Gli ETF si stanno prendendo anche gli emergenti?

I fondi passivi sono un’alternativa sempre più scelta dagli investitori in azioni emergenti. Ma in fasi di discesa il gestore attivo fa la differenza.

Valerio Baselli 16/09/2024 | 10:43
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emergenti

Le Borse dei mercati in via di sviluppo sono tradizionalmente considerate un terreno ideale per gli stock pickers più esperti, in quanto si tratta tipicamente di mercati meno liquidi ed efficienti di quelli sviluppati e soprattutto in una fase in cui è ancora possibile scovare delle “gemme nascoste”, spesso non ancora incluse negli indici replicati dai fondi passivi. 

Ma è davvero così?

Guardando ai dati, verrebbe da dire “non sempre, non dappertutto”.  In questo senso ci viene in aiuto l’Active/Passive Barometer europeo di Morningstar, un rapporto semestrale (l’ultima edizione è stata pubblicata la settimana scorsa, con dati al 30 giugno 2024) che misura la performance dei fondi attivi domiciliati in Europa rispetto ai passivi nelle rispettive categorie Morningstar. Comprende quasi 26.000 strumenti che rappresentano circa la metà del mercato totale dei fondi europei.

I titoli dei mercati emergenti hanno registrato una prima metà del 2024 positiva, riuscendo persino a superare gli indici azionari globali dei mercati sviluppati nel secondo trimestre. L'allentamento delle preoccupazioni sulla Cina e il ridimensionamento delle aspettative di taglio dei tassi USA hanno contribuito. Lo studio di Morningstar ci dice che “i fondi passivi hanno incorporato l'intero rialzo e hanno reso più difficile per i gestori attivi sovraperformare”.

Praticamente l'opposto di quello che abbiamo visto nel 2023, quando, essendo la Cina diventata sinonimo di sottoperformance, i gestori della categoria azionari mercati emergenti globali hanno trovato un modo semplice per battere i concorrenti passivi adottando un approccio cauto al Paese.

Il tasso di successo a un anno dei gestori attivi in questa categoria si è attestato al 40,2% a fine giugno, in calo rispetto al 46,3% del dicembre 2023, mentre il tasso di successo a 10 anni è rimasto sostanzialmente invariato al 28%.

La tabella precedente mostra il tasso di successo medio per le principali categorie di azioni emergenti. Come si può vedere, i risultati sono molto diversi tra loro, a riprova del fatto che non esiste una regola generale da applicare.

In particolare, per quanto riguarda le azioni indiane, i gestori attivi hanno ottenuto un elevato successo negli ultimi 10 anni (53,4%). In Cina, le strategie attive hanno fatto ancora meglio negli ultimi 5 anni (62,6%). Tuttavia, questi sono gli unici due casi in cui il tasso di successo dei gestori attivi è superiore al 50%.

La fuga degli investitori attivi

Il pessimismo che aleggia sui mercati azionari emergenti, soprattutto su quello cinese, trova riscontro nei deflussi vissuti dai fondi esposti. Nel corso dell’ultimo anno, gli investitori hanno riscattato 11,4 miliardi di euro dai fondi azionari mercati emergenti globali gestiti attivamente e domiciliati in Europa (dati a fine luglio 2024).

Nel periodo, però, i fondi passivi della stessa categoria hanno incassato quattro miliardi di raccolta netta, segnando una crescita organica del 2,55%.

Costi, costi e ancora costi

“È convinzione diffusa che i gestori attivi possano avere tassi di successo più elevati nei mercati meno efficienti, come quelli emergenti, ma in realtà i dati mostrano una storia diversa”, afferma Monika Calay, responsabile ricerca sulle strategie passive di Morningstar. Su periodi sia brevi che lunghi, i tassi di successo dei gestori attivi nei mercati emergenti sono stati inferiori al 50%, il che significa che in realtà i fondi passivi hanno sovraperformato. “Credo che la ragione principale siano i costi”, continua Calay. “In effetti, i gestori attivi sono costosi in queste categorie, cinque-sei volte più costosi delle loro controparti passive.” A titolo di esempio, i fondi passivi azionari mercati emergenti tendono ad addebitare tra 18 e 60 punti base, mentre il livello medio delle commissioni dei fondi attivi è dell'1,8%.

Se guardiamo i dati, solo il 24% circa dei gestori attivi nella categoria azionari mercati emergenti sopravvive e sovraperforma i concorrenti passivi a 15 anni. Quindi, individuare un fund manager esperto in questa asset class non è così semplice come potrebbe sembrare. E a ulteriore conferma di questo fatto c’è il numero di fondi attivi che hanno chiuso o sono stati fusi negli ultimi 10 anni, che è intorno al 40% in queste categorie. “Possiamo dire, quindi, che è un falso mito quello che le inefficienze dei mercati emergenti rendano più facile individuare gestori attivi qualificati”, spiega l’analista di Morningstar. “Di conseguenza, gli investitori che cercano di posizionarsi su questa asset class devono comunque fare una ricerca accurata.”

Sì, perché di gestori attivi che creano valore ce ne sono e ce ne sono stati anche di più nell’ultimo periodo. “Nel 2023 abbiamo assistito a un aumento dei tassi di successo dei gestori attivi nella categoria dei mercati emergenti. Questo perché sono stati strategici nell'allocazione a livello di Paesi. Ad esempio, sono stati cauti sulla Cina e rialzisti sul Brasile e queste scommesse hanno giocato a loro favore”, dice Calay.

Il trend è poi continuato anche nel 2024: classificando i fondi azionari mercati emergenti globali domiciliati in Europa per rendimento da inizio anno (al 9 settembre), si deve scendere fino alla diciassettesima posizione per trovare un fondo passivo. Inoltre, tra i 50 fondi (su 740 totali) più performanti da inizio anno ce ne sono solo 4 passivi, a riprova del fatto che durante fasi “orso”, l’approccio prudente di un gestore attivo può fare la differenza.

Le inefficienze dei fondi passivi

Quando consideriamo gli indici regionali come il FTSE Emerging Index o l’MSCI Emerging Markets, che sono i benchmark più utilizzati, le maggiori preoccupazioni riguardano la concentrazione in un numero ristretto di Paesi. Per fare un esempio, Cina, Taiwan e India rappresentano circa il 60% del peso totale del portafoglio in questi indici. Certo, è vero che anche i gestori attivi dispongono di ingenti allocazioni per singolo Paese, ma, almeno in teoria, si spera che lo stiano facendo sulla base di ricerche fondamentali che confermino tale scelta.

“Siamo anche preoccupati per i rischi politici. Un esempio di ciò è quanto accaduto nel marzo del 2022, quando la Russia è stata sostanzialmente cancellata da questi indici e, di conseguenza, i gestori hanno dovuto svalutare quelle posizioni a zero”, spiega di nuovo Calay.

Ci sono, dunque, reali preoccupazioni nel scegliere i fondi passivi, ma ci sono alcuni aspetti di queste strategie che restano interessanti: oltre alle già citate commissioni molto più basse, c’è anche l’ampia diversificazione di questi comparti.  

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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