Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, è come al solito chiaro e diretto. Dopo averci spiegato qualche settimana fa cosa dovrebbe fare davvero il governo Meloni in tema previdenziale, la sua ultima “battaglia” è rivolta ora verso l’ormai famosa Quota 41, proposta spinta dalla Lega di Matteo Salvini e al vaglio dell’esecutivo per la prossima Legge di Bilancio.
Innanzitutto, in cosa consiste Quota 41? Semplificando, questa regola prevederebbe che se un lavoratore ha maturato 41 anni di contribuzione può andare in pensione senza limiti di età.
Riforma pensioni, costi troppo alti
“Il punto è che questa proposta costa tanti soldi. Come ha evidenziato anche la Commissione UE, mette a rischio i conti dell’INPS e soprattutto le pensioni dei giovani”, afferma il professor Brambilla in un suo recente editoriale.
Secondo Brambilla, il sistema non reggerà se si continua con la decontribuzione (una riduzione dell'importo dei contributi previdenziali e assistenziali per alcune categorie di lavoratori) e con le proposte della Lega tipo Quota 100 e 103. “Senza Quota 100, oggi avremmo 15,8 milioni di pensionati e un rapporto attivi pensionati sopra l'1,5 (1,5 attivi per ogni pensionato); invece, ne abbiamo 16,15 milioni, con un rapporto attivi pensionati più basso”, continua il presidente di Itinerari Previdenziali.
Costando tanti soldi, la soluzione escogitata dai leghisti è di mantenere Quota 41 ma calcolando la pensione interamente con il metodo contributivo. Questo, però, “implica una riduzione dell’assegno pensionistico, per il semplice fatto che, se si va prima in pensione e quindi ci si sta per più anni, il montante (la somma dei contributi versati) deve essere diviso per più anni. Ma anche questa soluzione costa circa un miliardo l’anno e con i vincoli di bilancio (non perché ce li chiede l’Europa ma per un etico rispetto delle generazioni giovani e future) e con il debito pubblico che sforerà a breve i 3mila miliardi, il MEF non se lo può permettere”, spiega Brambilla.
Le pensioni perdono potere d'acquisto
Inoltre, la soluzione a cui sta pensando il governo non sembra convincere il professore: “Gli strateghi della Lega, sull’esempio di quanto fatto da Giorgetti in questi ultimi anni, propongono di trovare il miliardo tagliando l’indicizzazione delle pensioni sopra le 5 volte il minimo (2.650 euro lorde al mese), le uniche i cui percettori hanno sempre pagato tasse e contributi, già tartassate mensilmente dall’IRPEF e che, sempre grazie a Giorgetti, hanno perso in questi ultimi tre anni il 10% del potere d’acquisto.”
Tre proposte concrete
E allora che fare? Anche qui, il Centro Studi di Itinerari Previdenziali sembra avere le idee piuttosto chiare. In particolare, vengono avanzate tre proposte: “Anziché Quota 41, già oggi esiste Quota 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, senza obbligo di calcolo integrale contributivo”, si legge nell’editoriale. Secondo Brambilla, si potrebbe eliminare l’adeguamento di questi requisiti all'aspettativa di vita previsto dalla riforma Fornero, (eventualità che non esiste in nessun altro Paese) e introdurre ad esempio per le donne madri una riduzione di 4 mesi per ogni figlio con un massimo di 8 mesi, come previsto dalla Dini, e la possibilità di pensionamento anticipato per lavori usuranti o situazioni di fragilità psico-fisica, o ancora in caso di assistenza a parenti di primo grado non autosufficienti.
Secondo punto: prevedere le stesse regole dei “misti” anche per i contributivi puri (quelli che hanno iniziato a lavorare dall’1 gennaio 1996), perché “in un sistema a ripartizione in cui con i contributi versati dai giovani si pagano le pensioni, le regole devono essere le stesse”. A cominciare dalla fruizione anche per i contributivi puri dei trattamenti di integrazione al minimo e maggiorazioni sociali, il contrario di quanto fatto dal Ministro dell’Economia.
Infine, Brambilla sottolinea un suo vecchio cavallo di battaglia: “premiare il lavoro e non l’assistenza”, ad esempio reintroducendo la possibilità della pensione di vecchiaia anticipata con 64 anni di età, adeguata alla speranza di vita, e 38 anni di contributi con un massimo di 3 anni di figurativi; manovra finanziata prevedendo che per la pensione di vecchiaia a 67 anni occorrano 25 anni di contribuzione e una pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale.
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