoli a small cap hanno registrato una sovraperformance di circa due punti percentuali all'anno rispetto a quelli a più alta capitalizzazione di mercato. Questo vantaggio in termini di rendimento è stato determinato dal loro migliore andamento in diversi momenti storici, come la fine degli anni '30 e l'inizio degli anni '40, il periodo dal 1974 al 1983, i primi anni '90 e la maggior parte del periodo dal 2000 al 2010.
Negli ultimi 10 anni, tuttavia, le azioni large cap hanno mediamente fatto meglio delle azioni a bassa capitalizzazione per oltre sei punti percentuali all'anno (in dollari al 30 giugno 2024). Questo risultato è stato in parte determinato dalle differenze nella composizione dei settori. Rispetto al mercato nel suo complesso, gli indici small cap presentano una minore esposizione ai titoli tecnologici e una maggiore esposizione ai settori della "vecchia economia", come quelli consumer cyclical, finanza, immobiliare e dei beni industriali. Nonostante la crescita economica generalmente sostenuta, questi settori non hanno tenuto il passo dei titoli tecnologici.
Tuttavia, i titoli a small cap sono spesso più sensibili dal punto di vista economico rispetto a quelli a larga capitalizzazione e possono quindi registrare performance migliori nei periodi di forte crescita economica. Inoltre, sono scambiati a prezzi più convenienti: mentre i titoli large cap coperti dagli analisti di Morningstar sono attualmente valutati con un premio del 7% rispetto al loro fair value, i titoli a piccola capitalizzazione sono scontati mediamente del 14%.
Growth contro value
Da tempo esiste un'altra dicotomia di performance tra i titoli growth, che registrano una crescita superiore alla media in termini di utili, vendite, flussi di cassa e/o valore contabile, e i titoli value, che scambiano a prezzi relativamente bassi rispetto a varie metriche. I titoli growth hanno sovraperformato i titoli value con un ampio margine negli ultimi 10, 15 e 20 anni. Il segmento value ha resistito molto meglio di quelli growth durante il mercato ribassista del 2022, ma non abbastanza da compensare il ritardo in termini di rendimento accumulato nei periodi precedenti.
Uno dei motivi di questa sottoperformance è che gli indici rappresentativi del segmento value sono poveri di titoli tecnologici, in particolare del gruppo dei "Magnifici Sette", titoli tecnologici a grande capitalizzazione che hanno alimentato il mercato negli ultimi anni. Allo stesso tempo, hanno una maggiore esposizione ai settori energia, finanza e utility, che sono in ritardo.
Cosa potrebbe invertire questa tendenza? Tra le possibilità c’è quella di una correzione guidata dalle valutazioni o di una recessione economica seguita da una ripresa. Inoltre, i titoli growth sono scambiati a prezzi relativamente elevati, anche se continuano a registrare una crescita degli utili e delle vendite superiore alla media. In media, i titoli growth inseriti nel portafoglio del Vanguard Growth ETF (VUG) sono scambiati con un premio del 12% rispetto al fair value. I titoli del corrispondente comparto value, il Vanguard Value ETF (VTV), sono scambiati sostanzialmente in linea con la stima del fair value.
Stati Uniti contro Resto del mondo
Negli ultimi 20 anni, il rendimento delle azioni internazionali ex-USA è stato in media inferiore a quello delle azioni statunitensi di quasi quattro punti percentuali all'anno, con margini ancora più ampi se consideriamo gli ultimi 10 e 15 anni. L'esposizione settoriale è uno dei fattori alla base di questa scarsa performance. Gli indici che rappresentano i titoli non statunitensi sono relativamente poco esposti ai tecnologici, mentre è forte il peso dei settori della vecchia economia come quello delle materie prime, della finanza e dei beni industriali.
Tuttavia, poiché i titoli non statunitensi sono rimasti indietro per così tanto tempo, ora offrono valutazioni più interessanti. Le azioni Usa sono attualmente scambiate a prezzi pari a circa 33 volte gli utili di lungo periodo corretti per l'inflazione (un multiplo noto anche come CAPE o Shiller P/E), rispetto a una media di più lungo periodo di circa 24,5. Pertanto, anche se le società statunitensi continuano a fornire fondamentali eccezionali, questo potrebbe essere già prezzato nei loro titoli. Le azioni scambiate sui listini internazionali, invece, hanno un CAPE medio di circa 19,8 al 30 maggio 2024.
I movimenti valutari sono un altro fattore da considerare. Negli ultimi 10 anni circa, il dollaro USA ha generalmente registrato una tendenza al rialzo rispetto alle altre principali valute. Ciò è stato negativo per le azioni non-USA, perché i loro rendimenti valgono meno se convertiti in dollari. Tuttavia, non è detto che la forza del dollaro continui per sempre. Alcuni gestori internazionali, come David Herro di Oakmark International, hanno recentemente sostenuto che le valute diverse dal dollaro sono meglio valutate e dovrebbero rivalutarsi con il ritorno alla parità di potere d'acquisto.
Conclusione
È impossibile sapere se e quando queste tendenze apparentemente inarrestabili si invertiranno. Forse ci troviamo davvero in una nuova era in cui le misure di valutazione tradizionali sono meno rilevanti di un tempo e i titoli growth, large cap e le azioni Usa continueranno a dominare. A dire il vero, le valutazioni di mercato non sono così elevate come all'apice della bolla delle dotcom nel 1999.
Detto questo, gli investitori esperti hanno imparato a essere cauti quando sentono dire in giro che "questa volta è diverso". Quando queste voci si fanno sempre più forti, una certa cautela è giustificata.
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