Il ritocco al ribasso del Prodotto interno lordo (PIL) è il dato più importante della revisione dei conti economici italiani pubblicata dall’Istat lo scorso 4 ottobre. Ma ci sono anche altri numeri che ritraggono bene lo stato di salute dell’Italia.
Ecco quattro numeri chiave sull'economia del Belpaese:
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Il Prodotto interno lordo è stato rivisto al ribasso
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L’incidenza del deficit pubblico sul PIL è diminuita
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Aumenta il reddito lordo delle famiglie, ma non i consumi
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I profitti delle imprese sono in calo
1. PIL rivisto al ribasso
Nei primi sei mesi del 2024, il PIL italiano è cresciuto dello 0,4% e non dello 0,6% come precedentemente stimato dall’Istat. Nel solo secondo trimestre, l’incremento è stato dello 0,2% sul trimestre precedente e dello 0,6% sullo stesso periodo del 2023.
La revisione al ribasso del PIL allontana l’economia italiana dalla crescita attesa dal governo nel Piano strutturale di bilancio, che prevede un incremento del PIL quest’anno dell’1%. Questo traguardo sembra difficile da raggiungere anche per la Banca d’Italia, che ha recentemente fissato allo 0,8% le stime di crescita per il 2024.
La correzione ha implicazioni sul raggiungimento degli obiettivi dell’esecutivo di riduzione del rapporto debito/PIL per uscire dalla procedura di deficit eccessivo avviata dall’Unione europea nei confronti dell’Italia a giugno.
2. Deficit pubblico in calo sul PIL
Sempre secondo l’Istat, nel secondo trimestre l’incidenza del deficit delle amministrazioni pubbliche (AP) sul PIL è diminuita rispetto allo stesso periodo del 2023 (-3,4% contro -5%). In dettaglio, le uscite totali sono scese dell’1,3% a confronto con il secondo trimestre dell’anno scorso e la loro incidenza sul Prodotto interno lordo è calata dell’1,7% al 49,2%. Nei primi sei mesi dell’anno la riduzione è stata del 2%. Per contro, le entrate sono aumentate del 2% in termini tendenziali, ma l’incidenza sul PIL è scesa dello 0,1% al 45,8% rispetto allo stesso periodo del 2023 (43,4% nei primi sei mesi del 2024).
“Complessivamente, nei primi due trimestri del 2024 le AP hanno registrato un indebitamento netto pari al -5,8% del PIL, in miglioramento rispetto al -7,9% del corrispondente periodo del 2023”, si legge nella nota dell’Istat, che riporta anche un aumento della pressione fiscale al 41,3% (+0,9%) e un ritorno in positivo del saldo primario (differenza tra entrate e spese al netto degli interessi passivi), per la prima volta dal quarto trimestre 2019 (+1,1% sul PIL).
3. Più reddito per le famiglie, ma meno consumi
I conti trimestrali dell’Istat mostrano un aumento del reddito lordo a disposizione delle famiglie dell’1,2% nel periodo aprile-giugno e una crescita analoga del potere di acquisto. Quest’ultimo numero è il risultato del rallentamento dell’inflazione. Le famiglie, tuttavia, non sono così propense a spendere: i dati sui consumi mostrano un +0,4% e sono, quindi, inferiori all’incremento del reddito. Per contro, gli italiani hanno continuato ad aumentare i risparmi anche nel secondo trimestre (+0,8% rispetto ai primi tre mesi dell’anno). In pratica, il 10,8% del reddito viene messo da parte.
4. Profitti in calo per le imprese
Infine, i conti trimestrali dell’Istat mostrano un proseguimento del calo dei profitti delle imprese non finanziarie, dopo l’ascesa registrata fino al primo trimestre del 2023. La diminuzione è stata dell’1,2% nel periodo aprile-giugno a confronto con i primi tre mesi dell’anno. La quota di profitto delle imprese non finanziarie è risultata pari al 42,6%.
“In termini congiunturali, la flessione di questo indicatore è il risultato di una forte diminuzione del risultato lordo di gestione (-2,9%) e di una più lieve flessione del valore aggiunto (-0,2%)”, si legge nella nota dell’istituto di statistica.
Il rallentamento dell’economia peserà sul risanamento dei conti pubblici?
I numeri dell’Istat dipingono un quadro in chiaroscuro per l’Italia, in particolare per quanto riguarda le prospettive di crescita futura, da un lato, e dei conti pubblici, dall’altro. Lo stesso Ministro dell’economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, nel presentare il Piano strutturale di bilancio ha detto che “la situazione economica, occupazionale e di finanza pubblica dell’Italia è in miglioramento malgrado la caduta dei livelli produttivi dell’industria, il preoccupante allargamento dei conflitti internazionali e sfide tecnologiche e ambientali di crescente complessità”.
Il Piano, che mostra un più rapido processo di consolidamento fiscale, è andato oltre le aspettative del mercato, ma gli economisti di Goldman Sachs fanno notare come questo programma ambizioso arrivi in un momento il cui la crescita economica sta perdendo vigore, anche se le entrate fiscali restano resilienti.
Il consolidamento fiscale porterà l’Italia in recessione?
Secondo i piani del governo guidato da Giorgia Meloni, il risanamento dei conti pubblici porterebbe l'Italia fuori dalla procedura per deficit eccessivo nel 2026, quando il deficit fiscale dovrebbe scendere sotto il 3% del PIL. In seguito, la traiettoria di bilancio rimarrebbe conforme alle regole di bilancio europee, tuttavia gli economisti prevedono che tale obiettivo sarà impegnativo da raggiungere nel 2027, quando il costo dei crediti d'imposta per l'edilizia peserà ancora sul fabbisogno finanziario.
“Vediamo due sfide per l'Italia per rimanere conforme alle regole di bilancio nel medio termine”, afferma Filippo Taddei, economista di Goldman Sachs in una nota del 7 ottobre. “In primo luogo, a partire dal 2025 nelle nostre previsioni, il tasso di indebitamento reale tornerà positivo per la prima volta dal 2020, poiché il costo effettivo del debito supererà la crescita del PIL nominale. Inoltre, il consolidamento fiscale proposto dal governo italiano probabilmente peserà sulla crescita futura, con il conseguente rischio di portare l'economia italiana in recessione”.
Secondo le previsioni di Goldman Sachs, il consolidamento fiscale andrà più lentamente rispetto al piano del governo e il saldo primario si stabilizzerà a un livello inferiore rispetto a quanto stimato dall’esecutivo. “Nel nostro scenario di base, il debito/PIL inizierà a diminuire, ma un po' più lentamente e solo a partire dal 2027”, conclude Taddei.
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